Nel corso degli anni ‘90 si è sviluppato in letteratura un dibattito relativo alla globalizzazione di strumenti e modalità di conduzione delle campagne elettorali. In particolare, il dibattito verte sull’idea che la globalizzazione coincida con una americanizzazione della campagna, cioè con la tendenza ad imitare il modello statunitense.
In tal caso, l’americanizzazione avverrebbe in diversi modi:
Dall’altra parte, si collocano contributi come quello di Margaret Scammel (1997) – dal titolo The Wisdom of the war Room – in cui l’autrice cerca di riprendere le fila del dibattito, concludendo che l’ipotesi più credibile sia quella che valuta anche i limiti dell’influenza americana sulle campagne d’oltreoceano e la rilevanza dei fattori endogeni.
Piuttosto, quindi, sottolinea la Scammell, ha senso ritenere che:
«i metodi american-style sono più probabilmente acquisiti nelle pratiche elettorali di contesti stranieri in quei paesi in cui le condizioni delle campagne elettorali tendono ad essere più simili a quelle degli Stati Uniti» (Scammell 1997, p. 16).
Le condizioni cui fa riferimento sono le variabili strutturali che influiscono sul modo in cui le campagne elettorali vengono condotte in un paese: il sistema elettorale e la struttura della competizione partitica; la regolamentazione (es. finanziamento ai partiti); la struttura dei media; lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione; la forza della cultura politica nazionale.
In generale, si può dire che, al di là delle peculiarità nazionali dovute a fattori endogeni, è possibile osservare nel contesto dei paesi occidentali un trend comune di cambiamento delle modalità di gestione delle campagne elettorali, i cui tratti salienti sono: la professionalizzazione, la personalizzazione e il crescente ricorso all’immagine e alle tecnologie della comunicazione.
Il paradigma della professionalizzazione è forse quello che più di altri caratterizza la recente evoluzione delle campagne elettorali (Lezione 14). L’affermazione di questo paradigma vede prevalere contemporaneamente la specializzazione delle competenze e la centralizzazione organizzativa.
Questo significa che, come accade per la comunicazione d’impresa, la comunicazione politica tende ad essere gestita all’interno di un quartier generale centrale, dal quale partono tutte le decisioni strategiche. Decisioni che sono il frutto della confluenza di numerose e diversificate competenze.
La diffusione della strategia della war room rappresenta dunque un aspetto particolare del più ampio fenomeno della professionalizzazione delle campagne elettorali.
La War Room è, dunque, letteralmente la stanza della guerra, in cui sono elaborate le strategie per la gestione del conflitto/competizione elettorale. Le sue caratteristiche principali sono la temporaneità della struttura e la natura avversariale del confronto che è chiamata a gestire.
Nella war room sono prese tutte le decisioni, sia quelle riguardanti le strategie di lungo periodo, sia quelle che si rivolgono a riassestamenti necessari come risposta a cause contingenti.
Perché queste funzioni siano realizzate con efficienza, nella war room sono presenti specialisti di ogni settore, dai sondaggisti, agli esperti di software (come quelli del targeting) agli esperti di opposition research (Mancini 2001 in Mazzoleni).
La prima esperienza di War Room è stata messa in atto da Clinton, per le elezioni del 1992. In quella occasione, per la prima volta, il quartier generale di una campagna era coordinata da un generale noto al pubblico, James Carville, accompagnato dal consulente/sondaggista Stanley Greenberg, e gestita interamente a partire da una stanza pullulante di esperti e consulenti in costante attività.
Questo primo impiego della nuova strategia è stato anche oggetto di un documentario, che mostra l’attività della war room rendendo evidente come questa consenta (come mai prima si era potuto) di rispondere in tempo reale alle mutate condizioni del contesto di battaglia.
L’esperienza della war room è stata mutuata in Europa per la prima volta per la campagna elettorale di Tony Blair (1997). Il consulente Peter Mandelson è colui che ha pensato di centralizzare la coordinazione della campagna nella sede di Millbank Tower.
In continuità con il modello americano, anche Blair ha un incontro di inizio settimana con lo staff che lo tiene aggiornato dell’evolversi della campagna e, attraverso il sondaggista Philip Gould, della composizione dell’opinione pubblica. Tutto l’apparato è impegnato nell’analisi del contesto elettorale, al fine di elaborare le strategie più coerenti.
Qui: Img blair mandelson
Tony Blair e l’”ombra” Pete Mandelson
Il modello Blair è stato poi seguito in Germania con la campagna per l’elezione di Schroeder (1998).
Questi «ha istituito il Kampa, un’unità centrale incaricata di prendere tutte le decisioni relative alla campagna elettorale. A capo del Kampa è stato nominato un coordinatore di partito, Mathias Maching coadiuvato da un esperto esterno, Bodo Hombach. Ambedue si sono trovati d’accordo nel fare in modo che almeno due terzi del Kampa fosse costituito da professionisti esterni al partito» (Mancini 2001, in Mazzoleni, p. 157).
Un altro caso esemplare è quello italiano di Forza Italia, che rispetto agli esempi presedenti, presenta diverse di peculiarità. Il partito Forza Italia, infatti, nasce in discontinuità con la tradizione partitica italiana, da un progetto unitario, con una struttura organizzativa fortemente accentrata e con un alto livello di professionalizzazione. La scelta di strutturarsi come partito leggero implica che vi sia un grande ricorso a professionisti esterni al partito e che questo fornisca solo linee guida strategiche. Il settore comunicazione offre consulenza al leader quanto candidati locali e sedi decentrate e propone la cornice di comunicazione.
L’incontro settimanale che si tiene sul modello della war room è denominato tavolo per l’Italia, che significativamente si tiene ad Arcore in presenza del leader Berlusconi.
Sebbene il partito di Berlsuconi rappresenti un caso particolare nella storia politica italiana, esso non è l’unico esempio di war room. Un’organizzazione analoga è stata approntata per la campagna di Francesco Rutelli del 2001 attraverso il suo consulente Paolo Gentiloni. La sede del comitato di Piazza santi Apostoli a Roma ha costituito il centro direttivo dell’intera campagna. In essa si sono ritrovati consulenti, che hanno delineato formule comunicative all’avanguardia – anche se con un risultato decisamente differente. Tra gli altri è da sottolineare la partecipazione dello stesso Stan Greenberg, che aveva dato vita all’esperienza della war room di Clinton.
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Mancini 2001, approfondimento in Mazzoleni, pp. 157-8