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Enrica Amaturo » 17.Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta di Marradi I


Da Esopo

“Quanto ci vuole per arrivare a Messene?” chiese il viandante fermandosi presso un vecchio che sonnecchiava ai ciglio della strada. “Cammina, cammina” rispose il vecchio.

Paziente, il viandante ripeté la domanda.

“E cammina!” si spazientì il vecchio”.

Sconcertato, il viandante riprese la sua strada.

“Ti ci vorranno due ore” lo raggiunse la voce del vecchio dopo una ventina di passi.

“E perché non me lo hai detto subito?”

“Come potevo dirtelo prima di vedere a che velocità cammini?”

Il tragitto per giungere a Messene

Il tragitto per giungere a Messene


Introduzione

Come si è detto in precedenza, nelle scienze sociali il termine ‘misurazione’ viene usato indicare processi estremamente diversi fra loro, questo progressivo stiramento del termine riguarda esclusivamente le scienze sociali, perché il termine non ha subito un analogo processo nel linguaggio delle scienze fisiche: è solo nelle scienze sociali, infatti, si parla di misurazione ordinale e di misurazione nominale.

All’origine dello stiramento del termine “misurazione” ci sono almeno due cause:

  1. L’aspirazione allo status “scientifico” delle scienze sociali ha comportato l’adozione acritica del termine di misurazione senza, cioè, interrogarsi sull’effettiva applicabilità di questo concetto
  2. Mancato accordo su un termine generale che denoti l’insieme di tali procedimenti non direttamente classificabili come “misurazione” in senso stretto

Conseguenze dell’aspirazione allo status “scientifico” delle scienze sociali sul concetto di misurazione

“Quali ragioni possono aver spinto gli scienziati sociali a tendere e stirare un termine fino al punto di usarlo sia per il suo referente originario sia per il suo opposto? Una risposta plausibile sembra debba esser cercata in quella forte, quasi morbosa attrazione verso un certo modello delle scienze fisiche, e conseguente repulsione per la propria eredità filosofica, che ha anche condotto la maggioranza degli scienziati sociali a dare status privilegiato ai compiti nomotetici rispetto a quelli idiografici, e alla spiegazione rispetto alla comprensione … Dato che la misurazione era identificata con Galilei e Newton… Tre peccati intellettuali possono essere rilevati in questo atteggiamento e nei comportamenti conseguenti:

a) dando alla misurazione e alla quantificazione il merito per il progresso delle scienze fisiche, l’analisi non si è spinta oltre gli aspetti più superficiali e appariscenti, trascurando il fatto che ‘la formazione concettuale è preliminare rispetto alla quantificazione… Non possiamo misurare se non sappiamo prima cosa è che stiamo misurando.., per questa buona ragione il progresso della quantificazione deve arrivare-in ogni disciplina-dopo il progresso concettuale (G. Sartori, 1970, 1038); b) è stato dato per scontato che i problemi delle scienze sociali possono essere risolti con gli stessi strumenti concettuali e operativi dei problemi delle scienze fisiche, e ogni argomentazione circa la possibile specificità di tali problemi è stata scartata come non-scientifica; c) stirandolo al di là di ogni limite, il termine ‘misurazione’ è stato praticamente privato di significato. Se tutto, comprese la classificazione e la denominazione, è misurazione, ognuno si è naturalmente sentito autorizzato a usare il linguaggio quantitativo ‘non soltanto senza disporre di alcuna misurazione effettiva, ma senza averne alcuna in progetto e, peggio ancora, senza nessuna apparente cognizione di quel che occorre fare prima che una misurazione diventi possibile (A. Kaplan, 1964, 523)”

(A. Marradi, 1981, 605)

La risistemazione dei tipi di ’scale’ di Marradi

A partire dalla critica delle scale di misura individuate da Stevens, Marradi propone una:

“risistemazione concettuale e terminologica dell’intero arco dei procedimenti con cui vengono assegnati valori simbolici a stati sulle proprietà; essa ha come conseguenza una risistemazione dei tipi di ’scale’, cioè dei risultati finali di quei procedimenti. Volutamente ho parlato di ri-sistemazione, anziché di nuova sistemazione, perché il campo era concettualmente e terminologicamente abbastanza in ordine prima che si cominciasse a stirare il termine ‘misurazione’, e in tale stato è rimasto nelle scienze fisiche e nel linguaggio comune, in cui si parla di classificare, contare, ordinare, e non solo, ossessivamente, di misurare.” (A. Marradi, 1981, 597)

Il problema della misurazione nelle scienze sociali

Marradi (1981) individua almeno quattro questioni che attengono alla misurazione nelle scienze sociali:

  1. molte proprietà che interessano le scienze sociali presentano stati discreti anziché variare in modo continuo
  2. per molte di queste proprietà, gli stati non sono ordinabili secondo un criterio
  3. anche se una proprietà varia in modo continuo, le scienze sociali dispongono di vere e proprie unità di misura solo quando la misurazione non richiede alcuna cooperazione dei soggetti il cui stato è misurato, solo in questo le unità di misura sono mutuate dalle scienze fisiche
  4. se invece è necessaria la cooperazione dei soggetti, le tecniche di rilevazione non stabiliscono delle vere unità di misura, e quindi non possono essere definite tecniche di misurazione nel senso in cui quel termine è inteso nelle scienze fisiche

Il significato di misurazione per Marradi

Per poter compiere una ri-sistemazione concettuale e terminologica dell’intero arco dei procedimenti con cui vengono assegnati valori simbolici a stati sulle proprietà, il primo passo da compiere è quello di fare chiarezza sul significato di misurazione.

La misurazione è quel processo con cui si confronta l’ammontare di una proprietà X posseduto da un oggetto A con l’ammontare della stessa proprietà posseduto dallo strumento-unità scelto convenzionalmente per misurare appunto la proprietà X (unità di misura). Lo strumento è l’unità di una scala numerica e la misurazione converte una certa proprietà in simboli numerici (multipli di quella unità).

Es. Se l’oggetto A ha 10 volte di più della proprietà X di quanto ne possiede l’unità di misura, allora A ha “10 unità”.

Implicazioni della misurazione

La misurazione così definita ha almeno tre implicazioni:

  1. la proprietà X deve poter essere concepita (pensabile) come collocabile su un continuum infinito
  2. Presenza di un’unità di misura
  3. L’unità di misura è definita indipendentemente dalla presenza di un punto zero

In sintesi:

se la proprietà non è pensabile come continua e manca l’unità di misura, allora non si avrà misurazione.

L’errore di Stevens e di altri (N. Campbell 1928 e di W. S. Torgerson 1958) è stato proprio di far ricadere nel termine misurazione operazioni significativamente diverse effettuando quello che Marradi chiama stiramento del termine.

Come vedremo, lo stramento riguarda in modo specifico quelle che Stevens ha definito scale nominali e scale ordinali.

Proprietà discrete e proprietà continue

Più precisamente secondo Marradi, l’errore di Stevens consiste essenzialmente nel non aver distinto le proprietà in relazione ai vari tipi di stati che esse generano e quindi di non aver considerato le conseguenze della natura di questi stati sul modo in cui si trasformano in dati e sul tipo di analisi statistiche applicabili. Le proprietà per Marradi si distinguono essenzialmente in due famiglie, le proprietà discrete e le proprietà continue.

Proprietà discrete: proprietà degli oggetti che hanno un numero finito di stati distinti. Gli stati non sono in relazione quantitativa.

Proprietà continue: proprietà degli oggetti che hanno un numero infinito di stati impercettibilmente diversi l’uno dall’altro, i punti sono pensabili come collocabili lungo un continuum, come su una retta.

“Continuo e discreto si possono definire (…) come due modi alternativi di concepire la distribuzione degli stati su una proprietà. Consideriamo quattro proprietà: l’età; l’autoritarismo; il numero di figli; il titolo di studio. Io penso alle prime due come continue e alle ultime due come discrete” (Marradi, 1985, 233)

La classificazione delle proprietà sulla base della relazione tra gli stati sulla proprietà

A seconda della natura della relazione che esiste tra gli stati sulla proprietà (discrete o continue), è possibile individuare cinque classi di proprietà, tre che ricadono nella famiglia delle proprietà discrete e due per le proprietà continue.

PROPRIETÀ DISCRETE

  • Categoriali non ordinate: gli stati sono diversi o uguali tra loro
  • Categoriali ordinate: gli stati sono ordinabili; non solo è possibile stabilire la loro diversità o uguaglianza ma anche le relazioni d’ordine (maggiore/minore) tra loro
  • Discrete Cardinali: oltre alle suddette operazioni, è possibile calcolare un quoziente tra gli stati sulla proprietà

PROPRIETÀ CONTINUE

  • Misurabili: se gli stati si possono registrare senza la collaborazione del soggetto il cui stato si sta rilevando (esistenza di una unità di misura)
  • Non misurabili: se gli stati non si possono registrare senza la collaborazione del soggetto il cui stato si sta rilevando (assenza di di una unità misura)

La classificazione delle proprietà sulla base della relazione tra gli stati sulla proprietà: esempi

PROPRIETÀ DISCRETE

  • Categoriali non ordinate
    • Confessione religiosa: cattolico, musulmano, buddista, ateo
    • Nazionalità: italiano, francese, inglese, spagnolo
    • Genere: Uomo, donna
  • Categoriali ordinate
    • Titolo di studio: lic elementare, dip. Media inf, dip. Media sup., laurea
    • Grado di preferenza per il partito X: molto, abbastanza, poco.
  • Discrete Cardinali
    • N° componenti familiari: 1, 2 3 …. n;
    • N° di figli;
    • N° esami sostenuti
  • PROPRIETÀ CONTINUE
    • Misurabili: età;
    • Non misurabili: autoritarismo

Per continuare …

La classificazione delle proprietà sulla base della relazione tra gli stati sulla proprietà individuata da Marradi ha origine da una critica alla classificazione delle scale di misura di Stevens.

Di seguito, saranno esposte, per ciascuna scala di Stevens, le osservazioni e la relativa proposta di Marradi.

In questa lezione saranno affrontate le scale nominali e le scale ordinali e quindi parte delle proprietà discrete.

Nella lezione 18, invece, sarà esposta in modo più dettagliato la questione della misurazione e quindi della critica alle scale ad intervalli e di rapporti.

Un caso di stiramento terminologico: la “misurazione” nominale

Se le differenze fra le voci di una lista sono solo nominali (cioè qualitative) e non quantitative o di grado, quella lista non può essere chiamata scala, perché si ha una scala solo quando c’è una differenza fra i gradini. Una scala composta di gradini qualitativamente differenti e collocati allo stesso livello, di fatto, non esiste.

Per questo, secondo Marradi, l’espressione ’scala nominale’ è una contradictio in adjectu (contraddizione in termini) perché l’aggettivo contraddice il nome. L’errore di Stevens è stato quello di adottare il termine misurazione anche all’attività pratica di assegnare oggetti a delle classi ovvero ha confuso la misurazione con la classificazione.

E questo sempre a causa dell’ attrazione da parte delle scienze sociali verso il modello delle scienze fisiche con la conseguente repulsione per la propria eredità filosofica. Infatti, visto che la misurazione si identifica, generalmente, con Galilei e Newton, mentre la classificazione con Aristotile, il termine ‘classificazione’ è stato bandito, e i suoi significati sono stati distribuiti fra ‘misurazione nominale’ e ’scala nominale’. Va da sé che una classificazione è ovviamente l’opposto di una scala (misurazione).

La “misurazione nominale”: una contraddizione in termini

“Una scala nominale è soltanto una classificazione -una classificazione qualitativa -e dunque non è per niente una scala che misuri qualcosa. S’intende che anche le voci di una classificazione possono essere numerate: ma questo è solo un espediente di codifica che non ha nulla a che fare con una quantificazione” . (Sartori, 1970, 1040)

“Etichette numeriche possono essere usate per denominare le classi … e ciò accade comunemente. Tuttavia, il fatto che in una biblioteca si assegni il numero 8105 a un libro non vuol dire che il bibliotecario ha misurato il libro… Altrimenti, la classificazione, e persino la denominazione dei casi individuali, diventano una forma di misurazione”. (Torgerson, 1958, 9-14)

Variabili categoriali non ordinate

Prendiamo ad esempio la proprietà “genere”. Dire che Mario ricade nella categoria “uomo” e Maria nella categoria “donna”, non significa aver “misurato” il genere tra Mario e Maria: l’operazione che abbiamo compiuto è semplicemente una classificazione in base alla quale si è stabilito UNICAMENTE che Mario e Maria sono differenti sulla proprietà “genere”. Da ciò deriva che i valori numerici attribuiti alle modalità non hanno alcun valore cardinale, sono semplici “simboli” utilizzati per distinguere, nella matrice dati, le singole categorie. L’attribuzione dei valori alle modalità della variabile categoriale avviene, quindi, in modo casuale, l’unico criterio da rispettare è che a ciascuna modalità venga attribuito un codice numerico differente.

Ad esempio, l’attribuzione di 1=Uomo e di 2=Donna oppure di 2=Uomo e 1=Donna è del tutto irrilevante ai fini della elaborazione finale.

Inoltre, non sono i casi ad essere confrontati in termini di uguale/diverso sulla proprietà ma le categorie precedentemente individuate dalla definizione operativa.

Da qui il nome proposto da Marradi di variabili categoriali non ordinate.

Variabili categoriali non ordinate: schema riassuntivo

Variabili categoriali non ordinate: schema

Variabili categoriali non ordinate: schema


La “misurazione” ordinale: un caso di stiramento terminologico

Anche la misurazione ordinale è “divenuta un’etichetta che designa vari processi che hanno ben poco in comune fra loro, e altrettanto poco con il processo che più comunemente è inteso come misurazione nel linguaggio corrente, e che corrisponde al concetto qui definito ‘derivato’ “. (Marradi, 1981, 600)

Infatti, nonostante gli stati sulla proprietà siano ordinabili lungo un continuum, anche in questo caso non è possibile parlare di misurazione per due motivi principali.

  1. Gli stati sono discreti e quindi non frazionabili
  2. Manca del tutto una unità di misura.

Inoltre, come per le proprietà discrete con stati non ordinabili, non sono i casi ad essere confrontati in termini di maggiore/minore sulla proprietà ma sono le categorie precedentemente individuate dalla definizione operativa.

In questo caso Marradi propone il nome di variabili categoriali ordinate.

L’assegnazione delle etichette numeriche: il vincolo di monotonicità

Se gli stati sulla proprietà discreta sono ordinabili ma manca una unità di misura allora possiamo concepirli come una serie ordinata non come un continuum: ciò che è possibile fare è dare un giudizio sull’ampiezza del segmento del continuum corrispondente a ciascuna delle categorie ordinate e assegnare alla serie delle categorie etichette numeriche rispettando il vincolo di monotonicità.


Il vincolo di monotonicità: esempio


Il vincolo di monotonicità: esempio

“Supponiamo che la proprietà sia il ‘titolo di studio’. Ha senso dire che compariamo i titoli di studio del signor Rossi e del signor Bianchi, e troviamo che il primo ha un titolo più alto, uguale, o più basso del secondo. Ma non ha senso dire che ci manca un’unità di misura. Se infatti, per assurdo, ne avessimo una, potremmo dividere un titolo di studio per quell’unità, trovando un numero reale come quoziente. Tutto questo suona appunto assurdo; e dà questa impressione, a riflettere, perché la proprietà ‘titolo di studio’ ha solo pochi stati discreti, o categorie: possiamo concepirli come una serie ordinata, non come un continuum. E come Thurstone affermava nel 1931: ‘un continuum lineare… è implicito in ogni misurazione (1931, 259)’. Possiamo pensare a un’unità di misura solo se la proprietà che consideriamo può assumere infiniti stati. Un numero finito di stati i incompatibile con un’unità di misura … Spingendo oltre l’analisi, si può aggiungere che, nel caso del signor Rossi e del signor Bianchi, non stiamo effettivamente comparando i loro titoli di studio, perché abbiamo già confrontato tali titoli come categorie astratte, senza far riferimento a individui concreti. Questa comparazione fra i titoli ci può portare a ordinarli tutti secondo un dato criterio (qualora ne troviamo uno che ci soddisfi), e a quel punto non si tratterà più di comparare direttamente i titoli di Rossi e di Bianchi, ma di assegnare ciascun titolo concreto alla corrispondente categoria astratta. Se le categorie sono state ordinate come tali, la comparazione fra i titoli di Rossi e Bianchi sarà già fatta automaticamente. Ma il fatto che le categorie sono ordinate è irrilevante al mero processo di assegnazione dei casi concreti, che sarebbe lo stesso anche se tale ordine non avesse senso, come nel caso di proprietà come ‘nazionalità’ o ‘confessione religiosa’. Concludendo: se la proprietà consiste in una serie di categorie ordinate, non solo non c’è misurazione, ma non c’è nemmeno una comparazione fra oggetti… Pertanto, l’etichetta ‘misurazione ordinale’ sembra del tutto inappropriata, e dovrebbe esser sostituita dall’etichetta ‘assegnazione a categorie ordinate’.”. (A. Marradi, 1981, 601)

Variabili categoriali ordinate: schema riassuntivo

Variabili categoriali ordinate: schema

Variabili categoriali ordinate: schema


Considerazioni conclusive

Secondo Marradi, una proprietà discreta, ovvero una proprietà che assume un numero finito di stati non è misurabile perché è possibile pensare a un’unità di misura solo e solo se la proprietà che consideriamo può assumere infiniti stati.

Per questo motivo le scale nominali e le scale ordinali individuate da Stevens non solo sono una contraddizione in termini ma non danno luogo ad alcuna misurazione. In questi casi è più corretto parlare di variabili categoriali (non ordinate e ordinate) in quanto l’unica operazione possibile è un confronto tra le categorie che la definizione operativa ha in precedenza individuato attraverso una classificazione degli stati sulla proprietà. Per le variabili categoriali non ordinate, l’esito del confronto tra le categorie è espresso in termini di uguaglianza/differenza; mentre, nel caso delle variabili categoriali ordinate è espresso in termini di maggiore/minore.

In questa sede è stata esclusa la trattazione dell’ultimo tipo di proprietà discreta, quella che Marradi definisce Cardinale ovvero della proprietà dove, pur mancando l’unità di misura è possibile calcolare un quoziente tra gli stati sulla proprietà. Per la sua particolarità, ad essa è necessario dedicare una trattazione specifica (lez. 18).

Prossima lezione

Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta di Marradi – II parte

  • La critica alle scale ad intervalli e di rapporti
  • Conteggio ed unità di conto: le variabili cardinali
  • Misurazione ed unità di misura: le variabili cardinali
  • Proprietà continue non misurabili: lo scaling

Le lezioni del Corso

I materiali di supporto della lezione

A. Marradi, Misurazione e scale: qualche riflessione e una proposta, “Quaderni di Sociologia” XXIX, 4 (dicembre 1981): 595-639

N. R. Campbell, An Account of the Principles of Measurement and Calculation , London Longmans & Green, 1928

W. S. Torgerson, Theory and Methods of Scaling, New York Wiley 1958

G. Sartori, Concept Misformation in Comparative Politics, in “American Political Science Review”, vol. LXIV, 1970, pp. 1033-53

A. Kaplan, The Conduct of Inquiry, San Francisco Chandler, 1964

L. L. Thurstone, The Measurement of Social Attitudes, in “Journal of Abnormal and Social Psychology”, vol. XXVI, 1931, n. 2, pp. 249-69

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