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Enrica Amaturo » 6.Gli sviluppi successivi: Neopositivismo e Postpositivismo


Il positivismo del ‘900

La rassicurante chiarezza e linearità del positivismo ottocentesco lascia il terreno ad un positivismo novecentesco assai più complesso, senza tuttavia venir meno ad alcuni presupposti di base quale il realismo ontologico (il mondo esiste indipendentemente dalla nostra conoscenza) e la posizione preminente dell’osservazione empirica per la conoscenza di tale mondo.

Due le maggiori correnti di pensiero: Neopositivismo e Postpositivismo.

Neopositivismo

Il Neopositivismo, detto anche «positivismo logico» o «empirismo logico» nasce ufficialmente nel 1925 nell’ambito del «Circolo di Vienna» (Carnap, Hahn, Neurath) ed ebbe come punto di partenza le idee espresse nel Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein.

“La concezione scientifica del mondo non conosce gli enigmi insolubili. Il chiarimento delle questioni filosofiche tradizionali conduce, in parte, a smascherarle come pseudo-problemi, in parte a convertirle in questioni empiriche, soggette quindi al giudizio della scienza sperimentale.” (Carnap, Hahn, Neurath,1929 p.75)

La tesi neopositivista

La tesi fondamentale dei neopositivisti, largamente condivisa da tutti gli aderenti al circolo di Vienna, è la critica alla natura metafisica della filosofia tradizionale: ogni metafisica è un insieme di enunciati che non hanno senso (non sono veri né falsi) perché ricavati da concetti privi di scientificità.

L’errore fondamentale della metafisica non consiste nell’avere un contenuto emotivo da esprimere, ma nel simulare un contenuto teorico inesistente: il pensiero non può, da solo e senza far leva su dati empirici, condurre alla conoscenza scientifica.

Caratteristiche del Neopositivismo

Il Neopositivismo si presenta come:

  1. negazione della filosofia precedente, troppo compromessa con la metafisica
  2. ricostruzione della filosofia in quanto “critica del linguaggio” scientifico

La via per ricostruire una filosofia non metafisica è di focalizzare l’attenzione sul linguaggio scientifico in tal modo è possibile giungere ad una teoria della conoscenza in grado di offrire il principio di verificazione (formulato da Schlick nel 1936) e di controllo abilitato a distinguere le proposizioni significanti da quelle prive di senso in una prospettiva comune.

Il principio di verificazione

Per i neopositivisti, infatti, il senso di un’affermazione deriva dalla sua verificabilità empirica.

Distinguere proposizioni significanti da quelle non significanti significa, quindi, distinguere la scienza dalla non-scienza, eliminando ogni assunzione metafisica (principio di verificazione/criterio di significanza).

Stabilire il significato di un enunciato equivale a stabilire le regole secondo cui esso va usato cioè la maniera in cui esso può essere verificato (di qui l’etichetta di ‘neopositivismo’ o ‘neo-empirismo’).

La scienza viene concepita come unica fonte di conoscenza valida.

L’unità della scienza

La possibilità di una unità della scienza si basa soprattutto sulla riducibilità delle proposizioni scientifiche ad asserti di base. In tal modo la filosofia viene trasformata in teoria dei metodi usati nei procedimenti scientifici, delle condizioni di verificabilità delle ipotesi, della legittimità delle conclusioni e della significatività delle espressioni scientifiche.

<<Poiché il senso di ogni asserto scientifico deve risultare specificabile mediante riduzione ad asserti sul dato, anche il senso di ogni concetto, quale che sia il settore della scienza cui questo appartiene, deve potersi stabilire mediante riduzione graduale ad altri concetti, giù fino ai concetti di livello più basso, che concernono il dato medesimo.>> (ibidem)

Dal “determinismo” alla “probabilità”

Come si è detto precedentemente, nei primi anni del XX secolo, la concezione ottocentesca della scienza entra in crisi a causa degli sviluppi delle scienze naturali, e in particolare, della fisica: la meccanica quantistica, la relativizzazione dello spazio e del tempo operata da Einstein, il principio di indeterminazione di Heisenberg, introducono, infatti, un nuovo concetto, quello di probabilità.

Si assiste così ad una passaggio da leggi deterministiche (x causa Y) a leggi probabilistiche (x “probabilmente” causa y) implicanti elementi di accidentalità, disturbi e fluttuazioni.

Karl Raimund Popper (1902-1994)

Su queste basi si sviluppa il pensiero di Karl Popper, uno dei maggiori esponenti del Neopositivismo.

Secondo Popper, per capire la Logica di una teoria scientifica occorre partire da due concetti fondamentali: verificazione e induzione.

Nello specifico, egli rifiuta:

  1. il criterio neopositivistico di significanza (ogni proposizione è dotata di significato se può essere verificata empiricamente), mettendo ancora in primo piano il problema della demarcazione tra scienza e non-scienza
  2. l’induzione scientifica
Karl Popper

Karl Popper


Critica al criterio di significanza

Le teorie (in quanto formulazioni di valore universale) pretendono di valere per tutti i fatti, mentre gli eventi che possiamo raccogliere come prova della validità di una data teoria sono sempre di numero limitato. Quindi, applicando coerentemente il criterio di significato proposto dai neopositivisti, anche le teorie scientifiche dovrebbero essere respinte dal campo della scienza.

Critica al criterio di significanza

Popper nota che se il principio di verificazione vuole separare ciò che si può verificare da ciò che non si può verificare in riferimento al dato empirico, allora nessun dato empirico può dare la certezza di questa verifica.

Ciò significa che il dato empirico è individuale e questa unicità non può affermare nulla riguardo una legge assoluta.

Ad esempio, per quanto si possa affermare che è vero che “il sole sorge sempre“, il fatto che il sole debba necessariamente sorgere anche il giorno dopo non è dimostrato da alcuna legge se non l’abitudine a riscontrare questo dato di fatto.

Il criterio di falsificabilità

Popper propone invece un criterio di demarcazione basato sulla falsificabilità.

Per quanti fatti esistano in favore di una teoria, non possiamo mai raggiungere la certezza della sua validità perché è sufficiente un solo fatto in contrasto con la teoria per dimostrare la sua falsità. Infatti, una proposizione universale può essere falsificata da un solo caso contrario, mentre nessun numero di casi non contrari, per quanto elevato, può verificarla.

Un esempio di falsificazione empirica: i corvi neri

Popper introduce il concetto di falsificabilità attraverso l’esempio dei corvi.

A = «Tutti i corvi sono neri».

Questo asserto non può essere empiricamente verificato perché per quanti corvi neri si possono osservare non è possibile essere certi che in qualche luogo sconosciuto, o in passato, o in futuro non esista o non sia esistito o non esisterà almeno un corvo non-nero (problema dell’induzione).

Per superare l’impossibilità di verifiche infinite è necessario accettare A fino a che non si trovi una proposizione singolare che lo contraddica, o lo neghi direttamente. La procedura, allora, non è verificare l’asserto A-quindi controllare che in ogni tempo e in ogni luogo tutti i corvi siano effettivamente neri-ma cercare di falsificare l’asserto A controllando che esista almeno un corvo non nero. Si sposta in questo modo il problema della verifica diretta di A alla verifica della sua negazione.

I corvi

I corvi


Il criterio di falsificabilità

Il carattere distintivo della scienza è quindi la possibilità di falsificazione empirica delle sue teorie, qualora manchi questa possibilità, si è al di fuori della scienza.

Il criterio di falsificabilità è, quindi, un principio metodologico, secondo il quale una teoria è scientifica solo se da essa sono estraibili conseguenze che possono essere confutate dai fatti

Per questo motivo la metafisica non può essere conoscenza certa non perché le teorie che esprime non sono verificabili empiricamente, ma perché le teorie metafisiche non possono -per principio- essere falsificate dall’esperienza, poiché la metafisica fa riferimento a un mondo oltre-sensibile.

Il criterio di falsificabilità

“Se vogliamo evitare l’errore positivistico, consistente nell’eliminare per mezzo del nostro criterio di demarcazione i sistemi di teorie delle scienze della natura, dobbiamo scegliere un criterio che ci consenta di ammettere, nel dominio della scienza empirica, anche asserzioni che non possono essere verificate. Ma io ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall’esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di esser scelto, in senso positivo, una volta per tutte, ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza.” (Popper K.1970, pp. 21-24)

Critica all’induzione

Dalla critica al criterio di significanza neopositivistico e dall’introduzione criterio di falsificabilità discende inevitabilmente il rifiuto del procedimento induttivo come metodo per giungere a conclusioni di valore universale (come lo sono le teorie scientifiche) partendo dall’analisi di un numero necessariamente finito di casi particolari.

Critica all’induzione

Secondo Popper è del tutto illusorio sperar di costruire una logica di tipo induttivo che, a partire da un numero necessariamente finito di asserzioni singolari sia capace di condurre ad asserzioni di carattere universale, come le leggi e le teorie scientifiche. La credenza che la scienza proceda induttivamente da fatti empirici a teorie è logicamente ingiustificata poiché:

“Non esiste alcuna regola che possa garantirci che una generalizzazione inferita da asserzioni vere, per quanto ripetute spesso, sia vera.” (Popper, 1972)

Critica all’induzione: una metafora

Per avvalorare la sua tesi – ovvero confutare le pretese di validità dell’inferenza induttiva – Popper rielabora la metafora del tacchino induttivista, ideata originariamente da uno dei più importanti logici del XX secolo Bertrand Arthur William Russell (1872 – 1970).

Il tacchino induttivista

Un giorno un tacchino americano decise di formarsi una visione del mondo scientificamente fondata. Il 1° primo giorno osservò che il padrone gli aveva portato da mangiare alle 12:00; il giorno dopo, il fatto si verificò nuovamente, e lo stesso accadde nei mesi successivi, indipendentemente dalle condizioni climatiche, dal colore del vestito del padrone, dal fatto che questi fosse solo o in compagnia.

Il tacchino ne trasse dunque la seguente inferenza induttiva: “indipendentemente dal tempo, dal colore del vestito, dal fatto che sia solo o in compagnia, il padrone della fattoria mi dà da mangiare alle 12:00 ogni giorno”. L’inferenza viene però confutata in tronco nel giorno del ringraziamento quando il tacchino viene destinato al consumo alimentare come piatto principale della festa americana.

Il tacchino induttivista

Il tacchino induttivista


Il modello popperiano di sviluppo della conoscenza

La scienza deve inventare le teorie con l’immaginazione e poi controllarle mediante i fatti.

La crescita della conoscenza, quindi, non deriva da un accumulo di osservazioni ma si presenta come uno sviluppo che scaturisce da un problema (P1) al quale si cerca di dare una soluzione mediante dei tentativi teorici (TT), i quali vanno corretti, soprattutto mediante la discussione critica, cercando di eliminare gli errori (EE), cosa che non porta alla teoria vera bensì al sorgere di nuovi problemi (P2).

P1 – TT – EE – P2

Il modello popperiano di sviluppo della conoscenza

“(…) la verità non può essere raggiunta: essa deve quindi essere vista più come un ideale regolativo che come traguardo da conseguire effettivamente. Noi ci avviciniamo sempre alla verità, proponendo teorie sempre migliori, cioè che spiegano di più e che sono meglio controllabili.” (Popper K. 1975, 200 )

Paul Felix Lazarsfeld (1901-1976)

L’idea che il senso di ogni concetto deve potersi stabilire mediante “riduzione graduale ad altri concetti” comportò lo sviluppo di un modo di parlare della realtà sociale del tutto nuovo, tramite un linguaggio mutuato dalla matematica e dalla statistica, appunto il linguaggio delle variabili.

Paul F. Lazarsfeld, considerato il fondatore della moderna ricerca sociale empirica, sostiene che ogni oggetto sociale, a cominciare dall’individuo, è analiticamente definito sulla base di una serie di attributi e proprietà (le variabili) e a queste è ridotto, per questo i fenomeni sociali sono analizzati in termini di relazioni fra variabili.

Paul F. Lazarsfeld

Paul F. Lazarsfeld


Il linguaggio delle variabili

Per andare oltre il «linguaggio quotidiano notoriamente vago [in un processo di] chiarificazione e purificazione del discorso [che è] fondamentale per lo scienziato sociale; [...] la nostra conoscenza poteva essere organizzata in una qualche forma manipolabile [...] ed il senso comune riformulato in proposizioni tali da poter essere sottoposte a test empirico» (Lazarsfeld e Rosenberg 1955, 2, 11).

In questo modo tutti i fenomeni sociali potevano essere rilevati, misurati, correlati, elaborati e formalizzati, e le teorie convalidate o falsificate in maniera oggettiva e priva di ambiguità.

La variabile

La diretta conseguenza di questo nuovo modo di “guardare” ai fatti sociali è che essi possono essere rilevati, misurati, correlati, elaborati e formalizzati e le teorie convalidate o falsificate in maniera oggettiva e priva di ambiguità: la variabile, coi suoi caratteri di neutralità, oggettività e operativizzabilità matematica, diventa, in sintesi, la protagonista dell’analisi sociale.

Postpositivismo

A partire dal 1960 si fa strada una nuova corrente di pensiero nata sulla base dei principi del neopositivismo, il postpositivismo.

L’osservazione empirica, la percezione della realtà, non è una fotografia oggettiva, ma dipende dalla teoria.

Caratteristiche del Postpositivismo

La realtà esiste indipendentemente dall’attività conoscitiva e dalla capacità percettiva dell’uomo, l’atto del conoscere resta condizionato dalle circostanze sociali e dal quadro teorico nelle quali si colloca.

Cade la fede positivista nell’oggettività del dato rilevato e nella neutralità del linguaggio conservativo.

Apertura, parziale, alle tecniche qualitative.

Considerazioni conclusive: Neopositivismo

  1. Critiche e profonde riformulazioni del positivismo ottocentesco
  2. Fondamento logico-matematico del metodo scientifico e monismo metodologico
  3. Criterio di verificazione e principio di induzione
  4. importanza assegnata alla logica quale arbitro delle questioni scientifiche
  5. Legame tra le osservazioni empiriche e la teoria

Considerazioni conclusive: Postpositivismo

(Corbetta 2003, 23)


Prossima lezione

I paradigmi fondativi II: Interpretativismo

L’interpretativismo, che vede in Weber il suo esponente principale, non si propone di spiegare la realtà bensì di comprenderla; in questo modo si pone all’opposto del positivismo per quanto riguarda i punti principali del paradigma. Infatti, la sua ontologia prevede il costruttivismo e il relativismo (realtà multiple), vale a dire che non esiste una realtà oggettiva (ogni individuo produce una sua realtà, e solo questa realtà è conoscibile); inoltre anche le singole realtà individuali o anche condivise tra i gruppi sociali, variano comunque tra le diverse culture e quindi non esiste una realtà sociale universale valida per tutti. La ricerca sociale è vista come una scienza interpretativa alla ricerca di significato piuttosto che una scienza sperimentale in cerca di leggi. Nel perseguire il suo scopo la ricerca sociale può servirsi di astrazioni e generalizzazioni: i tipi ideali e gli enunciati di possibilità. La metodologia prevede l’interazione tra studioso e studiato, perché solo in questo modo è possibile comprendere il significato attribuito dal soggetto alla propria azione. Le tecniche sono quindi qualitative e soggettive e il metodo usato è quello dell’induzione (dal particolare al generale).

Le lezioni del Corso

I materiali di supporto della lezione

K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einuaidi, 1970,

K. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna, 1972

K. Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975

R.Carnap, H.Hahn, O.Neurath, Wissenschaftliche Weltauffassung. Der Wiener Kreis,Wien, 1929; trad. it. A.Pasquinelli, La concezione scientifica del mondo,Laterza, Bari 1979

P. F. Lazarsfeld e M. Rosenberg (a cura di), The Language of Social Research: a Reader in the Methodology of Social Research, Glencoe, Free Press, 1955.

C. Lombardo (a c. di), P.F. Lazarsfeld, Saggi storici e metodologici, Roma, Eucos, 2001

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