Il motore elettrico è un sistema elettro-meccanico per la conversione dell’energia; il sistema può essere rappresentato dal diagramma a blocchi
Le macchine rotazionali constano di due corpi solidi (rotore e statore), la cui posizione mutua può essere modificata, agendo su di un solo grado di libertà.
Applicando la Seconda Legge di Newton a questa configurazione si ottiene:
dove τm è la coppia prodotta dalla macchina, τl è la coppia di carico, Jm e Bm sono, rispettivamente, il momento d’inerzia e la frizione che è data da un contributo, dovuto ai cuscinetti interni, costante del motore, e da un altro, dovuto al campo magnetico tra rotore e statore. La velocità angolare dell’albero, ωm, è la derivata della posizione angolare istantanea dell’albero Θm(t).
Il sottosistema elettrico è costituito di differenti conduttori accoppiati magneticamente, solitamente riferiti alle fasi. Alcune fasi risultano stazionarie rispetto al rotore, e altre rispetto allo statore; il comportamento di ciascuna fase è determinato da tre grandezze terminali:
La corrente elettrica passa in un avvolgimento di spire che si trova nel rotore. Questo avvolgimento, composto da fili di rame, crea un campo elettromagnetico al passaggio di corrente. Questo campo elettromagnetico è immerso in un altro campo magnetico creato dallo statore, il quale è caratterizzato dalla presenza di due o più coppie polari (calamite, elettrocalamite, ecc.). Il rotore per induzione elettromagnetica inizia a girare, in quanto il campo magnetico del rotore è attratto dal campo magnetico dello statore e viceversa. Ogni mezzo giro la polarità cambia, in modo da dare continuità alla rotazione. Durante la trasformazione, una modesta parte dell’energia viene dispersa per effetto Joule.
Qualora il raggio del rotore fosse fatto tendere all’infinito, questo diventerebbe una retta (centro del raggio all’infinito) e la macchina assumerebbe una geometria lineare: praticamente lo statore e il rotore vengono come srotolati sul piano.
Questo motore è chiamato motore sincrono lineare e trova applicazione nella trazione ad alta velocità
Il motore in corrente continua (brevemente motore in CC) è stato il primo motore elettrico realizzato, ed è tuttora utilizzato ampiamente per piccole e grandi potenze, inoltre tale motore può funzionare da dinamo (tachimetrica).
Quando la corrente scorre negli avvolgimenti, si genera un campo magnetico intorno al rotore. La parte sinistra del rotore è respinta dal magnete di sinistra ed attirata da quello di destra. Analogamente fa la parte in basso a destra. La coppia genera la rotazione. Nascono forze di attrazione e repulsione con i magneti permanenti fissi (indicati con N ed S).
La velocità di rotazione dipende da:
La coppia generata è proporzionale alla corrente
I motori elettrici più utilizzati sono quelli asincroni trifase a gabbia di scoiattolo. Possono avere forme e dimensioni differenti a seconda della potenza e del tipo di applicazione.
Quando si acquista un motore i dati principali da considerare sono: La tensione applicata V (es. trifase 220-380V)
La potenza del motore espressa in Kw o HP (es. 0,18 – 0,37 – 0,75 Kw)
Il numero di giri g/m (es. 1400g/m più utilizzato)
La grandezza GR che indica la dimensione
(es. gr71 – 80 – 90)
La forma costruttiva (es. B14 – B5 – B3)
Le applicazioni particolari possono essere:
Tropicalizzato: realizzazione del motore in tecnologia particolare per adattarlo a particolari condizioni di lavoro estremamente critiche (tipo alte temperature)
Servoventilato: al posto della tradizionale ventola di raffreddamento viene applicata una ventola elettrica di solito alimentata con tensione uguale a quella del motore.
Autofrenante: aggiunta di un freno e.m. per far sì che in assenza di tensione il motore si blocchi istantaneamente e ridando alimentazione il freno si sblocca.
Con camicia di cooling: viene applicato un rivestimento nel quale una rete di radiatori a liquido refrigerante assorbono il calore prodotto, rimescolato poi in una vasca di ricircolo.
P=potenza fornita dal motore in KW
I=intensità di corrente (A)
V=tensione ai morsetti (V)
cos φ=fattore di potenza
η =rendimento %
Col termine motore elettrico si definisce una macchina elettrica in cui la potenza di ingresso è di tipo elettrico e quella di uscita è di tipo meccanico . Al motore elettrico è in genere richiesto un particolare comportamento. Tale comportamento viene realizzato inserendo il motore in un azionamento elettrico. L’azionamento elettrico può essere considerato come un particolare sistema che converte l’energia elettrica che riceve in ingresso, in energia meccanica in uscita. Tale conversione avviene in genere mediante l’uso di elettronica di potenza e seguendo una particolare funzione, detta funzione di comando. In tal modo è possibile far seguire ad un motore elettrico un comportamento desiderato per uno scopo prefissato.
Il movimento desiderato (Set Point) entra nel controllore. Il controllore a sua volta confronta il movimento desiderato con una informazione che torna indietro dal motore elettrico (retroazione). Se i due segnali, set point e segnale retroazionato, differiscono, il controllore elabora una adeguata azione di controllo, tale da far seguire al motore elettrico il movimento desiderato. Il segnale di controllo in uscita entra al convertitore che poi alimenta il motore elettrico.
Dato il principio di funzionamento, un motore elettrico fa sempre muovere l’albero motore di moto rotatorio; un metodo per ovviare a questo problema nel caso in cui si abbia necessità di un moto lineare è l’applicazione all’albero motore di un glifo oscillante, componente meccanico che converte appunto il moto rotatorio in rettilineo oscillante.
A causa di attriti dinamici nei contatti dente-dente, giochi meccanici residui, errori di arrotondamento nei rapporti di riduzione, la trasmissione del moto dalla CPU all’asse può presentare degli errori elettro-meccanici di posizionamento, che con l’andare del moto si accumulano, introducendo una deriva dell’asse rispetto alla posizione di riferimento (nei telescopi ciò implica la perdita del centroide oggetto sul piano focale). Per ovviare a ciò si è soliti introdurre un sistema multi-motore strutturato a coppie. In ciascuna coppia c’è sempre un motore che “spinge” ed uno che “frena”. In tal modo, il contatto preciso tra gli ingranaggi è garantito. In pratica è come se stessimo precaricando una molla.
Ogni asse incorpora 4 motori in configurazione simmetrica e accoppiati attraverso ghiere dentate ai rispettivi assi. I motori sono controllati a coppie e la “coppia” di precarico è applicata a ciascuna coppia di motori per eliminare backlash (errore di trascinamento) e giochi meccanici dente-dente. Tale “coppia” di precarico è ottenuta attraverso un algoritmo software adattivo, inserito nello schema di controllo dell’asse. Esso regola la “coppia” di ciascun motore in base all’accellerazione ed alla “coppia” istantanee richieste dal sistema.
Poiché la variazione repentina di “coppia” applicata può essere fonte di disturbo (oscillazioni dell’asse), si tende ad applicare una variazione di “coppia” proporzionale alla richiesta del sistema nel tempo. Ciò provoca anche un valore aggiunto: il giusto dispendio di energia in funzione della reale necessità, riducendo la produzione di calore nel motore per effetto Joule.
Lo schema rappresenta il flusso dell’algoritmo, in cui l’errore di velocità filtrato dallo speed controller viene convertito in valore di tensione di azionamento input al controllore di preload che calcola la coppia dinamica da applicare e distribuire ai vari motori per applicare il precarico corretto, in base alla direzione e accellerazione richieste dal sistema nel tempo.
La “coppia” di preload statico dipende da quella richiesta nel tempo dal sistema:
Lo step iniziale è porre la “coppia” dinamica pari a quella minima e poi impostare e tarare la seguente “coppia” di preload statico su base empirica:
Successivamente, si attiva la legge di variazione dinamica che garantisce l’aumento o riduzione graduale della “coppia” in base alla reale necessità. Tale legge impone anche un limite intrinseco alla “coppia” max erogabile dal sistema (sicurezza).
Alcuni parametri iniziali della legge di precarico si possono derivare da semplici esperimenti empirici sul telescopio montato.
Usando un dinamometro (strumento in grado di misurare la forza per vincere la resistenza inerziale di un carico), per esempio è possibile quantificare la “coppia” minima richiesta da un asse del telescopio per innescare il movimento. Sapendo il “braccio”, ossia la distanza tra il centro dell’asse e il punto in cui si applica il dinamometro, si ottiene il valore in Nm necessari per muovere l’asse. Per conoscere l’istante esatto di inizio del moto, basta collocare un micrometro sulla ghiera dell’asse e tenerlo d’occhio costantemente.
Il sistema si può migliorare se si dispone di un micrometro elettronico con soglia di allarme sonoro, una bilancia elettronica e la conoscenza precisa della costante gravitazionale nel sito. Ma per gli scopi di semplice taratura iniziale dello schema di preload, sarebbe inutile.
In termini di comando di corrente, il valore della “coppia” è dato da:
La distribuzione finale ai vari motori è quindi:
Come ormai intuito, lo schema di azionamento di un asse di un telescopio è assimilabile ad un classico servomeccanismo di posizione, costituito cioè da un motore, un riduttore ed un carico.
Il problema di controllo si pone nei termini di governare il moto del carico, modulando opportunamente la coppia erogata dal motore. Possono presentarsi diversi scenari per quanto riguarda la sensorizzazione del sistema: si può infatti disporre, per la soluzione del problema di controllo, di misure di posizione o velocità del motore e/o della posizione del carico.
Un modo realistico di affrontare il problema di controllo, consiste nell’assumere l’insieme motore, riduttore e carico come un accoppiamento elastico-viscoso tra due corpi. Le equazioni del sistema sono allora le seguenti:
Passando alla rappresentazione mediante le funzioni di trasferimento (tr. di Laplace della risposta all’impulso nel dominio complesso) del sistema, si ottiene il seguente schema a blocchi:
il sistema presenta due ingressi. Le uscite possono essere le posizioni e/o velocità del motore o del carico, in base a ciò che interessa studiare.
Tutte le grandezze in gioco (momenti d’inerzia, attriti, costanti elastiche, coppie) devono essere fornite al progettista del sistema di controllo dal team di progettisti meccanici e a valle dell’analisi FEA che ne verifica le tolleranze e le bande di risonanza rispetto alle specifiche del sito (terremoto, rigidità strutturali costruttive, wind buffeting, specifiche motori e azionamenti elettromeccanici).
Questa funzione di trasferimento può essere utilizzata conoscendo il comportamento del carico, ad esempio da una verifica pratica realizzata mediante iniezione di rumore bianco e analisi banda di risposta del sistema alle vibrazioni mediante oscilloscopio. Con essa si può verificare il corretto dimensionamento della catena di azionamento (lato motore).
Questa funzione di trasferimento è in realtà quella più usata, per il tuning iniziale dei filtri di controllo usati (PI, PID etc.), una volta scelto il sistema di azionamento dell’asse (motori, drives, trasduttori di posizione e velocità, schema di precarico di coppia). Il tuning finale avviene mediante movimentazione dell’asse e taratura manuale dei guadagni del filtro di controllo, usando come feedback il valore di errore RMS di velocità e posizione a varie velocità del sistema (pointing/tracking).
Quanto abbiamo appreso, possiamo trasferirlo al caso di nostro interesse diretto: un telescopio. Le matrici J (momenti inerzia), D (attriti), K (rigidezze) e T (coppie) sono dunque legati in modo generico dal sistema di equazioni differenziali del secondo ordine:
Rispetto agli esempi visti, in questo caso il sensore di posizione è connesso al carico (asse), quello di velocità al motore. Inoltre è utilizzata la legge di preload e i due loop (pos e vel) sono filtrati da due PI classici.
Tutte le quantità e le metodologie esaminate finora servono per quantificare e dimensionare le specifiche costruttive per i sistemi ottici, meccanici, elettronici e software. L’obiettivo finale è garantire la necessaria precisione e dimensione dell’immagine sul piano focale. Per motivi ovvi, nessun sistema può essere ritenuto perfetto. Per ciascuno è quindi necessario verificare che le tolleranze e gli errori funzionali e costruttivi siano quantificabili, mantenendo il giusto compromesso fra complessità tecnologica e qualità delle immagini.
Tutto il processo di progettazione del telescopio deve essere monitorato e iterato sulla base di un indice di qualità che fornisca la soglia entro la quale si possa “rilassare” le specifiche tecnologiche del progetto.
Tale indice è il cosiddetto error budget: un criterio in cui la somma quadratica (RMS) dei contributi di errore di tutti i componenti del telescopio sia costantemente confrontato con un parametro soglia. In esso si deve naturalmente anche tenere conto delle limitazioni ambientali del sito (seeing).
La metrica genericamente usata è la seguente:
Dove il contributo della singola fonte d’errore è dato da:
I seguenti sono i vari contributi di errore per i vari sottosistemi:
Il modo più semplice per valutare l’indice di prestazione è rappresentare la PSF dell’immagine sottoforma di una funzione gaussiana, analizzandone il profilo con un criterio che tenga conto dei contributi di errore del sistema.
Vi sono vari criteri per valutare l'error budget, tutti comunque riferentesi alla PSF (gaussiana) dell'immagine sul piano focale
Il raggio RMS, ossia la distanza dal centro della PSF immagine, intesa come deviazione radiale dell’intensità luminosa (flusso) definita dalla sorgente, è un criterio che si basa su valutazioni statistiche. La sua espressione molto complicata, si semplifica molto se si approssima la PSF ad una gaussiana. In tal caso, considerando σ l’image shift RMS sul piano focale in arcsec (vedi tabella accanto):
Attraverso lo shift immagine, tutte queste funzioni sono fra loro collegate. Le due più usate sono il CIR e d80, che insieme completano le informazioni necessarie alla valutazione.
Supponendo di avere un telescopio in un sito con 0.6″ di seeing, con una specifica di EE (encircled energy) pari all’80% dell’energia in 2 pixel, si ha:
Questa è la specifica teorica (soglia) entro la quale la somma di tutti i contributi di errore dai vari sottosistemi devono essere mantenuti.
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