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Rosanna De Rosa » 16.La Campagna Permanente: Presidenza Retorica e Going Public


Premessa

Durante gli anni ‘80 e, più in particolare, nel corso della presidenza Reagan, si afferma una nuova stagione della politica. Il segno del passaggio alla nuova fase sono tuttavia già presenti in precedenti riflessione come quella riportata da Patrick Caddell, giovane consulente e sondaggista del presidente Jimmy Carter.

All’interno di un memo – intitolato Initial Working Paper on Political Strategy – presentato nel dicembre del 1976 a Carter, candidato alla presidenza, Caddell infatti scriveva:

«nel pianificare una strategia per l’amministrazione è importante riconoscere che non si può separare politica e governo… essenzialmente, la mia tesi è che governare con il consenso pubblico richiede una campagna elettorale continua».

Sidney Blumethal, The Permanent Campaign

Il concetto di campagna permanente si afferma in seguito, con la pubblicazione nel 1980, del testo The Permanent Campaign di Sidney Blumenthal.

Il cuore del concetto si riassume con la frase che apre il testo, in cui Blumenthal rileva che:

«la campagna permanente è l’ideologia politica della nostra epoca. Questa combina la creazione di immagine al calcolo strategico. Nella campagna permanente il governare si trasforma in una campagna elettorale perpetua e converte il governo in uno strumento di sostegno della popolarità degli eletti» (Blumenthal 1980, p. 23).

Sidney Blumenthal, autore di: The Permanent Campaign, (1980)

Sidney Blumenthal, autore di: The Permanent Campaign, (1980)


La Campagna Permanente

Con il termine campagna permanente, dunque, si intende un processo per cui le attività del governare e del fare campagna si avvicendano senza soluzione di continuità, configurando il processo politico come un percorso ciclico, dove la fine di una campagna elettorale segna l’inizio dei lavori per la successiva.

Ma non si tratta solo di una questione di durata. La campagna permanente implica, infatti, l’utilizzo in fase di governo (quindi anche per il perseguimento di specifici obiettivi legislativi) di strumenti e relazioni con il pubblico tipici delle campagne elettorali.

Essa si caratterizza, dunque, per la persistenza del ricorso a strumenti e specialisti di campagne elettorali anche dopo l’entrata in carica del candidato vincente. Quando, cioè, in genere si abbandonano le armi della propaganda elettorale.

Le condizioni della campagna permanente

Non a caso, Blumenthal identifica come caratteristica più visibile della campagna permanente proprio l’affermazione dei consulenti, sostenendo che:

«i consulenti politici sono il nuovo potere all’interno del sistema politico americano. Loro sono permanenti; i politici sono effimeri» (Blumenthal 1980, p. 17).

I consulenti hanno nei fatti sostituito i professionisti di partito, assumendo il ruolo di nuovi protagonisti della scena politica.

Dunque, il declino dei partiti e l’emergere della nuova consulenza politica – cui si lega il massiccio ricorso a nuove strategie di comunicazione e a tecnologie più sofisticate – sono identificate da Blumenthal come le due condizioni perché si realizzi la campagna permanente.

Per approfondimenti su permanent campaign e presidencial polling vedi: Tenpass e McCann

I trends della campagna permanente

Heclo, nel suo contributo al testo a cura di Ornstein e Mann (2000), The Permanent Campaign and Its Future, specifica ulteriormente tali condizioni, identificando sei trends generali che influiscono nel creare la campagna permanente:

  1. il declino dei partiti come fonte centrale della nomina di candidati per i pubblici uffici e della mobilitazione degli elettori;
  2. una politica dei gruppi di interesse aperta;
  3. la nuova tecnologia delle comunicazioni;
  4. le nuove tecnologie politiche e in particolare le pubbliche relazioni e i sondaggi d’opinione;
  5. il nuovo bisogno di fondi, che ha portato ad una ricerca non-stop;
  6. il rafforzamento del governo centrale.

Per definire meglio il concetto

Nell’ottica dell’autore, questi fattori sono chiaramente interdipendenti e tracciano un quadro di cambiamento sostanziale, che difficilmente subirà inversioni di tendenza, anche qualora uno (o più) dei trends definiti cambi direzione.

Oltre alle condizioni, ciò che aiuta a definire il concetto di campagna permanente in maniera più articolata è – come suggeriscono Ornstein e Mann nell’introduzione al testo The Permanent Campaign and its Future – la comprensione delle principali differenze che intercorrono tra i concetti di governing e campaigning.

Distinzione dei concetti di Governing and Campaigning

Secondo questi autori è possibile tracciare la differenza tra i due concetti sulla base del modo e dello scopo che riguardano l’azione del governare o del fare campagna.

In tal modo si distinguono tre differenze fondamentali:

  1. il campaigning si focalizza su singole decisioni da prendere legate all’outcome ultimo, la vittoria elettorale; il governing non ha un obiettivo finale, ma è un processo durevole.
  2. il campaigning è avversariale, mentre il governing è collaborativo.
  3. il campaigning è un esercizio di persuasione, mentre il governing dà più peso alla deliberazione.

Fusione dei processi

Con la campagna permanente, dunque, i concetti di governing e campaigning continuano a restare separati, ma i due processi tendono invece a fondersi.

Da una parte, si afferma la tendenza a utilizzare nel governare gli strumenti delle campagne elettorali, e quindi ad usare strategie e strumenti di comunicazione per supportare l’azione di governo. Dall’altra parte, si utilizzano le campagne di comunicazione sulle stesse azioni di governo per porre le basi per una successiva ricandidatura.

La fusione dei processi può essere osservata nell’accavallarsi dei loro obiettivi. Si fa riferimento alla persistenza in sede governativa dell’interesse costante alla conquista di consenso, tipica della campagna elettorale.

L’ingegneria del consenso

Questo passaggio, d’altra parte, era già leggibile nelle parole di Patt Caddell, per cui la campagna permanente si configura come risposta alla necessità di governare attraverso l’opinione pubblica.

È dunque questo il punto. Per governare c’è bisogno oggi di essere capaci di strutturare quella che Blumenthal chiama «ingegneria del consenso», che si fonda sulla necessità di:

«creare le condizioni adeguate per promuovere il prestigio pubblico del leader sviluppando il massimo controllo possibile sui fattori che influenzano la popolarità ed investendo il capitale di approvazione così ottenuto per condizionare il processo di policy making» (Roncarolo 1994, p. 107).

Attivazione dell’opinione pubblica

Se fino agli anni ‘70 popolarità e consenso sono stati ritenuti inconciliabili, sulla base della riflessione per cui: «i Presidenti non possono massimizzare contemporaneamente la loro popolarità e la loro efficacia» (Cornwell 1976, in Roncarolo 1994 p. 95), con la Presidenza Reagan si afferma l’idea che il presidente possa conseguire questo risultato attraverso l’acquisizione di un controllo dei media tale da consentirgli di instaurare un rapporto diretto con il pubblico.

Dunque, se fino ad allora per diversi autori l’attivazione dell’opinione pubblica a sostegno di specifiche policies era un evento casuale, negli anni ‘80 si afferma l’idea che tale casualità possa diventare sistematicità, perchè passibile di essere indotta.

Popolarità e consenso

Questa trasformazione politica apre la strada ad un processo di risoluzione del dualismo tra popolarità e consenso:

«ossia il favore di carattere insieme generale e personalizzato raccolto dal presidente (popolarità) e l’assenso ragionato alle sue politiche, un assenso che si fonda sul sostegno specifico alle sue decisioni ed in cui è implicita la disponibilità, fornendo, se il caso, il supporto attivo necessario a vincere la battaglia contro gli oppositori (consenso)» (Roncarolo 1994, p.20)

E soprattutto, si diffonde l’ipotesi che esista la possibilità che dal sostegno diffuso, che è base della popolarità, si produca quel sostegno specifico su cui fonda il consenso.

Centralità della Leadership

Il rapporto tra il leader di governo e il pubblico riporta in luce il più generale concetto di centralità della leadership. Bryce (1888) lo considera essere un aspetto saliente del sistema statunitense, mentre in Europa Weber riflette sul fatto che la democrazia con un leader sia l’unica alternativa al dominio dei politici di professione.

Con due implicazioni rilevanti: da una parte, negli Stati Uniti il principio plebiscitario obbliga i partiti «a spingere alla presidenza uomini capaci [...] per conquistarsi il favore degli elettori». Dall’altra, il presidente finisce per godere «contro chiunque, anche contro il parlamento [...] della legittimazione popolare» (Weber 1921, La Politica come professione, cit in Roncarolo 1994, p. 21).

Leadership e Presidenza retorica

Ne deriva che, come suggerisce Franca Roncarolo, «la legittimazione del pubblico nei confronti del presidente diventa l’elemento chiave non solo per la sua ascesa, ma anche per i suoi ulteriori successi, configurandosi come una vera e propria risorsa di influenza» (Roncarolo 1994, p. 22).

La legittimazione è, dunque, la risorsa su cui si fonda quella che è stata definita la Presidenza Retorica, a partire dalle presidenze di T. Roosevelt e W. Wilson. Una presidenza fondata su «un modello di leadership in cui le strategie comunicative assumono carattere di centralità ed insieme di chiara finalizzazione politica. Divengono cioè un autentico strumento di governo [...]» (Roncarolo 1994, p. 23).

In sintesi, la leadership retorica rappresenta il fondamento della moderna presidenza.

The Rhetorical Presidency

Il concetto di Presidenza Retorica, che diventa titolo del testo di Jeffrey K. Tulis, descrive un aspetto della politica moderna che era già stato analizzato da diversi autori, sebbene definito con nomi differenti. Infatti, che si guardi alla leadership plebiscitaria di Lowi alla presidenza pubblica di Edwards o alla leadership dello spettacolo di Miroff, si fa riferimento ad uno stesso processo di cambiamento dell’istituzione presidenziale e del suo rapporto con il pubblico. Questo non consiste solo in un mero cambiamento istituzionale, ma – sostiene Tulis – «è un profondo sviluppo della politica americana. La promessa della leadership popolare è il cuore delle interpretazioni dominanti dell’intero ordine politico, perché tale leadership è offerta come antidoto contro gli ingorghi del sistema costituzionale pluralistico, come la cura per l’ingovernabilità» (Tulis 1987, p. 4).

Jeffrey K Tulis (1987), The rhetorical Presidency

Jeffrey K Tulis (1987), The rhetorical Presidency


La tecnica dell’andare al pubblico

La possibilità per il presidente di usare la comunicazione e i media per attivare l’opinione pubblica a sostegno delle proprie battaglie legislative si traduce nella tecnica che è stata denominata Going Public, e definita come:

«una prassi comunicativa che tenta di sfruttare le opportunità offerte dai media per introdurre cambiamenti nei rapporti di forza tra la presidenza, le altre istituzioni di governo e i cittadini» (Amoretti 1997, p. 62)

Samuel Kernell, Going Public

L’analisi del fenomeno è sistematizzata da Samuel Kernell nel testo dal titolo Going public, pubblicato nel 1986. L’ipotesi centrale che l’autore presenta è proprio che si possa identificare una relazione diretta «tra il crescente orientamento al pubblico della comunicazione politica del presidente americano ed il sensibile incremento delle sue chance di successo nelle battaglie politiche» (Roncarolo 1994, p. 96).

L’orientamento al pubblico della comunicazione presidenziale avviene attraverso l’applicazione di due importanti strategie, che sono quelle dell’aggiramento e dell’imbonimento dei news media.

Samuel Kernell (1986), Going Public

Samuel Kernell (1986), Going Public


Aggiramento e imbonimento dei newsmedia

L’aggiramento dei news-media indica l’attivazione di strategie di comunicazione diretta con l’opinione pubblica, volte ad evitare il filtro dei media. Tra queste, la più esplicita è quella del confezionamento di messaggi rivolti al pubblico e trasmessi senza alcuna rielaborazione.

L’imbonimento dei news-media, invece, «consiste nell’atteggiamento amichevole e collaborativo della presidenza con gli interlocutori dei media, giornalisti, testate, commentatori, network, con il corredo di piccoli e grandi blandizie, per ottenere una copertura benevola» (Mazzoleni, p. 51).

Questo processo è ciò che è anche chiamato media management.

Conclusioni

In conclusione, come evidenzia Franca Roncarolo, il concetto di campagna permanente può essere sintetizzato in due elementi fondamentali.

Esso è, in primo luogo, «una strategia complessiva per il governo di quell’ambiente esterno, costituito spesso da eventi inattesi, crisi e controversie politiche, che i giornalisti (media) trasformano in continuo banco di prova per la leadership presidenziale (di governo)» (Roncarolo 1994, p. 104).

E si distingue «dalle precedenti strategie comunicative presidenziali (perché) essa pone al centro il rapporto tra leader e pubblico, facendo di questo rapporto la principale fonte di influenza politica» (Roncarolo 1994, p. 105).

I materiali di supporto della lezione

Ornstein, Norman e Mann, Thomas (2000), The Permanent Campaign and its future, Washington, American Entrprise Institute

Roncarolo, Franca (1994), Controllare i media, Milano, Franco Angeli

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