Il dibattito sulla democrazia elettronica, grazie alla spinta propulsiva delle istituzioni europee ed ai recenti finanziamenti nazionali, è tornato di grande attualità. Lo sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione sta trovando infatti nelle democrazie europee un ambiente dinamico e ricettivo, soprattutto a livello locale, dove i governi municipali stanno giocando un ruolo proattivo nell’implementare nuove forme di interazione fra le istituzioni ed i cittadini. Non è, infatti, un caso che gran parte del dibattito scientifico sia stato finora rivolto proprio ad indagare il modo in cui le nuove tecnologie stanno mutando il rapporto tra amministrazione ed amministrati.
Su cosa sia la democrazia non c’è grande accordo. Tuttavia c’è un lavoro di confinamento teorico e definizione svolto minuziosamente da generazioni di studiosi per isolare caratteristiche ed indicatori di democrazia.
Al contrario, per la democrazia elettronica ogni tentativo di confinamento definitorio assume l’aspetto di una forzatura, quella di fare entrare le nuove modalità di partecipazione politica abilitate dall’uso delle nuove tecnologie in schemi interpretativi obsoleti. In effetti stiamo parlando della democrazia che si sta sviluppando nella rete attraverso dinamiche e percorsi affatto lineari.
Quando negli anni sessanta da una costola del Pentagono nacque la prima rete – ARPANET – con scopi di ricerca militare e quindi con denaro pubblico, nessuno poteva immaginare che essa avrebbe messo tante radici sviluppandosi «per rizoma» ed in maniera incontrollabile. Sfuggita ai centri di ricerca militare, la rete ha incominciato a propagarsi negli ambienti accademici laddove più se ne poteva apprezzare la capacità di comunicazione. Nel giro di pochi anni milioni di persone si sono trovate ad utilizzare una risorsa che nessun centro decisionale aveva mai chiaramente programmato e voluto. I poteri costituiti si sono trovati, così, di fronte ad un fenomeno di appropriazione sociale della tecnologia che non tollerava di essere arginato.
La rete si presenta come «il paradigma di un modello di democrazia nuova, una democrazia senza riferimenti al centro, non più riconducibile alla forma di Stato-Nazione e non più riconducibile alla forma globale della decisione» (Berardi 1996). Senza stato-nazione e senza riferimento al centro, quali allora possono essere gli spazi istituzionali in cui la rete può trovare una dimensione politica?
1) La democrazia elettronica non è la stessa cosa della teledemocrazia anche se sembrerebbero molto simili. Quest’ultima è in realtà preesistente allo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione e si riferisce ad una serie di tentativi, più o meno sperimentali, di utilizzare alcune tecnologie (in particolare la televisione ed il telefono) per intervenire in due precisi momenti del processo democratico: la discussione e la decisione. Si è trattato cioè di una sorta di “democrazia di laboratorio”, di piccole e controllabili dimensioni, che nulla o quasi ha a che vedere con l’esplosione di massa dei nuovi media anche se ne ha, in qualche modo, anticipato la problematica.
2) La democrazia elettronica non è nemmeno assimilabile al televoto così come la democrazia tradizionale non è assimilabile alle sole elezioni. Eppure tanti confondono le due cose, forse nel tentativo di ritardare l’opportunità per riformare le istituzioni, le pratiche di selezione della leadership e di governo della cosa pubblica.
S. Coleman, direttore del programma e-democracy dell’Hansard Society, modello che ha ispirato le iniziative del governo inglese, sottolinea due aspetti fondamentali:
La teoria deliberativa è alla base della democrazia elettronica ed interpreta il processo di decision-making pubblico come una dinamica che si costruisce attraverso una discussione aperta e consensuale e non come un processo di mera aggregazione delle preferenze individuali (modalità, ad esempio, tipica di quelle esperienze finalizzate al voto o al referendum elettronico). La deliberazione assume, nell’accezione anglosassone di discussione dialogica dei temi, il significato di fase preliminare ma sostanziale del processo decisionale al termine del quale può risultare una decisione, vale a dire in termini generali lo strumento attuativo di una politica.
La diffusione di Internet ha messo in crisi molti paradigmi interpretativi a cominciare dalla natura della comunicazione, col passaggio da una diffusione dei messaggi del tipo broadcast – da uno a molti – ad uno scambio del tipo netcast – da molti a molti.
In altre parole, il passaggio da un modello verticale e gerarchico della comunicazione ad un modello orizzontale. Una transizione paradigmatica non sempre accolta con entusiasmo ed, anzi, frequentemente negata in certa pratica politica.
Se è vero che i canali di comunicazione sono i nervi del potere (Deutsch), allora diventa di fondamentale importanza comprendere come il passaggio da un sistema proprietario e broadcast dell’informazione ad un sistema diffuso e netcast è suscettibile di modificare la configurazione della sfera pubblica. In senso più democratico ma non meno drammatico (come il caso Grillo ha recentemente dimostrato).
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e della telematica ha prodotto una riallocazione di enfasi dalla rappresentanza – cardine delle democrazie rappresentative – alla partecipazione, la cui centralità è specifica della democrazia diretta.
Parallelamente si è verificato uno spostamento dell’attenzione dalla qualità della leadership (rappresentanza) alla qualità della cittadinanza (partecipazione).
Il modello bottom-up riguarda l’esperienza americana. In particolare, il modo in cui le recenti tendenze nel campo della democrazia in rete si riconnettono alla tradizione della democrazia comunitaria e repubblicana (qualità della cittadinanza). L’analisi empirica del caso americano ha mostrato la straordinaria vitalità delle community networks quali aggregazioni localistiche e volontaristiche della partecipazione democratica abilitata dalle ICTs.
Il modello top-down riguarda sostanzialmente il caso europeo dove gli innesti dell’innovazione telematica sul tessuto istituzionale preesistente hanno teso a valorizzare la struttura dell’organizzazione statale. Vale a dire, è stato innanzitutto lo Stato – principale depositario e amministratore della legittimità democratica – a valorizzare alcune nuove linee di comunicazione e partecipazione democratica (ad es. l’e-government).
Senza mettere in discussione la validità della democrazia rappresentativa, il modello europeo tende a garantire l’accesso universale alla rete e la reperibilità dell’informazione pubblica, predisponendo il terreno a compiute realizzazioni di e-government (De Rosa 2000). In questo contesto la democrazia elettronica ha progressivamente perso quegli aspetti di direttismo
che la rendevano sospetta agli occhi degli studiosi della democrazia per assumere le caratteristiche di democrazia amministrativa e continua (Rodotà 1999).
La democrazia elettronica – in definitiva – origina dal nuovo ambiente elettronico ogni qualvolta che l’agire collettivo diventa agire politico. Attraverso le diverse pratiche partecipative in rete, gli attori sociali cercano di influenzare i processi politici e di governo. Issues care alla nuova democrazia sono i diritti di cittadinanza telematica e di informazione, la equodistribuzione delle risorse informative, la trasparenza, la libertà di espressione e di denuncia, la progettazione degli spazi “sociali”, l’integrazione sociale dei deboli, l’umanizzazione dei tempi di vita, la globalizzazione solidale e l’educazione permanente etc..
Opinione pubblica e blogosfera
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Rosanna De Rosa, Fare politica in Internet, Apogeo 2000 (prima parte)