Come si è avuto modo di evidenziare precedentemente (lezione 9) e come vedremo nelle prossime lezioni, le tecniche qualitative, a differenza di quelle quantitative, non sono facilmente distinguibili né dal punto di vista concettuale né terminologico e spesso nemmeno dal punto di vista applicativo. Alcune tecniche si differenziano, infatti, solo per delle sfumature e spesso accade che il ricercatore le utilizzi contemporaneamente nel corso di una stessa ricerca. Anche la raccolta e l’analisi dei dati, che nella ricerca quantitativa rappresentano fasi cronologicamente ben distinte, qui si intrecciano e si sovrappongono durante tutta la ricerca.
Inoltre, l’analisi del materiale empirico si articola secondo criteri “personali” del ricercatore costituiti dalla sua sensibilità soggettiva, dalla sua immaginazione sociologica e dalla sua capacità di connettere eventi e di estrapolare dalla realtà osservata delle generalizzazioni. L’ingresso dell’informatica per l’analisi dei dati qualitativi ha, di fatto, modificato relativamente questa condizione.
“la ricerca qualitativa … consiste in un processo dinamico che lega assieme problemi, teorie e metodi … di conseguenza il processo di ricerca non è una ben definita sequenza di procedure che seguono il nitido disegno, ma una confusa interazione tra il mondo concettuale e quello empirico, dove deduzione ed intuizione si realizzano nello stesso tempo”. (Bryan e Burgess 1994, 2)
Le tecniche qualitative si possono raggruppare in tre categorie, ciascuna riconducibile ad una delle tre azioni che l’uomo mette in atto per analizzare la realtà che lo circonda
L’osservazione partecipante è una strategia di ricerca nella quale il ricercatore si inserisce in maniera diretta e per un periodo di tempo relativamente lungo in un determinato gruppo sociale preso nel suo ambiente naturale, istaurando un rapporto di interazione personale con i suoi membri allo scopo di descriverne le azioni e di comprenderne, mediante un processo di immedesimazione, le motivazioni.
(Corbetta, 1999, 368)
L’osservazione partecipante è, dunque, una tecnica per la raccolta di informazioni sul comportamento non verbale tipica del paradigma interpretativo. Oltre ad “osservare” e “ascoltare”, il ricercatore ha un contatto diretto e personale con il soggetto studiato: nell’osservazione partecipante il ricercatore si immerge nel contesto sociale che vuole studiare anche per molto tempo, vive con e come le persone che studia, ne condivide la quotidianità, le interroga per scoprire le loro concezioni del mondo e le loro motivazioni all’agire. Ciò gli consente di sviluppare una visione “dal di dentro” che è la base della comprensione.
Obiettivi della tecnica:
La tecnica, nata in ambito antropologico fra il XIX e il XX secolo, fu definita esplicitamente per la prima volta da Bronislaw Malinowski nell’Introduzione del suo libro “Argonauti del Pacifico Occidentale” (1922). Fino ad allora l’approccio di studio antropologico considerava le popolazioni indigene come “selvaggi primitivi da educare alla civiltà occidentali”.
Malinowski mise in crisi questo modello introducendo la necessità di “afferrare il punto di vista dell’indigeno”. Per questo motivo egli trascorse lunghi periodi nelle società primitive della Nuova Guinea vivendo a stretto contatto con gli indigeni e condividendone la quotidianità.
Successivamente questo modo di far ricerca non solo fu utilizzato per indagare su specifiche aree di studio delle società moderne ma fu adottato anche da altre discipline come, appunto, la sociologia.
In sociologia l’introduzione di queste tecniche di ricerca si deve a Robert Ezra Park e alla Scuola di Chicago che negli anni ‘20 e ‘30 ne proposero l’impiego negli studi sulla società urbana americana.
«I metodi pazienti dell’osservazione che gli antropologi come Boas e Lowie hanno utilizzato nello studio sulla vita e sui costumi degli Indiani dell’America del Nord potrebbero essere impiegati in modo ancora più fecondo nello studio sui costumi, le credenze, la pratica sociale e le concezioni generali della vita prevalenti nei quartieri di Little Italy nella zona inferiore di North Side a Chicago, o ancora per registrare i costumi più sofisticati degli abitanti di Greenwich Village e del quartiere di Washington Square a New York»
(R. E. Park, 1979)
Risorse:
L’osservazione partecipante può essere applicata allo studio di tutte le attività umane ogni qualvolta si vuole scoprire dall’interno la loro visione del mondo.
In particolare, è utilizzata quando:
Nella ricerca sociologica è applicata in due ambiti:
Sulla base dell’esplicitazione o meno del ruolo dell’osservatore, è possibile distinguere due tipi principali di osservazione.
L’osservazione dissimulata trova la sua ragion d’essere nel fatto che sapendo di essere osservato l’individuo potrebbe comportarsi in modo diverso da come fa abitualmente. Adottando l’osservazione dissimulata sarebbe così possibile cogliere l’agire naturale delle persone (paradosso dell’osservatore).
A queste argomentazioni si contrappongono quelle di coloro che ritengono che la dissimulazione abbia una serie di controindicazioni di ordine morale: presentare un’identità diversa dalla propria è, infatti, inaccettabile se si considera l’elevato valore morale delle finalità della ricerca.
Un giusto punto di incontro consiste nel considerare i due tipi di osservazione come complementari alla ricerca stessa: l’osservazione dissimulata è valida per le prime fasi dell’osservazione; a mano a mano che l’osservatore viene accettato nell’ambiente studiato e la sua presenza diviene consuetudine, le diffidenze si attenuano ed il comportamento degli osservati torna ad essere normale.
Esistono comunque situazioni in cui l’adozione di un’osservazione dissimulata è necessaria: quando l’ambiente osservato è pubblico, aperto, sarebbe impossibile e quantomeno inutile rendere manifesta l’osservazione.
Esempio:
Se il gruppo da studiare è privato ed esterno all’esperienza del ricercatore e l’accesso è limitato solo a chi possiede determinate caratteristiche, l’osservazione palese è necessaria.
Esempio
Uno dei primi e più importanti problemi che il ricercatore si trova a dover risolvere se intende procedere con un’osservazione partecipante è quello dell’accesso al gruppo.
Il modo più semplice di risolverlo è ricorrere ad un mediatore culturale, ovvero una persona che non solo gode della fiducia del gruppo ma, per le caratteristiche che possiede, è anche in grado di capire le esigenze del ricercatore. Grazie al mediatore culturale il ricercatore viene legittimato e acquisisce credibilità nel gruppo.
Ciò però non basta; il ricercatore ha anche la necessità di instaurare rapporti di fiducia con determinate figure del gruppo al fine di ottenere informazioni sul gruppo stesso. Queste figure vengono dette informatori o testimoni privilegiati. Essi appartengono al gruppo e sono collocati in posizioni strategiche per la conoscenza dell’ambiente. Il loro ruolo è di supportare il ricercatore anche nelle interpretazioni che egli dà della cultura studiata. Per questo motivo, generalmente, tra ricercatore e informatore di stabilisce uno stretto rapporto personale.
Gli informatori si distinguono in:
Nonostante sia una tecnica non standard, il ricercatore deve prevedere comunque una selezione di ciò che egli intende osservare. La selezione viene stabilita dalla teoria di riferimento. La ricerca dell’osservatore partecipante non parte da una tabula rasa: egli seleziona gli oggetti di osservazione, decide che cosa chiedere e forgia i suoi interessi nel corso della ricerca stessa.
In generale, è possibile distinguere 5 oggetti i osservazione:
Il processo di registrazione dei dati osservati consiste nella stesura particolareggiata di appunti fatta giorno dopo giorno, una sorta di diario quotidiano in cui il ricercatore descrive minuziosamente ciò che ha osservato. Gli appunti non sono il “ricordo” del ricercatore ma nascono dall’interazione tra il ricercatore e la realtà osservata:egli può commentare ciò che descrive ma deve aver cura di separare e chiarire i suoi commenti dalla mera descrizione dei fatti.
Tre sono le componenti essenziali della registrazione:
L’analisi del materiale è la fase più delicata e complessa perché è in questo momento che si realizza il passaggio dai costrutti di prim’ordine – ciò che si è osservato – ai costrutti di second’ordine – le categorie concettuali della teoria sociologica (Cardano, 1997). Scopo dell’osservazione è, infatti, non solo comprendere dal punto di vista dei soggetti ma anche far emergere aspetti dei quali i soggetti stessi non hanno consapevolezza.
L’analisi è allora un processo continuo che si sviluppa nel corso dell’osservazione, un intreccio di osservazione e analisi che consente di produrre, via via, le prime elaborazioni teoriche.
Per questo motivo le caratteristiche dell’analisi presentano le caratteristiche della retroattività e della ciclicità: a mano a mano che procede, la riflessioni teorica torna sugli elementi osservativi già analizzati, per ri-analizzarli alla luce delle nuove acquisizioni.
Questo modo di procedere pone spesso un problema definito da Lofland (1971) dramma della selezione: l’iter dell’analisi può essere paragonato ad un imbuto in cui, a mano a mano che si procede, l’analisi stessa si restringe. Ciò implica che il ricercatore è costretto a fare delle scelte via via sempre più drastiche depurando le sue conclusioni dalle osservazioni stesse, una scelta necessaria affinché si mantenga una linea argomentativa efficace.
L’osservazione partecipante è la tecnica utilizzata per lo studio dell’interazione sociale:
La partecipazione è il centro di questa esperienza:
L’intervista qualitativa
1. Metodo, metodologia, tecnica, epistemologia, gnoseologia
2. Il problema del metodo nella scienza
3. Il problema del metodo nelle scienze sociali
4. Il concetto di paradigma nelle scienze sociali
5. I paradigmi fondativi I: Positivismo
6. Gli sviluppi successivi: Neopositivismo e Postpositivismo
7. I paradigmi fondativi II: Interpretativismo
8. Il metodo qualitativo e il metodo quantitativo a confronto
9. Approcci standard e approcci non standard alla scienza
10. La struttura “tipo” della ricerca quantitativa
11. Tipi di unità di analisi nella ricerca sociale
12. Gli strumenti elementari della conoscenza: concetti, asserti e ...
13. La trasformazione del concetto in indicatori
14. La trasformazione di un indicatore in variabile: la definizione...
15. Le variabili
16. Misurazione e scale: la proposta di Stevens
17. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
18. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
19. La ricomposizione degli indicatori e la costruzione degli indic...
22. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Likert
23. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Guttman
24. La tecnica delle scale di atteggiamento. Le scale auto-ancorant...
25. Le fonti statistiche ufficiali
27. Campionamento non probabilistico
28. L'approccio qualitativo. L'osservazione partecipante
A. Bryan R. G. Burgess,Analiyzing qialitative data, Londono Routledge, 1994.
B. Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva, Torino Bollati Boringhieri, 2004.
J. Lofland, Analyzing Social Settings, Belmont, Wadsworth Publishing Company, 1971.
J. P. Spradley, Participant observation, Orlando FL: Harcourt Brace Jovanovich College Publishers, 1980.
M. Cardano, L'interpretazione etnografica. Sui criteri di adozione degli asserti etnografici, in F. Neresini (a c. di), “Interpretazione e ricerca sociologica. La costruzione dei fatti sociali nei processi di ricerca”, Urbino Quattro Venti, 1997.
R. E. Park, La città, indicazioni per lo studio del comportamento urbano nell'ambiente urbano, 1916 (trad. it. 1979).
Lanzetti C., Elaborazioni di dati qualitativi, Angeli, Milano, 1995.
L. Ricolfi, La ricerca qualitativa, Roma Carocci,1998.
D. Silverman, Come fare ricerca qualitativa Roma Carocci, 2002.