Trattare la superficie sensibile con materiale fosforescente che opera un cosiddetto “shift” di frequenza, cioè trasforma la radiazione UV in radiazione V (4500 – 5200 Å). In tal modo i fotoni trasformati in V possono essere raccolti.
Assottigliare il CCD e illuminarlo da dietro. In tal modo si elimina l’effetto di assorbimento da parte degli elettrodi.
Se consideriamo che i CCD con risposta estesa nell’UV raggiungono efficienze quantiche superiori al 30%, si può dire che in termini di QE questo sensore è il migliore rispetto a tutti gli altri.
Se paragoniamo poi il CCD con l’emulsione fotografica, risulta immediato che a 6000 Å il CCD è 70 volte più efficiente della pellicola fotografica, ovvero, a parità di condizioni, se per una sorgente debole con la lastra fotografica si deve integrare per 1 ora, con il CCD basta meno di 1 minuto.
Il rumore di un rivelatore è il responsabile della soglia inferiore della cosiddetta rivelabilità. Per osservare segnali molto deboli occorre che questo rumore sia il più basso possibile. Al limite, se il rivelatore non introducesse nessun rumore, l’unico a restare sarebbe quello della sorgente stessa (RSHOT = SQRT(Nfotoni)).
In un CCD le cause di rumore sono essenzialmente due:
Il rumore di lettura dipende dal tempo di lettura del singolo pixel.
Si usano tecniche di campionamento del segnale per attenuare tale rumore che richiedono un certo tempo (alcuni ms). I recenti CCD letti con un tempo di campionamento di circa 10 – 20 microsecondi presentano un rumore di circa 2 – 5 e- r.m.s. La EEV, ha sviluppato un nuovo circuito di uscita, basato su un doppio sistema di filtraggio e bufferizzazione. Si ha un RN più basso di 5 e- r.m.s. anche a frequenze di 500 Kpixel/s, e alle frequenze tipiche dei CCD scientifici (30 – 50 Kpixel/s) si ottiene un RN 1-2 e-.
La dinamica in un rivelatore di immagini è espresso dal rapporto tra il massimo segnale rivelabile (saturazione) ed il minimo segnale (sensibilità).
Esempio: nel caso di un CCD da 27 micron, letto con una frequenza di 50 Kpixel/s, si ha una
dinamica di 250000, se il rumore di lettura è di 3 e- r.m.s. Cioè si possono osservare sorgenti che differiscono tra loro di 250.000 volte in termini di intensità luminosa.
In astronomia, la dinamica è particolarmente importante nelle osservazioni di galassie, dove la differenza di luminosità tra il nucleo e le parti periferiche è elevata. Paragonata a quella della pellicola fotografica, che è di 100, la dinamica del CCD risulta impressionante
La capacità di trasferire la carica da un pixel al successivo viene detta efficienza di trasferimento.
La CTE viene solitamente espressa con un numero compreso tra 0 e 1.
Questa può diventare un parametro molto critico per CCD di grandi dimensioni. Infatti con 2K x 2K pixel con CTE tale da far perdere lo 0.01% di carica tra un pixel ed il successivo, alla fine il pixel più distante dal circuito di uscita avrebbe lasciato il 40% di segnale lungo i vari pixel.
Nella pratica i CCD vengono realizzati con CTE tali che per più di 2000 trasferimenti si perde solo il 2.5% di carica:
un CCD con 2048×2048 pixel ed una CTE di 0.999996, dopo 2048 trasferimenti, avrebbe un’efficienza di: 0.999996(2048×3) = 97.5%, (solo il 2.5% della carica perso).
Nel processo di fabbricazione dei CCD si possono formare certi difetti nella struttura. Questi difetti sono le cause di “intrappolamenti” delle cariche.
Quando un elettrone incontra una trappola, ci rimane per un certo tempo e successivamente viene rilasciato. I due tipi di difetti che si possono avere sono:
L’uniformità di un CCD è la capacità che ha ciascun pixel di rispondere allo stesso modo se viene illuminato uniformemente. Ovvero, ciascun pixel non è in grado di accumulare la stessa quantità di carica dei pixel adiacenti.
Essenzialmente esistono due tipi di cause che determinano la non uniformità dei pixel:
Esiste una tecnica, detta di “Flat fielding“, che rimuove la disuniformità; essa consiste in:
Qualsiasi dispositivo composto da Silicio soffre di un grande problema: l’agitazione termica. Infatti, data la bassa energia che separa la banda di conduzione da quella di valenza (Egap = 1.1 eV), è facile che un elettrone salti nella banda di conduzione solo per effetto termico.
Gli elettroni nella banda di conduzione costituiscono la corrente di fondo, dovuta all’agitazione termica ed esiste anche in assenza di segnale.
La curva esprime l’andamento della “dark current”.
Nel Silicio, ad ogni diminuzione di 7 °C si dimezza il valore della dark current. A -130 °C la
corrente di buio si riduce a circa 1 e- per ora per pixel.
In questo modo si possono fare esposizioni su oggetti deboli anche per ore ed ore.
I fotoni incidenti vengono trasformati in cariche (effetto fotoelettrico). La funzione di
trasferimento (FT) che descrive questo effetto è l’efficienza quantica.
Le cariche si accumulano sotto gli elettrodi e vengono trasferite da un elettrodo all’altro.
La FT è l’efficienza di raccolta o Charge Collection Efficiency (CCE).
Gli elettroni trasferiti vengono trasformati in V tramite il “circuito di uscita” del CCD, ed in
questo caso si somma il rumore di lettura.
La FT è espressa dal nodo capacitivo di uscita del CCD C = Q / V ovvero V = K e-.
Dal nodo di uscita del CCD il segnale in Volts viene amplificato e processato, e quindi la FT
è il prodotto delle varie FT della catena di amplificazione;
Il segnale in Volt viene trasformato in numero digitale dal Convertitore Analogico Digitale.
Una importante caratteristica per un controller CCD è quella di poter ottimizzare le osservazioni di oggetti deboli. Tutto ciò si traduce nel poter spostare e leggere la carica dei pixel in vari modi:
Lo sviluppo dei rivelatori bidimensionali per l’infrarosso (range: 1-5 micron) è iniziato nel 1970 presso la General Electric (primo rivelatore IR 32 x 32 pixel). Allo stato attuale si riescono a produrre agevolmente sensori da 1024 x 1024 pixel.
Questi rivelatori vengono realizzati in una forma “ibrida“, ovvero sono l’unione di due materiali: uno dove avviene l’effetto fotoelettrico e l’altro (Silicio) utile per la raccolta e lettura della carica.
I due materiali sono messi in “comunicazione” mediante piazzole di Indio.
Tre differenti tipi di tecnologia:
Qui è mostrata la struttura di un rivelatore HgCdTe, nel dettaglio si possono individuare gli elementi principali:
un substrato trasparente di Zaffiro, uno strato di HgCdTe e le piazzole di Indio che connettono i vari pixel al “multiplexer”, che deve poi leggere la carica.
Rivelatori per l'infrarosso. Fonte: STSI
I mosaici di rivelatori per il vicino infrarosso sono composti da due elementi: quello superiore è la matrice di rivelatori, costituita da uno strato fotosensibile di materiale semiconduttore; quello inferiore è la matrice di amplificatori ad integrazione per la lettura (in Si). I due elementi sono saldati tra loro per mezzo di piccole gocce di indio che realizzano anche i contatti elettrici per l’uscita del segnale ed il bias di ciascun rivelatore.
Schema di funzionamento:
Dal punto di vista costruttivo, il problema principale nella realizzazione di un telescopio infrarosso consiste nel ridurre il più possibile il rumore di fondo prodotto dall’emissione termica del telescopio.
Per poter raffreddare sia la meccanica che l’ottica e il rivelatore stesso, è necessario includere tutte queste parti in un contenitore (criostato) in cui venga realizzato un buon vuoto (in genere intorno a 10-5 mbar) e in cui la radiazione termica proveniente dall’esterno sia efficacemente schermata.
I rivelatori infrarossi devono operare in condizioni di basse temperature per evitare che siano saturati dalla loro stessa emissione termica o da quella delle parti opto-meccaniche che costituiscono lo strumento e dalla corrente intrinseca dello strumento (dark current).
La fotocorrente è data da: Ifotoni = qεφ
q = carica dell’elettrone,
ε= efficienza quantica del rivelatore (elettroni prodotti/fotoni incidenti)
φ= flusso dei fotoni sul rivelatore (fotoni/s).
Dato che la capacità del rivelatore non è costante ma dipende dalla d.d.p. di bias (la quale varia continuamente durante un’integrazione) esiste allora una tendenza dei rivelatori IR ad essere non lineari: fortunatamente, tale non linearità raramente supera il 10% ed è comunque correggibile tramite opportune calibrazioni.
l’unità elementare non è più il pixel (almeno dal punto di vista macroscopico), bensì il singolo CCD.
La tecnologia ha permesso di realizzare sistemi di controllo e di lettura parallela (beowulf) in grado di eliminare il problema del tempo di trasferimento delle cariche. Un esempio di CCD a mosaico è la camera ΩCAM. Si tratta di un mosaico di 32 CCD, (ogni CCD è del tipo EEV Marconi 44.82 modificato di dimensione 2048 x 4096 e pixel size di 15 _m), in grado di coprire un FOV pari ad 1.47 gradi quadrati.
La tecnologia di fabbricazione si basa su CCD a mosaico con elementi di separazione, “gap” dell’ordine dei 2-6 mm tra i CCD.
Il guadagno in termini scientifici è enorme, ma lo è anche il trattamento di moli incredibili di dati da processare e ridurre
Il PMT (PhotoMultiplier Tube) è basato sull'effetto fotoelettrico in grado di rivelare e amplificare un debole segnale luminoso trasformandolo in un segnale elettrico
Nei dispositivi basati sull’uso del silicio il passaggio da stato di inerzia a eccitazione, a causa
dell’assorbimento di un fotone ottico, è confrontabile all’energia del fotone. Ciò implica che solo un singolo elettrone è estratto per ogni fotone assorbito, senza correlazione diretta con la sua energia.
In un materiale super-conduttore, come il niobio, il transito di stato equivalente è tre ordini di grandezza maggiore, che implica un’estrazione di circa 1000 elettroni per ogni fotone ottico.
La quantità di carica generata da un fotone assorbito è proporzionale all’energia del fotone assorbito.
La risoluzione spettrale realizzabile dipende dal materiale e dalle specifiche del sensore a
superconduzione impiegato, ma è dell’ordine di 1:100 nel vicino ultra-violetto, variando in base alla radice quadrata dell’energia del fotone. Il nuovo progetto riguarda la realizzazione di rivelatori basati su materiale superconduttore, capaci di realizzare spettroscopia a risoluzione variabile in parallelo con imaging. Questi rivelatori costituiscono la prossima generazione dei CCD e sono chiamati sensori STJ (Superconductive Tunnel-effect Junction).
STJ : 2 pellicole sottili con proprietà di superconduzione, separati da uno strato sottile isolante.
Quando un fotone urta sulla giunzione, viene prodotta una radiazione elettrica proporzionale all’energia dell’impatto. Operando alla temperatura di 0.1Tc (Tc è la temperatura critica dei Superconduttori ~ 134K), e applicando un segnale di bias con in parallelo un campo magnetico, in modo da sopprimere la corrente di Josephson, la carica elettrica può essere rivelata come segnale di corrente.
I dispositivi STJ risultano estremamente promettenti come rivelatori astronomici a conteggio di fotoni dall’UV al visibile. Essi possono discriminare sia la localizzazione di un evento fotonico, sia la lunghezza d’onda del fotone.
Come contropartita, questi rivelatori presentano notevoli difficoltà di realizzazione, dovute essenzialmente alle temperature di regime, alle conseguenti dimensioni e ai test di fabbricazione nell’X, basati sull’irradiazione di sorgenti radioattive, preliminari alle prove con i fotoni ottici.
Occorre quindi attendere che la tecnologia si evolva in modo da permettere l’abbassamento dei costi di fabbricazione, prima di ipotizzare il montaggio di un rivelatore STJ al fuoco di un telescopio, magari l’HST.
La giunzione Josephson si basa sull’effetto tunnel che è un effetto caratteristico della
meccanica quantistica. La figura mostra due elettrodi metallici di Niobio isolati da un
isolante spesso, tranne che in una regione di _m in cui sono separati da una sottile
barriera di pochi nm di ossido di Alluminio.
Se la temperatura è sufficientemente alta, superiore a quella critica degli elettrodi
(Tc = 9.2K nel caso del Niobio), la barriera tunnel si comporterà come una resistenza
che segue la legge di Ohm. Il valore della resistenza dipende esponenzialmente dallo
spessore della barriera stessa, a causa dell’effetto tunnel.
Al di sotto della temperatura critica Tc il Niobio diventa superconduttore.
A bassa temperatura (T la legge di Ohm, perché le cariche elettriche responsabili del passaggio di corrente attraverso la giunzione non sono elettroni “liberi” di un metallo, ma coppie di bosoni, responsabili del tratto verticale al centro della figura e non possono contribuire alla conduzione finché non viene applicata alla giunzione una differenza di potenziale V che fa superare loro il gap di energia. A quel punto le quasi-particelle contribuiscono al passaggio di corrente dando luogo ad una risposta che sostanzialmente segue la legge di Ohm. Questo fatto lo si può osservare come un brusco aumento della corrente ad una data tensione ed un comportamento lineare per tensioni superiori.
Discriminazione intrinseca della lunghezza d’onda, senza introduzione di elementi ottici esterni. Ciò rende gli STJ esenti da perdita di risoluzione e di sensibilità.
Ampio range spettrale: sensibili alle radiazioni dai raggi X al sub-millimetrico, a seconda della particolare scelta del materiale di costruzione. In particolare: il limite basso della lunghezza d’onda dipende dal substrato. Usando lo zaffiro, occorre circa a 145 nm, (lontano UV), ben più basso del limite di trasmissione dell’atmosfera a ~310 nm. Il limite alto è il rapporto S/N, il punto cioè in cui il segnale di carica, da fotoni a bassa energia, si confonde nel segnale di background termico dovuto al telescopio e all’ambiente circostante, corrispondente al vicino infrarosso (alcuni micron).
Elevata efficienza quantica: determinata da perdite di riflessione occorrenti nel substrato e nell’interfaccia superconduttore/substrato. Materiali come il tantalo, niobio hanno eccellenti qualità ottiche. Per esempio, il tantalo retro-illuminato attraverso un substrato spesso 0.5 mm di fluoruro di magnesio mostra un’efficienza in eccesso del 55% a tutte le lunghezze d’onda sotto 600 nm, raggiungendo oltre il 70% alle lunghezze d’onda del lontano UV. La predetta alta efficienze nell’UV è di particolare interesse per l’astronomia spaziale, poiché tutti i rivelatori all’ultra-violetto fino ad ora utilizzano foto-catodi semi-trasparenti con un’efficienza quantica dell’ordine del 20%.
Elevata risoluzione temporale: un’importante proprietà dei rivelatori STJ è la loro elevate velocità.
La generazione di carica negli STJ avviene su scale di tempo dell’ordine dei nanosecondi, mentre il tempo di accumulo dipende dal tempo caratteristico del dispositivo. Per cui gli STJ potrebbero operare come contatori di fotoni a frequenze pari a 100KHz (fotometria ad alta velocità di sorgenti variabili).
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