Come si è visto nella lezione precedente, le domande inserite in un questionario possono riguardare anche le proprietà psichiche ovvero i valori, le opinioni, le motivazioni, i sentimenti, i giudizi, i valori e, più in generale, gli atteggiamenti.
Il termine atteggiamento è stato utilizzato per la prima volta dai sociologia Thomas e Znaniecki, nel 1918 nella ricerca Il contadino polacco in Europa e in America di due sociologi: Gli autori definirono l’atteggiamento come un processo della coscienza individuale (mentale) che determina le risposte effettive e potenziali (azioni) di ogni individuo al suo ambiente sociale.
Gli atteggiamenti sono, dunque, parte dei valori sociali, essi vengono concepiti come relativi ad un singolo oggetto mentre i sistemi di valore sono degli orientamenti verso intere classi di oggetti. Gli atteggiamenti individuali sono spesso organizzati entro un sistema di valori.
La prima definizione di atteggiamento (piuttosto generica) fu quella di Gordon Allport, il quale lo considerava uno stato mentale o neurologico di prontezza, organizzata attraverso l’esperienza, che esercita un’influenza direttiva o dinamica sulla risposta dell’individuo nei confronti di ogni oggetto o situazione con cui entra in relazione. Questa definizione mette in evidenza il fatto che si parla di uno stato non direttamente osservabile e che si tratta di una variabile che interviene fra lo stimolo e la risposta.
Componenti di un atteggiamento
L’atteggiamento è dunque un costrutto psicologico costituito da 3 componenti di natura diversa:
A differenza delle altre, queste informazioni sono più difficili da ottenere e questo per una serie di problematiche.
Innanzitutto, a causa della loro natura, sfumata e inafferrabile che rende difficoltosa la trasformazione del concetto in variabili; in secondo luogo perché le questioni che attengono gli atteggiamenti si riferiscono ad argomenti sui quali l’intervistato può rispondere sulla base della desiderabilità sociale (vedi Lez. 22).
Ad esempio, se si intendesse indagare sul razzismo non solo sarebbe difficoltoso operativizzare tale concetto – a causa dell’alta generalità del concetto stesso – ma sarebbe anche possibile che, interrogato sul suo grado di razzismo, l’intervistato si dichiarerebbe non razzista semplicemente perchè esserlo non sarebbe condiviso dalla società a cui appartiene.
In pratica, chiedere ad un soggetto l’età o il partito per cui ha votato alle ultime elezioni è certamente più semplice che domandargli se si ritiene razzista o meno.
Queste problematiche rendono molto complessa la rilevazione degli atteggiamenti al punto che non esiste un modo preciso e totalmente affidabile.
Esistono tuttavia degli strumenti di raccolta e di analisi dei dati che consentono di rilevare indizi utili alla loro comprensione.
Per risolvere queste problematiche si ricorre alle tecniche delle scale (scaling). Alla base di queste tecniche c’è l’idea che anche proprietà meramente psichiche possono essere rilevate semplicemente perché esse sono proprietà continue e misurabili. In questo caso l’unità d’analisi è l’individuo, il concetto generale è un atteggiamento (credenze di fondo non rilevabili direttamente) e i concetti specifici sono le opinioni (espressione empiricamente rilevabile di un atteggiamento).
Nello specifico, le tecniche di scaling sono un insieme di procedure messe a punto per misurare concetti complessi e non direttamente osservabili. Il modo per poterli registrare è di usare un insieme coerente ed organico di indicatori, mettendo a punto criteri per controllare l’effettiva sovrapposizione fra indicatori e concetto e la completezza della procedura. Per questo una scala è un insieme coerente di elementi che sono considerati indicatori di un concetto più generale.
Il problema è che queste proprietà, considerate continue e misurabili, di fatto non hanno un’unità di misura. Nell’esempio di prima, non esiste un’unità di misura del razzismo. Per risolvere questo problema, si ricorre appunto alle tecniche di scaling che, infatti, producono dati ai quali si attribuiscono (legittimamente o illegittimamente) le proprietà cardinali (variabili cardinali).
Per attribuire proprietà cardinali occorre che:
Come si è visto nella lezione 18, alcune tecniche di scaling rispettano tutte e tre le condizioni, in questo caso, le variabili prodotte non sono trattabili come cardinali si otterranno variabili categoriali ordinate. Altre tecniche di scaling soddisfano solo la prima e la seconda condizione, invece l’unità di misura non è né intersoggettiva né replicabile. In questo caso, le tecniche di scaling prendono il nome di scale auto-ancoranti e le variabili prodotte sono trattabili come cardinali, per distinguerle da quelle legittimamente cardinali vengono dette variabili quasi-cardinali.
Scaling con variabili non trattabili come cardinali
Scaling con variabili trattabili come cardinali (lez. 25)
Tutte le scale debbono essere valide, attendibili e facilmente somministrabili
Ciascuna tecnica si distingue per la forma dello schema di alternative di risposta (picchetti).
Prima di affrontare nello specifico le singole scale, è opportuno sottolineare che, al pari delle altre tecniche di rilevazione dati, anche le scale di atteggiamento, possono produrre distorsioni.
La distorsione è un’alterazione dello stato effettivo dei soggetti sulla proprietà che interviene nel processo dirilevazione e/o registrazione
Le distorsioni possono riguardare:
Indipendentemente dalla scala considerata è possibile individuare 5 tipi di distorsioni:
NB: Alcuni tipi distorsioni sono proprie delle scale con categorie ordinate ed altre sono specifiche delle scale autoancoranti.
La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Likert
1. Metodo, metodologia, tecnica, epistemologia, gnoseologia
2. Il problema del metodo nella scienza
3. Il problema del metodo nelle scienze sociali
4. Il concetto di paradigma nelle scienze sociali
5. I paradigmi fondativi I: Positivismo
6. Gli sviluppi successivi: Neopositivismo e Postpositivismo
7. I paradigmi fondativi II: Interpretativismo
8. Il metodo qualitativo e il metodo quantitativo a confronto
9. Approcci standard e approcci non standard alla scienza
10. La struttura “tipo” della ricerca quantitativa
11. Tipi di unità di analisi nella ricerca sociale
12. Gli strumenti elementari della conoscenza: concetti, asserti e ...
13. La trasformazione del concetto in indicatori
14. La trasformazione di un indicatore in variabile: la definizione...
15. Le variabili
16. Misurazione e scale: la proposta di Stevens
17. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
18. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
19. La ricomposizione degli indicatori e la costruzione degli indic...
22. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Likert
23. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Guttman
24. La tecnica delle scale di atteggiamento. Le scale auto-ancorant...
25. Le fonti statistiche ufficiali
27. Campionamento non probabilistico
28. L'approccio qualitativo. L'osservazione partecipante
A. Marradi (a cura di) Costuire il dato. Sulle tecniche di raccolta delle informazioni nelle scienze sociali, Milano Franco Angeli, 1988.
A Marradi, Misurazione e scale: qualche riflessione e una proposta, "Quaderni di Sociologia", XXIX, n. 4, 1981, pp. 595-639.
A.Marradi, G. Gasperoni (a cura di) Costruire il dato 2. Vizi e virtù di alcune tecniche di raccolta delle informazioni, Milano Franco Angeli, 1992.