In questa sede si mostrerà, seguendo la proposta di Marradi, come Stevens nella sua classificazione delle scale abbia compiuto due errori fondamentali:
Nella sua classificazione delle scale di misura Stevens non distingue tra proprietà discrete e proprietà continue, e ancor di più non distingue tra:
La distinzione tra proprietà discrete e proprietà continue è molto importante nella fase di trasformazione delle proprietà (definizione operativa) e di raccolta dei dati. L’esigenza di distinguere questi due tipi di proprietà nasce dalla consapevolezza della sostanziale differenza tra conteggio e misurazione. Infatti, la definizione operativa, oltre alla classificazione (che riguarda esclusivamente le proprietà discrete non cardinali -categoriali non ordinate ed ordinate, vedi lez. 17) e alla misurazione (che riguarda le proprietà continue), ha anche un altro modo di assegnare i valori allo stato di un oggetto sulla proprietà: il conteggio, che riguarda proprio le proprietà discrete cardinali.
Se intendiamo rilevare il numero di figli che X ha non “misuriamo” il n° di figli di X ma semplicemente contiamo i figli che X possiede, non facciamo, cioè ricorso ad alcuna unità di misura, ma ad una unità di conto. L’esito della rilevazione sarà un numero intero non frazionabile. Non si dirà mai, infatti, che X possiede 1 figlio e ¾.
Se intendiamo rilevare l’età di X, invece, possiamo immaginare che la proprietà “età” – composta di stati infiniti – sia rilevabile attraverso una unità di misura qualsiasi (anno, mese, giorno). Per cui l’esito della rilevazione dello stato di X sulla proprietà A può essere un numero frazionabile. X, infatti, può avere 23 anni e 6 mesi se l’unità di misura è l’anno, o si potrà rilevare che abbia 282 mesi e 4 giorni, se l’unità di misura è il mese, e così via.
Ciò che accomuna conteggio e misurazione è il tipo di variabile che ne deriva: in entrambi i casi la variabile è cardinale, ovvero numerica (intera o frazionabile).
La differenza tra misurazione e conteggio, sembra chiaro, è nel ricorso, nel primo caso all’unità di misura e, nel secondo caso, all’ unità di conto.
“L’unità di misura è convenzionale perché quando la proprietà è ‘misurabile’, cioè è immaginata come un continuo, per misurarla bisogna stabilire quale porzione di questo continuo faccio equivalere all’unità di conto. Fissare un’unità di misura significa appunto stabilire un rapporto di conversione fra un certo ammontare della proprietà e l’unità di conto. Poiché però il concreto ammontare da misurare è raramente un multiplo esatto dell’ammontare equiparato all’unità di conto, ecco che la serie dei numeri naturali non basta più, e si deve “arricchirla” con alcuni numeri razionali per _registrare l’esito effettivo della misurazione, e con tutti i numeri reali per immaginarne un (irraggiungibile) esito ‘esatto’ … L’unità di misura ha quindi automaticamente dei sottomultipli, potenzialmente numerosi come la serie dei numeri razionali … l’unità di misura non è indivisibile”. (Marradi, 1985, 231-232).
In sintesi, l’unità di misura è:
“L’unità di conto, è in ogni caso naturale perché quando la proprietà è ‘contabile’, cioè consistente in una relazione con oggetti o eventi, non c’è bisogno di alcuna convenzione per operativizzarla … esiste una sola unità di conto: la cifra 1. Se la proprietà è “numero di figli”, conterò 1 figlio, 2 figli, 3 figli… Se è ‘numero di voti’, conterò l voto, 2 voti, 3 voti…; e così in ogni altro caso.” (Marradi, 1985, 231-232).
In sintesi:
“ogniqualvolta una proprietà consiste nel possesso di, o nella relazione con, un certo numero di oggetti discreti, non abbiamo bisogno di misurare — né potremmo farlo. Non misuriamo il numero di figli di una coppia, o il numero di letti in un ospedale: li contiamo” .
(A. Marradi, 1981, 608)
Il conteggio produce la scala assoluta, ovvero una scala in cui non è possibile alcuna trasformazione dei valori, in quanto i numeri sono stati originariamente concepiti a fini di conteggio.
Fra conteggio e scala assoluta c’è una corrispondenza biunivoca: il conteggio è una procedura, la scala assoluta ne è il risultato.
Assimilando conteggio e misurazione, Stevens offusca la fondamentale distinzione matematica fra discreto e continuo. È vero che tutti i valori registrati in una matrice sono discreti.
Ma solo i valori derivanti da conteggi sono genuinamente interi, e rappresentano correttamente lo stato effettivo degli oggetti sulle relative proprietà; i valori derivanti da misurazione sono numeri reali arrotondati…. la distinzione fra misurazione e conteggio è stata trascurata per il desiderio, più o meno conscio, di non prendere atto della presenza di fasi di tipo classificatorio (cioè pre-scientifico) nel processo di misurazione, santuario della scienza. Ammettere che la misurazione, a differenza del conteggio, implica una serie di decisioni del ricercatore sarebbe equivalso a riconoscere la presenza di un’altra piccola nube nel cielo radioso della scienza oggettiva (cioè automatica, indipendente da decisioni umane) contemplato dall’epistemologia positivista e neopositivista.
(Marradi, 1981, 609)
Misurazione
Si possono misurare le proprietà che variano per Incrementi infinitesimali (continue). L’unità di misura è convenzionale (Non esiste in natura): si associa una unità di misura ad una proprietà continua. L’unità di misura scelta per la proprietà x viene confrontata con l’ammontare della proprietà x posseduto dai vari casi. il risultato viene registrato direttamente nella matrice dei dati.
Applicabile se si danno due condizioni la proprietà da registrare è continua; disponiamo di un’unità di misura prestabilita (convenzionale).
Conteggio
Consiste nel possesso di/relazione con un certo numero di oggetti. Proprietà Discrete per cui disponiamo di unità di conto naturali. I multipli dell’unità di conto sono numeri interi e rappresentano l’insieme delle categorie.
La definizione operativa indica le varie fasi e procedure: prescrive di contare gli oggetti di quel tipo posseduti dal caso e il risultato viene registrato direttamente nella matrice dei dati. Applicabile se si danno due condizioni:
Secondo Stevens la differenza tra una scala di rapporti ed una ad intervalli consiste nell’avere – o meno – una unità di misura non convenzionale e un punto zero assoluto. Nelle scale di rapporti, il punto zero deve, cioè, corrispondere a una situazione di assenza della proprietà che viene misurata, altrimenti il rapporto fra un punto e un altro della scala risulta distorto. Il termometro, ad esempio, non è una scala di rapporti perché, come si è visto, 200° non sono caldi il doppio di 100° . Il punto zero è necessario per applicare l’unità di misura perché è a partire da esso che è possibile dividere il continuum; per Marradi, lo zero non deve necessariamente essere assoluto perché anche quando non è assoluto, si può pensare di applicare l’unità di misura a partire da un altro punto. Inoltre, fare della presenza di uno zero assoluto uno dei due requisiti delle scale di rapporto implica l’esclusione dei numeri negativi da tali scale, il che comporta che, misurando la stessa proprietà con la stessa unità di misura, si produce una scala di rapporti se si parte da un punto zero assoluto, e una scala a intervalli se si parte da un qualsiasi altro punto.
Le scale di rapporti e le scale a intervalli dovrebbero pertanto essere riunite nella categoria ‘scale metriche‘, che mette l’accento su ciò che effettivamente distingue queste scale dalle altre, e cioè la presenza di un’unità di misura. (Marradi, 1981, 608)
Le scale metriche sono un prodotto specifico della misurazione e solo le proprietà continue per le quali è individuabile una unità di misura possono essere misurate, ne deriva che la definizione operativa trasforma la proprietà continua in variabile cardinale (metrica) secondo la seguente procedura: sulla base di quanto stabilito dalla definizione operativa e indipendentemente dalla natura dello zero, si fissa l’unità di misura, si confronta l’ammontare della proprietà posseduto dall’oggetto con l’unità di misura, si arrotonda il risultato del confronto a una cifra registrabile nella matrice dei dati, equivale a suddividere il continuum della proprietà in categorie discrete di ampiezza uguale. A ciascuna di queste categorie si assegna un numero tra quelli definiti ammissibili quando si è deciso sul numero di cifre da registrare.
Con operazioni matematiche su due o più altre variabili metriche: proporzione di territorio coltivato sul totale, percentuale di ore di lavoro perdute per scioperi, ecc. dividendo (o in qualche caso moltiplicando) proprietà discrete (cioè soggette a conteggio) per variabili metriche: densità della popolazione, automobili prodotte al giorno, autobus circolanti per chilometro di rete tranviaria urbana, ecc.
Con operazioni su due proprietà discrete: prodotto lordo pro capite, tasso di disoccupazione, percentuale dei voti dati a un partito sui voti validi, numero di abitanti per medico o per letto di ospedale, ecc.
Prendendole a prestito dalle scienze fisiche
Esempi sono:
Molte delle proprietà che interessano le scienze sociali, come le proprietà psichiche come opinioni, atteggiamenti o valori (autoritarismo, coesione sociale, familismo), possono essere concepite come continue al pari delle proprietà continue misurabili ma, a differenza di queste ultime, in questi casi non esiste un unità di misura.
Si tenta di sopperire a questa assenza mediante le Tecniche di scaling.
A seconda di come vengono concepiti gli stati sulla proprietà, si distinguono le tecniche di scaling che producono:
La proprietà viene considerata continua ma gli stati sulla proprietà vengono concepiti come discreti. L’unità di misura viene stabilita dal ricercatore che divide l’ipotetico continuum in stati discreti prima di sottoporre la scala all’intervistato
In questo caso la distanza tra le categorie non può essere, quantificabile, l’unica operazione possibile è stabilire se uno stato è maggiore o minore di un altro: le variabili prodotte sono, dunque, categoriali ordinate.
Esempio:
Grado di accordo con l’attuale governo
Proprietà continua → UM non è stabilita da I → variabile categoriale ordinata
NB: per una trattazione su questo gruppo di tecniche di scaling vedi Lez.ni 23 e 24
In genere, per attribuire proprietà cardinali occorre che:
Alcune tecniche di scaling rispettano solo il punto 1 e 2; per quanto riguarda l’unità di misura essa non viene stabilita dal ricercatore (R) ma dagli intervistati (I) che si auto-collocano su un ipotetico continuum. In questi casi, quindi, occorre la collaborazione attiva di I che valuta il suo stato sulla proprietà. La caratteristica di questo gruppo di tecniche consiste, infatti, proprio nel considerare il soggetto capace di valutare il proprio stato sulla proprietà rilevata; per questo motivo queste tecniche di scaling vengono anche denominate scale autoancoranti e autografiche (Lez. 25).
La valutazione viene codificata mediante un processo di rappresentazione numerica e, dopo la codifica, è possibile trattarle come cardinali. Le scale autoancoranti generano quindi variabili quasi-cardinali perché rappresentano proprietà non effettivamente misurabili, ma che vengono trattate a tutti gli effetti come cardinali.
Proprietà continua → UM è stabilita da I → variabile quasi cardinali
Se l’unità di misura (o di conto) è individuata da R, essa viene applicata allo
“stato dell’oggetto da un operatore esterno, che misura e conta; se l’operazione è condotta con cura, i suoi esiti sono (nel caso della misurazione, entro i limiti di errori relativamente piccoli) intersoggettivi e replicabili. Con le scale autoancoranti o autografiche, invece, è l’oggetto stesso (nel caso di un individuo sufficientemente articolato) che valuta il suo stato sulla proprietà e lo esprime mediante un processo di rappresentazione numerica o spaziale che può essere assai lontana dalle operazioni a lui abituali nella vita quotidiana”.
(Marradi, 1996, 108)
Ricolfi discute sull’effettiva possibilità, proposta da Marradi, di ridurre la rappresentazione dei caratteri quantitativi a due solo scale, quella metrica e quella assoluta. Egli, concentrandosi principalmente sulla fase di analisi dei dati piuttosto che sulla definizione a monte delle scale, ritiene che la distinzione tra zero assoluto e zero relativo è tutt’altro che irrilevante. In altre parole, Ricolfi mostra come le tecniche statistiche correnti nelle scienze sociali non sono indifferenti alla natura del punto zero. Ricolfi sostiene che la definibilità di uno 0 assoluto divide le scale di rapporti in due sottotipi alle quali corrisponde una serie di operazioni statistiche leggitimamente applicabile.
Sono due condizioni da soddisfare per classificare le scale:
1. Condizione di additività: è soddisfatta quando la variabile è tale che il valore i un qualsiasi collettivo o aggregato di unità elementari coincide con la somma dei valori delle unità componenti.
2. Condizione di positività: è soddisfatta quando la variabile è tale che il valore corrispondente sono quote di una grandezza totale. Lo zero è assoluto.
Su queste basi Ricolfi distingue in:
Prossima lezione
La ricomposizione degli indicatori e la costruzione degli indici
Una volta raccolte le informazioni ottenute attraverso l’operativizzazione di un concetto complesso, è necessario “ritornare” al concetto” iniziale per rispondere all’interrogativo di ricerca. Oltre che sottoporre i dati ad analisi statistiche è possibile, dalla sintesi delle variabili “costruire un’altra variabile – l’indice – che raggruppa in se tutte le informazioni raccolte da ciascuna variabile sulle unità individuali o aggregate.
1. Metodo, metodologia, tecnica, epistemologia, gnoseologia
2. Il problema del metodo nella scienza
3. Il problema del metodo nelle scienze sociali
4. Il concetto di paradigma nelle scienze sociali
5. I paradigmi fondativi I: Positivismo
6. Gli sviluppi successivi: Neopositivismo e Postpositivismo
7. I paradigmi fondativi II: Interpretativismo
8. Il metodo qualitativo e il metodo quantitativo a confronto
9. Approcci standard e approcci non standard alla scienza
10. La struttura “tipo” della ricerca quantitativa
11. Tipi di unità di analisi nella ricerca sociale
12. Gli strumenti elementari della conoscenza: concetti, asserti e ...
13. La trasformazione del concetto in indicatori
14. La trasformazione di un indicatore in variabile: la definizione...
15. Le variabili
16. Misurazione e scale: la proposta di Stevens
17. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
18. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
19. La ricomposizione degli indicatori e la costruzione degli indic...
22. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Likert
23. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Guttman
24. La tecnica delle scale di atteggiamento. Le scale auto-ancorant...
25. Le fonti statistiche ufficiali
27. Campionamento non probabilistico
28. L'approccio qualitativo. L'osservazione partecipante
A. Marradi, Misurazione e scale: qualche riflessione e una proposta, “Quaderni di Sociologia” XXIX, 4, 1981.
A. Marradi, Unità di misura e unità di conto, “Rassegna Italiana di Sociologia” XXVI, 2, 1985.
A. Marradi, L'analisi monovariata, Milano Franco Angeli, 1995
L. Ricolfi, Operazioni di ricerca e scale, “Rassegna Italiana di Sociologia” XXVI, 2, 1985