La morte
Un tema come la morte è sicuramente un argomento delicato nonché scomodo.
Spesso può accadere che nei confronti di coloro che affrontano tali tematiche, si sviluppi un certo pregiudizio: molto spesso si è portati a credere che dietro un tale interesse si nasconda qualcosa di morboso, se non qualche conflitto personale irrisolto.
A volte si innesca anche un meccanismo, che potremmo definire irrazionale, di timore: ragionare sulla morte, potrebbe risvegliare la morte stessa.
Ma cos’è la morte? Quali sono i comportamenti che suscita?
L’impensabilità della morte
Sicuramente tutti abbiamo un’idea della morte, tutti sappiamo che essa fa parte della nostra esistenza. Ma è anche vero che questo convincimento è puramente razionale e quasi per niente interiorizzato, profondo. Ciò emerge nel momento in cui un individuo apprende la notizia di dover morire.
«Quando la consapevolezza si realizza e assume un’abbagliante evidenza vengono meno anche le nostre tradizionali ed automatiche strategie di difesa.» [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 161]
Letture:
L’impensabilità della morte
Di fronte ad una tale notizia crolla quella sicurezza che accompagna il vivere quotidiano, fatto di routine consolidate, e la morte vede sfumare quella posizione di marginalità cui sembra essere relegata nello svolgersi della ripetitività dei giorni.
La morte per l’uomo moderno è quindi un fenomeno impensabile.
Nel momento in cui stiamo per morire o quando ci troviamo di fronte al cadavere di una persona a noi cara, non siamo in grado di aggrapparci ad alcun valore, idea, comunemente condivisa.
L’impensabilità della morte
Alla nostra società manca essenzialmente un linguaggio che ci permetta di definire e chiarire la morte, non siamo in possesso di una costruzione simbolica che la giustifichi, la spieghi in modo convincente.
Nella nostra cultura in pratica non siamo in grado di pensare la morte, quantomeno per poterla respingere come paura; a tutto ciò si aggiunge anche l’incapacità di accettare la sofferenza che si lega alla morte.
La pornografia della morte: nuovi tabù moderni
Intorno al 1955, lo psicoanalista e sociologo Geoffrey Gorer, scrisse un articolo intitolato La pornografia della morte, in cui dimostrava come nel mondo occidentale la morte fosse diventata qualcosa da mettere da parte, da allontanare dalla vita sociale.
Parlare della morte era considerato di cattivo gusto, la morte si costituisce dunque come un nuovo tabù così come il sesso lo era stato in epoca vittoriana.
La morte nella società moderna
Negli anni Settanta tutti gli studi sulla morte, tendono a confermare l’esistenza di questo tabù. Questi studi sono caratterizzati tutti da una critica nei confronti della società contemporanea, ritenendo il rifiuto della morte il principale indicatore della sua crisi.
Non va trascurato il fatto che la società moderna nasce sulle basi della società cristiana, che deriva il suo successo anche dalla presunta vittoria sulla morte (pensiamo al fatto che la resurrezione è alla base del culto cristiano).
La morte nella società moderna
Quindi, nel momento in cui una soluzione ad un tema come la morte, così difficile da affrontare, viene interiorizzata, diventa comporta un enorme peso sul piano psicologico:
« [...] l’abbandono di una credenza, o almeno la messa in discussione d’essa, è sempre doloroso, poiché richiede la riprogrammazione di mappe cognitive [...] » [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 165]
Morte e società moderna: il disincanto
In realtà il primo studioso a mettere in relazione la trasformazione della società alla perdita del significato della morte, fu Max Weber.
Nella sua analisi dello sviluppo della modernità, costatava come il processo di modernizzazione (disincanto) avesse tra le sue principali caratteristiche la perdita di un significato ultimo.
Paradossalmente, questa società determinava così rapidamente e senza soluzioni di continuità nuovi fini, da non riuscire ad avere però un fine ultimo.
Risorse:
La morte antica e morte moderna
L’uomo delle società antiche, sufficientemente anziano, trovandosi nel ciclo organico della vita, poteva dire di aver risolto tutte le aspettative di senso che l’esistenza gli aveva posto, non restavano ulteriori enigmi da risolvere, aveva esaurito i significati della sua vita e poteva dirsi pronto a morire.
Oggi questo non può avvenire. L’uomo contemporaneo è inserito un movimento senza fine, sempre mutevole e non è in grado di esaurire nulla, non potrà mai risolvere tutti gli enigmi, e quindi non potrà morire sazio come l’uomo antico.
Morte legittimata
Arriviamo dunque a distinguere due concetti diversi di morte.
Morte legittimata: ovvero spiegata, giustificata, collocata all’interno di un Universo Simbolico.
Incontriamo un tipo di morte legittimata, nelle società più antiche in cui la visione del modo possiamo definirla olistica, dove la totalità viene prima delle singole parti di cui è composta.
Un società in cui il livello di individualizzazione è molto scarso e in cui le azioni degli uomini sono prescritte.
Morte legittimata
In questo tipo di società un evento come la morte, pur costituendo un evento doloroso, viene affrontato come parte dell’esistenza.
Legittimando la propria morte un uomo antico legittima se stesso e l’ordine di cui fa parte. Quindi in un certo senso la morte non è una forza disgregante ma anzi, necessaria al mantenimento dell’ordine sociale.
Inoltre in queste società la morte non è un fenomeno solitario, ma obbliga le persone a unirsi nel processo di ritualizzazione che l’accompagna, processo fondamentale alla legittimazione stessa della morte.
Morte delegittimata
Morte delegittimata: contrariamente a quanto prima affermato, la morte è delegittimata quando non trova posto all’interno di un Universo Simbolico, in grado di spiegarla e giustificarla.
Ciò avviene nella società occidentale moderna dove la morte non è più considerata il completamento della vita, essa rappresenta un evento di fronte al quale crolla tutta la razionalità dell’uomo moderno, quella razionalità rassicurante, nata proprio per fugare ansie e paure collettive ma che si rivela inutile nel momento in cui l’individuo moderno si trova di fronte all’imminenza della propria fine.
Nella società moderna non esistono più modelli a cui aderire, schemi di condotta, azioni prescritte come nella società antica, ma esiste solo un individuo preoccupato di se stesso. Essendo un mondo ego-centrato, l’uomo non partecipa di un Noi, non è inserito in una collettività in grado di permettere il legame con chi ci circonda, con chi ci ha preceduto e con chi verrà dopo di noi, non fa parte di un continuum che riesce a dare n senso partecipativo alla vita quanto alla morte.
Il cinema e la morte
1. L'approccio fenomenologico allo studio della realtà sociale
2. Esteriorizzazione e Oggettivazione
3. Interiorizzazione e Socializzazione
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7. J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo
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