Il termine “misura” deriva dal termine latino mensura, che a sua volta deriva da una radice indoeuropea M-vocale-N che significa luna (in epoche lontane la luna piena – che si mostrava con regolarità ogni 28 giorni – era utilizzata per “misurare” il tempo). La stessa radice fu anche usata per designare il processo di suddivisione di un continuum mediante un’appropriata unità convenzionale: alla fine del XVIII secolo fu stabilita, infatti, una unità per misurare il continuum – spazio, il metro.
Ciò che accomuna questi differenti modi di misurare è l’idea che la misurazione si riferisce a quel processo con il quale alcuni segmenti di lunghezza nota e costante (unità di misura) sono individuati ed enucleati da un continuum indefinito.
Come si è sottolineato nelle lezioni precedenti, le scienze sociali, sotto l’influenza del Positivismo, hanno mutuato dalle scienze fisiche anche il concetto di misurazione ma in un’accezione più ampia.
Nel 1932, un comitato della British Association for Advancement of Science composto da psicologi e fisici fu incaricato di esaminare e pronunciarsi sulla reale possibilità di “misurare” le sensazioni umane. Dopo circa sette anni di riflessioni emerse che la reale difficoltà non riguardava la possibilità di fornire stime quantitative di proprietà sensoriali quanto piuttosto stabilire – e accordarsi – quale fosse il reale significato del termine “misurazione”.
Su queste basi si fonda la Teoria delle Scale di Misura dello psicofisico Stanley Smith Stevens elaborata nel 1946.
Egli parte dal presupposto che:
“si può giungere ad un accordo (su cosa sia la misurazione) se riconosciamo che la misurazione si presenta sotto differenti forme e che le scale di misura rientrano in alcune specifiche classi. Queste classi sono determinate sia dalle operazioni empiriche richieste dal procedimento di ‘misurazione’, sia dalle proprietà formali (matematiche) delle scale”. (S. S. Stevens, 1946, 141).
S. S. Stevens passa, dunque, a definire la misurazione:
“possiamo dire che la misurazione, nel senso più ampio, consiste nell’attribuzione di numeri a oggetti o eventi seguendo determinate regole. Il fatto che si possano assegnare dei numeri seguendo regole differenti porta a differenti tipi di scala e differenti tipi di misurazione. Il problema diventa quello di rendere esplicite: a) le varie regole per l’assegnazione dei numeri, b) le proprietà matematiche (o la struttura del gruppo) delle scale che ne risultano, e c) le operazioni statistiche applicabili alle misure effettuate su ciascun tipo di scala” (ibidem).
Secondo Stevens, misurare una proprietà significa quindi assegnare un numero (o un simbolo) alle modalità in modo tale che le relazioni tra i numeri (o simboli) riflettano le relazioni tra le modalità della proprietà. Per cui è possibile collegare la “realtà” (eventi che accadono nel tempo, oggetti presenti nel mondo reale o individui che attuano dei comportamenti) e le categorie (numeri) con i quali si etichettano, si codificano, si organizzano gli eventi, gli oggetti o gli individui che fanno parte del mondo. Il collegamento è reso possibile da quell’insieme di regole di corrispondenza che se rispettate consentono di misurare i fenomeni psicologici e sociali in maniera corretta e accurata.
La realtà: un sistema relazionale empirico, un insieme di elementi empirici sui quali vengono definite delle relazioni.
Le categorie: un sistema numerico (leggi) che deve riflettere le caratteristiche del sistema empirico.
Le regole: una funzione di omomorfismo che lega il sistema empirico con quello numerico.
Misurare un sistema empirico significa, allora,: costruire un sistema numerico in modo tale che sia in una relazione di omomorfismo con il sistema empirico.
Una scala di misura è quindi una funzione che mette in corrispondenza gli stati di oggetti su determinate proprietà e i numeri reali. I numeri, o simboli, che costituiscono il sistema numerico possiedono proprietà diverse. In questo modo, possiamo distinguere tra diversi livelli di scale di misura.
Stevens parla di livelli di scala poiché i quattro tipi da lui distinti stanno in una precisa gerarchia, la prima rappresenta il livello più basso della misurazione, l’ultima è invece il livello più alto: passando da un livello di misurazione ad uno più alto aumenta il numero di operazioni matematiche che possono essere compiute sui valori della scala. Per le trasformazioni ammissibili, più il livello di scala è basso, più le funzioni sono generali (sono minori cioè i vincoli per passare da una rappresentazione numerica ad un’altra equivalente); salendo la gerarchia, la natura delle funzioni si fa più restrittiva.
La classificazione dei tipi di scale (cioè dei prodotti finali dei procedimenti di assegnazione dei valori) proposta da Stevens negli anni ‘40 è stata adottata dal metodologi e dai ricercatori empirici nelle scienze sociali. Stevens ha operato la distinzione fra le categorie basandosi esclusivamente sulle proprietà logico-formali dei vari tipi di scala.
La scala nominale rappresenta la forma più semplice di misurazione. Consiste nell’assegnare dei casi a gruppi o categorie, senza attribuire ad essi alcun genere di informazione quantitativa e nessun criterio di ordine. Infatti, le scale nominali non consentono di quantificare le differenze fra due individui appartenenti a categorie diverse
Per i dati a questo livello di scala si possono solo suddividere i referenti in categorie distinte, mutuamente esclusive ed esaustive: la scala nominale è un sistema di classificazione costituto da almeno due categorie dove ogni caso rientra solo ed esclusivamente in una categoria.
NB: Qualsiasi operazione di classificazione dà origine a una scala nominale
Quando si trasforma una proprietà in variabile, ad ogni modalità, che rappresenta stato sulla proprietà, si assegna un valore numerico per catalogarla. Le etichette che si decide di attribuire ad ogni categoria sono del tutto arbitrarie.
L’unica operazione consentita è stabilire l’uguaglianza o la diversità tra due casi.
Questo significa che, a questo livello di scala, l’unico confronto possibile tra gli elementi del sistema empirico è quello che ci consente di stabilire se due elementi sono o meno equivalenti. Se due elementi sono equivalenti (es., se due individui sono entrambi maschi), allora appartengono alla stessa classe di equivalenza
Es.: Genere -> 1 Maschio; 2 Femmina
L’assegnazione di 1 a maschio e di 2 a femmina è arbitrario (assegnando 2 a maschio e 1 a femmina non altererebbe la “misurazione”). E’ possibile solo stabilire se dati due casi, essi sono sulla variabile “genere”, uguali (ricadono nella stessa modalità, sono entrambi maschi) o sono differenti(ricadono in modalità diverse, uno è maschio l’altro è femmina).
Quando sul sistema empirico è definita la relazione di maggiore o minore, oltre a quella di uguaglianza, la scala che deriva dalla sua rappresentazione numerica è detta ordinale.
La scala ordinale è simile a quella nominale perchè consiste di categorie reciprocamente esclusive ed esaustive ma le diverse categorie sono ordinate gerarchicamente a seconda del valore che hanno rispetto alla proprietà considerata. Al livello di scala ordinale è possibile solo dire che, rispetto alla caratteristica misurata, un caso che in una graduatoria ha una posizione r, ha un valore più elevato rispetto ad una persona in posizione r -1, e che quest’ultima ha un valore più elevato rispetto ad una persona in posizione r-2.
In questa scala non è possibile quantificare la distanza tra il valore r e il valore r-1 e non è possibile dire se tra r e r-1 da un lato, ed r-1 e r-2 dall’altro vi sia la stessa distanza.
La scala ad intervalli misura quei sistemi empirici che, oltre a possedere le caratteristiche rappresentate dalle scale nominali e ordinali, consentono di definire degli intervalli costanti e uniformi tra le intensità della proprietà misurata; in una scala ad intervalli, l’intervallo ha il valore “1″ e viene denominato unità di misura.
La differenza tra livello di scala ordinale e ad intervalli consiste nel fatto che con una scala ad intervalli sappiamo non soltanto se, sulla base di quella variabile, una persona si colloca più in alto rispetto ad un’altra, ma anche “di quante unità di misura più in alto” si colloca.
In particolare:
Come per la scala nominale, è possibile stabilire se due modalità sono uguali o diverse (30 ≠ 20); come per la scala ordinale è possibile mettere due modalità in una relazione d’ordine (30 > 20); in più è possibile definire una unità di misura per cui è possibile dire che tra 30 e 20 c’è una differenza di 10 (30- 20).
Un esempio di scala ad intervalli sono le scale Celsius e Farenheit per la misurazione della temperatura. Uguali differenze su ciascuna di queste scale rappresentano uguali differenze in temperatura, anche se non si può affermare che una temperatura di 30 gradi sia il doppio di 15 gradi.
Consideriamo la seguente affermazione: “in estate se la temperatura è 40° centigradi mentre in inverno è di 20° centigradi allora in estate la temperatura è il doppio che in inverno”.
Questa affermazione è priva di senso perchè una misura (40°) è il doppio di un’altra (20°) solo nella scala arbitraria centigrada.
Se, per esempio, si fossero misurate le due temperature usando la scala Fahrenheit, i due valori sarebbero stati 68° F e 104° F perchè nella scala Fahrenheit lo zero corrisponde – arbitrariamente – ad una temperatura diversa. Mentre nel caso della scala centigrada si è stabilito – altrettanto arbitrariamente – che lo zero della scala corrisponde alla temperatura che porta al congelamento dell’acqua.
Questo significa che la relazione “il doppio di” che si era individuata in precedenza si applicava solo ai numeri della scala centigrada, ma non alla proprietà che è stata misurata (temperatura).
La scala a rapporti equivalenti è simile alla scala ad intervalli. Le due scale differiscono solo per il diverso significato che lo zero possiede nei due tipi di scala: zero relativo (scala ad intervalli equivalenti) o zero assoluto (scala a rapporti equivalenti).
Nella scala a rapporti equivalenti la posizione dello zero non è arbitraria dato che corrisponde all’elemento dotato di intensità nulla rispetto alla proprietà misurata. Lo zero non viene assegnato ad elementi diversi nel passare da una scala ad un’altra, entrambe misura dello stesso sistema empirico.
Agli elementi di un insieme empirico vengono assegnati dei numeri tali per cui le differenze e i rapporti tra i numeri riflettono le differenze e i rapporti tra le intensità della proprietà misurata.
Le operazioni aritmetiche sono dunque possibili sia sulle differenze tra i valori della scala (come per la scala a intervalli equivalenti) sia sui valori stessi della scala. L’unica arbitrarietà riguarda l’unità di misura che si utilizza: l’unità di misura può cambiare, ma qualsiasi unità di misura si scelga, lo zero indicherà sempre l’intensità nulla della proprietà considerata (ovvero, l’assenza della proprietà).
ES. Per misurare la distanza rispetto al punto 0 (zero) in centimetri e in pollici si assegnerà il valore distanza = 0 agli elementi che sono collocati nell’origine, sia quando la distanza viene misurata in centimetri sia quando essa viene misurata in pollici. L’esito della misurazione dipenderà dall’unità di misura utilizzata.
Il termine misurazione viene usato per denotare processi estremamente diversi fra loro. Questo progressivo stiramento del termine “misurazione” interessa esclusivamente le scienze sociali; la conseguenza più diretta è una confusione sia terminologica sia concettuale: cose profondamente diverse vengono chiamate allo stesso modo, e la stessa cosa viene chiamata in modi significativamente diversi.
A questa confusione ha contribuito in modo determinante proprio la classificazione delle scale di Stevens.
Nella prossima lezione sarà dapprima specificata la confusione terminologica e concettuale in cui versano le scienze sociali rispetto al concetto di misurazione; in seguito sarà presentata la proposta di Marradi “una proposta di risistemazione concettuale e terminologica dell’intero arco dei procedimenti con cui vengono assegnati valori simbolici a stati sulle proprietà; essa ha come conseguenza una risistemazione dei tipi di ’scale’, cioè dei risultati finali di quei procedimenti” (Marradi, 1981,597).
Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta di Marradi: I parte
1. Metodo, metodologia, tecnica, epistemologia, gnoseologia
2. Il problema del metodo nella scienza
3. Il problema del metodo nelle scienze sociali
4. Il concetto di paradigma nelle scienze sociali
5. I paradigmi fondativi I: Positivismo
6. Gli sviluppi successivi: Neopositivismo e Postpositivismo
7. I paradigmi fondativi II: Interpretativismo
8. Il metodo qualitativo e il metodo quantitativo a confronto
9. Approcci standard e approcci non standard alla scienza
10. La struttura “tipo” della ricerca quantitativa
11. Tipi di unità di analisi nella ricerca sociale
12. Gli strumenti elementari della conoscenza: concetti, asserti e ...
13. La trasformazione del concetto in indicatori
14. La trasformazione di un indicatore in variabile: la definizione...
15. Le variabili
16. Misurazione e scale: la proposta di Stevens
17. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
18. Classificazione, misurazione, conteggio, scaling: la proposta d...
19. La ricomposizione degli indicatori e la costruzione degli indic...
22. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Likert
23. La tecnica delle scale di atteggiamento. La scala Guttman
24. La tecnica delle scale di atteggiamento. Le scale auto-ancorant...
25. Le fonti statistiche ufficiali
27. Campionamento non probabilistico
28. L'approccio qualitativo. L'osservazione partecipante
S. S. Stevens, A Scale for the Measurement of a Psychological Magnitude: Loudness, in “Psychological Review”, XLIII, pp. 405_16, 1936
S. S. Stevens, On the Problem of Scales of Measurement of Psychological Magnitudes, in “Journal of Unified Science”, IX, pp. 94_99, 1939
S. S. Stevens, Mathematics, Measurement and Psychophysics, in Stevens (a cura di), “Handbook of Experimental Psychology”, New York Wiley, 1951
S. S. Stevens, On the Theory of Scales of Measurement, in “Science”, vol. CIII, 1946, pp. 677_80.
A. Marradi, Misurazione e scale: qualche riflessione e una proposta in "Quaderni di Sociologia" , XXIX, 4 1981, pp. 595-639