I fotoni costituiscono il ponte tra noi ed il cosmo.
Un’osservazione di una sorgente consiste nell’estrazione e nell’analisi di una predefinita porzione di fotoni mediante uno o più rivelatori.
Il più antico rivelatore esistente è l’occhio umano. Il suo sistema di rivelazione si basa sul nervo ottico e sulla retina, mentre l’analisi del segnale avviene mediante il cervello.
Tuttavia le sue proprietà fisiche sono statiche cioè il segnale non può essere acquisito in modo diverso da quello prestabilito naturalmente dal cervello.
L’apprendimento permette di processare le informazioni con un continuo upgrade del “firmware” neurale. Proprio come avviene nella riprogrammazione di un circuito elettronico in un moderno rivelatore artificiale e nei metodi di “riduzione” dei dati acquisiti (post-processing).
Il sito
I requisiti che un sito per astronomia deve soddisfare sono:
L’acquisizione di immagini a diverse lunghezze d’onda è uno dei punti più importanti della ricerca astronomica.
Le prime osservazioni consistevano in un’analisi di immagini bidimensionali nel visuale, ottenute osservando ad occhio nudo, poi estese ad altre lunghezze d’onda mediante l’introduzione dei rivelatori.
Ci sono tre grandi differenze tra l’uso dell’occhio umano e di un rivelatore in un’osservazione:
Le caratteristiche sono legate alla tecnologia usata, che dipende anche dal tipo di osservazione per cui vengono usati (lunghezza d’onda, imaging, spettroscopia).
Un’osservazione astronomica riguarda la mappatura della sfera celeste e la memorizzazione delle informazioni, di solito su una matrice bidimensionale.
L’intensità integrata contenuta nel pixel (k,j) del rivelatore, avente una sezione A, angolo di vista Ω, risposta spettrale R e rumore N, che osserva una sorgente S, con background B e coefficiente di trasmissione Τ, nella generica banda BW per un intervallo di tempo ΔT è:
I(k,j) = (T R(S+BΩ) A BW + N) ΔT
Ovvero l’informazione contenuta in I(k,j) dipende dall’intensità della sorgente e del background, ma anche dalla funzione di trasferimento dello strumento e dei parametri osservativi.
Il rapporto segnale-rumore dipende dal rapporto tra il segnale della sorgente ed il background, ma anche dal rumore fotonico additivo. Di quest’ultimo la statistica è di tipo poissoniano per cui la varianza σ2 è pari alla media della misura.
La funzione di trasferimento è 1 per osservazioni spaziali; è invece dominata dalla turbolenza atmosferica in osservazioni da terra. Occorre infatti tenere presente il rumore moltiplicativo composto da trasmittance noise (scintillazione) e seeing.
Rumore elettronico di fondo (readout noise)
Anche quando non vi è alcun segnale catturato dalla sorgente, un rivelatore può comunque registrare un segnale x0(t) che si comporta come un processo stocastico
Corrente oscura (dark current)
flusso di corrente non nullo anche quando nessuna radiazione risulta incidente sul suo
fotocatodo. Ciò è dovuto ad impatti casuali di elettroni sul fotocatodo la cui energia termica eccede la funzione di lavoro del metallo. Definiamo tale flusso x0(t) come la “dark current”.
E’ esso stesso un segnale le cui fluttuazioni aggiungono noise al segnale astronomico.
Sgranatura di una lastra fotografica
Una lastra non esposta può comunque mostrare un’immagine impressionata casuale
X0(x,y). Questa ha un valore medio non nullo (background continuo) ed una varianza che è il rumore di fondo della lastra, definita anche come la “sgranatura” dell’emulsione sulla lastra.
Rumore termico di fondo (background noise)
Un rivelatore infrarosso riceve radiazioni anche se nessuna sorgente si trova nel campo di vista. I fotoni termici emessi dall’atmosfera terrestre, gli specchi del telescopio, i componenti ottici del rivelatore stesso, nonché i dispositivi elettronici che controllano il telescopio e la cupola rappresentano tutti potenziali fonti di emissione di radiazioni termiche. Questo flusso di fotoni genera un segnale di fondo noto come rumore termico di fondo.
La distribuzione di Poisson si può ricavare come caso particolare della distribuzione binomiale:
quando cioè il numero di prove N è molto grande e contemporaneamente la probabilità di successo in una singola prova è molto piccola, in modo che il loro prodotto sia finito (non diverga) e diverso da zero.Una tipica situazione che gode delle caratteristiche appena elencate è lo studio di un processo di incidenza di fotoni. In questa circostanza, il numero di prove è costituito dal numero di conteggi che potenzialmente possono avvenire sulla superficie di un rivelatore.
La probabilità di “successo” (incidenza) per ogni fotone è decisamente piccola.Si suppone che la probabilità p di incidenza sia costante e inoltre, altra caratteristica tipica dei cosiddetti processi di Poisson, che la probabilità di successo in un intervallo di tempo [t, t+ Δt] sia proporzionale, in prima approssimazione, a Δt.
I(k,j) = (τ R(S+BΩ) A BW + N) ΔT
Vediamo ora la forma matematica di tale distribuzione. Una variabile aleatoria si distribusce in modo poissoniano se la probabilità di ottenere m successi è data da:
manca formula
dove la grandezza a è detta parametro della legge di Poisson e rappresenta la frequenza media di accadimento dell’evento osservato.
Ad esempio, la probabilità di ottenere due successi è data da e-aa2/2!, quella di ottenerne tre è e-aa3/3! e via dicendo.
Facendo la sommatoria su tutti gli eventi possibili otteniamo:
Ma la serie in m è proprio la serie che definisce ea per cui manca formula
il valor medio della distribuzione di Poisson avvalendoci del momento iniziale di ordine 1 è:
manca formula
Si noti che ora la sommatoria parte da 1 in quanto il termine corrispondente a m=0 è nullo. Se poniamo m-1=k l’ultima serie è di nuovo la sommatoria che definisce ea, per cui:
manca formula
Ricorrendo alla definizione del momento centrale di ordine 2, si può dimostrare che la deviazione standard è uguale alla radice quadrata del parametro caratteristico della distribuzione di Poisson:
manca formula
Esempio
Calcolare quanti conteggi di fotoni bisogna effettuare per ottenere una precisione del 5%.
Soluzione: Se si contano N eventi, frutto di uno stesso processo aleatorio con probabilità costante, l’errore statistico da associare a tale numero è manca formula
in questo modo l’errore relativo o percentuale decresce, all’aumentare di N, come manca formula
Quindi per realizzare una misura precisa è necessario aumentare adeguatamente il numero di conteggi da effettuare: in particolare, per ottenere una precisione del 5% occorrerà che sia verificato
manca formula
Risolvendo questa equazione otteniamo il numero di conteggi necessario per ottenere una precisione del 5%, ossia N=400
I rivelatori tradizionalmente usati in campo astronomico dall’inizio di questo secolo erano basati sull’utilizzo di lastre fotografiche. Il loro utilizzo infatti permetteva di ottenere rivelatori a grande campo, (dell’ordine di decine di centimetri quadrati), particolarmente economici, stabili al micron e relativamente semplici da usare. Gli elementi attivi di cui si compone una lastra fotografica, hanno una grandezza di pochi micron e forniscono una QE (QE = rapporto tra i fotoeventi prodotti e i fotoni incidenti) di rivelazione dell’ordine di 1-5%.
Quest’efficienza e l’area coperta costituiscono due peculiarità dei rivelatori molto importanti Storicamente i primi Rivelatori elettronici a grande campo usati con successo furono i sistemi a intensificazione di immagine, fra i quali, i famosi IPCS (Image Photon Counting Systems) furono sicuramente i più efficienti. Più recentemente, negli ultimi 30 anni circa, i CCD (Charge Coupled Device) hanno assunto il ruolo di rivelatori più usati in campo astronomico.
Tralasciando i dettagli storici, ciò che è importante sottolineare è la rapida crescita delle dimensioni dell’area attiva dei CCD.
Si è passati infatti dai tipici 22μm x pixel dei CCD 576×384, disponibili verso la fine degli anni 80, alla serie successiva di 24μm x pixel dei CCD 2048×2048, fino agli odierni CCD a mosaico con 15μm x pixel e dimensioni pari a 16Kx16K.
IPCS ha readout noise nullo, quindi lavora sempre nel secondo caso limite. Se consideriamo un tempo di esposizione di 1 ora, un telescopio di 4m, un segnale per pixel < 10 conteggi e un readout noise del CCD=5, quest’ultimo risulta dominante, rendendo il sistema IPCS più efficiente rispetto al CCD. Le conclusioni cambiano se trasportiamo l’esperimento su un telescopio da 10m, in cui vengono esaltate le proprietà dei CCD, (maggiore tasso di fotoni per pixel rispetto ad un IPCS). In pratica, come vedremo, è possibile raggiungere un QE, per i CCD, sempre > 50% su tutta la banda passante.
Sapere quando fermarsi, nella fase di riduzione dei dati, è un problema notevole.
L’errore della stima poissoniana è il limite invalicabile per la riduzione di dati astronomici.
Infatti, i CCD si possono definire in modo non proprio preciso, dei contatori di fotoni.
La principale sorgente di rumore irriducibile è la statistica poissoniana sul numero di conteggi rivelati.
Per cui per un processo stazionario, cioè per identiche e ripetute osservazioni di una stella non variabile, avente X come numero medio di conteggi di fotoni per ogni osservazione, l’atteso livello di errore r.m.s. è √X.
Le fluttuazioni xi su misure individuali (ripetute N volte) danno:
Per un livello di segnale X = 10.000 fotoni rivelati, le fluttuazioni di Poisson associate sono √X = 100; allora S/N = 100.
Non vi può essere riduzione dati con precisione finale della stima migliore di questo limite poissoniano.
In molti casi, dipendenti dal tipo di applicazione scientifica e da fonti di disturbo esterne (seeing, scintillazione fotometrica etc.), tale limite può aumentare limitando ulteriormente i risultati finali del processo di riduzione.
“The only uniform CCD is a dead one”
Esiste in natura un materiale chiamato silicio che presenta un’elevata sensibilità nell’intervallo di lunghezze d’onda da 1 a 10000 Å, e che quindi copre lo spettro dal vicino-infrarosso ai raggi X e UV.
Se poi il silicio viene trattato opportunamente e vengono usate le stesse tecniche di produzione dei cosiddetti “chips”, cioè dei circuiti integrati, si possono ottenere degli ottimi sensori di immagine.
Un CCD è un sandwich multi-strato composto da diversi wafers (o strati di profondità μ) a base di
silicio supportati su un relativamente spesso (~100μ) substrato di silicio.
il silicio o meglio il CCD, ha una efficienza quantica che si avvicina al 100% nel range 100-10 Å, e supera circa il 70% nel visibile.
Il CCD è un condensatore M.O.S. (Metallo, Ossido, Silicio). Applicando un potenziale all’elettrodo, consente di creare una regione dove accumulare cariche generate per effetto fotoelettrico.
Gli elettrodi sono costituiti da silicio poli-cristallino “trasparenti”. I canali di stop, detti anche isolanti a colonna, sono usati per definire le colonne della matrice CCD, mentre gli elettrodi le righe. Ogni pixel è formato da tre elettrodi adiacenti + il canale isolante colonna. Gli elettrodi centrali hanno carica positiva, mentre i due laterali sono collegati a massa, per formare un potenziale vicino alla superficie frontale del substrato di silicio drogato. Questo espelle le particelle portatrici di carica in più creando delle buche di potenziale. I fotoni passano attraverso gli elettrodi e sono assorbiti dal substrato di silicio, producendo coppie buca-elettrone proporzionali al numero di fotoni incidenti.
Questi elettroni foto-generati si accumulano nella parte superiore del substrato in “pacchetti” ordinati a singola carica, mentre le buche (controparte degli elettroni) si diffondono nel substrato di silicio.
Il CCD di questo tipo è noto come “architettura a immersione di canali“. Esiste una primitiva versione di CCD, detto ad “architettura a superficie di canali“, meno efficiente in termini di trasferimento di carica e rapidità di esecuzione del processo di trasferimento.
Al momento della lettura i pixels formano una “matrice di buche”, in cui ogni riga di carica è passata in basso lungo le colonne e infine orizzontalmente lungo la riga finale per essere quindi misurata e memorizzata in un formato digitale. Tutto ciò è naturalmente realizzato in parallelo lungo le terne di elettrodi. Nel momento in cui ciascuna riga raggiunge il fondo dell’array entra in un condotto orizzontale dove una terna di elettrodi simile alle precedenti muove i pacchetti verso i registri finali.
Nel raggiungere il fondo, ogni pacchetto di carica è amplificato da un circuito apposito e infine digitalizzato per la memorizzazione. La riga successiva nel frattempo segue lo stesso trattamento fino a quando l’intero CCD non venga svuotato delle cariche accumulate.
I fotoni con una certa energia, che dipende dalla lunghezza d’onda (hc/lambda), interagendo con il Silicio, eccitano gli elettroni di valenza e li fanno passare nella banda di conduzione, creando così una coppia elettrone-buca (e-b). I fotoni con una energia tra 1.1 e 5 eV generano una coppia e-b, mentre i fotoni con energia > 5 eV producono più di una e-b. Per esempio, alla lunghezza d’onda della Lyman-alpha (lambda = 1216Å), per ogni fotone si producono 3 coppie e-b. In pratica se l’energia di 1 fotone riesce ad eccitare 3 e-b, questi decadendo (transizione energetica) lasciano 3 buche. Il silicio in tal senso è uno dei più efficienti materiali semiconduttori con tale proprietà.
In condizioni di quiete un potenziale positivo sull’elettrodo centrale di un elemento MOS crea una buca di potenziale con gli e- raccolti vicino agli elettrodi e il substrato positivo. Durante il tempo di integrazione il dispositivo si mantiene in queste condizioni. All’arrivo dei fotoni, le cariche subiscono il potenziale separando gli e- che si raccolgono nelle lacune. Gli elettroni che arrivano nella zona di svuotamento diventano cariche utili e costituiscono il segnale.
In altre parole, una tensione positiva applicata all’elettrodo respinge le buche creando una regione di svuotamento, nella quale possono accumularsi le cariche utili quando arrivano i fotoni (in questo caso gli elettroni).
La fase successiva riguarda il trasferimento o l’accoppiamento di una carica accumulata sotto l’elettrodo con l’elemento successivo, per arrivare al circuito di uscita, dove verrà letto.
Si può vedere come, variando i potenziali nei vari elettrodi, variano le buche di
potenziale, e come si spostano le cariche.
area sensibile = scala piano focale * lato del CCD
QE = rapporto tra i fotoeventi prodotti e i fotoni incidenti
Nei CCD la QE è data dalla profondità di assorbimento (PA).
a 2500 Å la PA è circa 30 Å, ciò significa che l’interazione della radiazione a questa lunghezza d’onda avviene nei primi strati del materiale.
Dopo i 10000 Å il CCD, che ha uno spessore (quello utile per l’effetto fotoelettrico) di
circa 15 – 20 micron, diventa “trasparente“.
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