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Giuseppe Di Costanzo » 6.Karl Marx


Cenni biografici

Karl Marx nacque a Treviri, città tedesca della Renania, il 5 maggio 1818. Si iscrisse all’università di Bonn dove seguì inizialmente i corsi di diritto; dopo poco, però, decise di dedicarsi allo studio della filosofia, disciplina nella quale si laureò nel 1841 all’università di Jena con una tesi dal titolo Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Nel 1842 iniziò a collaborare per il giornale liberale Rheinische Zeitung (Gazzetta renana), di cui divenne successivamente anche caporedattore. La chiusura della Gazzetta costrinse Marx a trasferirsi a Parigi.

Nel 1847 accettò l’incarico da parte della Lega dei comunisti di elaborare un documento teorico-programmatico, che fu pubblicato in collaborazione con Engels a Londra nel 1848, con il titolo Manifesto del partito comunista. Dopo essere stato espulso dalla Germania si rifugiò nuovamente a Parigi, ma il governo francese gli impose poi di trasferirsi in una zona paludosa della Bretagna. Per tale ragione Marx emigrò a Londra, dove, nel 1851, iniziò a lavorare per il British Museum.

Nel 1881 morì la moglie Jenny, sorte che toccò allo stesso Marx due anni più tardi.

Karl Marx. Fonte: Wikimedia Commons

Karl Marx. Fonte: Wikimedia Commons


Opere principali

Tra le sue opere principali si ricordano:

  • Critica della filosofia di Hegel, 1843;
  • La sacra famiglia, 1844;
  • Manoscritti economico-filosofici, 1844;
  • Ideologia tedesca, 1845;
  • Tesi su Feuerbach, 1845;
  • Miseria della filosofia, 1847;
  • Manifesto del partito comunista, 1848;
  • Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, 1852;
  • Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, 1852;
  • Per la critica dell’economia politica, 1859;
  • Il Capitale, 1867;
  • Critica del Programma di Gotha, 1875.

La critica all’idealismo

Marx sostiene che il limite dell’idealismo consiste nel fatto che esso fa del concreto la manifestazione dell’astratto. In tal senso Hegel è autore di un vero e proprio stratagemma attraverso il quale trasforma le realtà empiriche in manifestazioni necessarie dello spirito. In altri termini si determina una sorta di ribaltamento: Hegel, infatti, anziché constatare la realtà per quello che è, si concentra nell’individuare in tale realtà una prova concreta di qualcosa di astratto. Marx definisce questo procedimento con il concetto di misticismo logico. Attraverso il misticismo logico le istituzioni, invece di comparire per ciò che di fatto sono, finiscono per essere allegorie di una realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di esse.

Lo Stato liberale

Alla base della teoria di Marx vi è una critica globale della civiltà moderna e dello Stato liberale. Secondo il filosofo esiste una scissione tra società civile e Stato. L’individuo, per certi aspetti, è come se vivesse due vite:

  • una vita come borghese cioè nell’ambito dell’egoismo e degli interessi particolari della società civile;
  • una vita come cittadino, cioè nella sfera superiore dello Stato e dell’interesse comune.

La pretesa dello Stato di porsi come organo che persegue l’interesse comune, cioè come universale che media tra gli interessi particolari dei singoli che compongono una società, è sostanzialmente illusoria. Infatti, anziché essere lo Stato a imbrigliare la società civile «innalzandola» al bene comune, è piuttosto la società civile che imbriglia lo Stato «abbassandolo» a semplice strumento degli interessi particolari delle classi più forti.

L’economia borghese

Nei confronti dell’economia borghese l’atteggiamento di Marx è duplice: da un lato essa costituisce l’espressione teorica della società capitalista, e dunque studiandola si possono comprendere tutti gli aspetti che caratterizzano il capitalismo (da quelli sociali, a quelli culturali o religiosi); dall’altro l’economia borghese produce un’immagine mistificata del mondo che rappresenta. Quest’ultimo aspetto è dovuto essenzialmente all’incapacità dell’economia borghese di pensare in modo dialettico. Essa infatti, anziché collocarsi in una prospettiva storico-processuale, tende ad eternizzare il sistema capitalistico, considerandolo non come un sistema economico tra i tanti della storia, ma come il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e distribuire ricchezza. La stessa proprietà privata è ad esempio concepita come un “fatto” da cui muovere e non come un risultato di un preciso processo storico-economico.
L’economia borghese ha inoltre un altro grave limite: tende ad ignorare la conflittualità che caratterizza il sistema capitalistico. Questa conflittualità si incarna nell’opposizione tra capitale e lavoro salariato, ossia tra borghesia e proletariato e si esprime mediante il concetto di alienazione.

L’alienazione

L’alienazione dell’operaio viene descritta da Marx in quattro aspetti fondamentali:
Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, in quanto egli produce un oggetto che alla fine non gli apparterà e che al contrario si costituisce, nelle vesti del capitale, come una potenza dominatrice nei suoi confronti;
Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività, in quanto tale attività prende la forma di un lavoro forzato e costrittivo in cui il lavoratore è strumento (e non soggetto) di fini che gli sono estranei (il profitto del capitalista);
Il lavoratore è alienato rispetto alla sua essenza, in quanto, sebbene la prerogativa dell’uomo sia il lavoro libero e creativo, il lavoratore nella società capitalista è costretto a un lavoro forzato, ripetitivo e unilaterale;

Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo, in quanto per il lavoratore «l’altro» è essenzialmente il capitalista, ossia un individuo che lo tratta come un mezzo e lo espropria del frutto della sua fatica, sviluppando così nel lavoratore un rapporto con il capitalista, e più in generale con l’umanità, di tipo conflittuale. La causa dell’alienazione è individuabile nella proprietà privata dei mezzi di produzione: il possessore di una fabbrica (il capitalista) può infatti utilizzare il lavoro di una certa categoria di individui (i salariati) per accrescere la propria ricchezza, secondo una dinamica che Marx descrive in termini di sfruttamento e logica del profitto.


Il materialismo storico

Marx afferma che l’ideologia è una rappresentazione falsa e deformata della realtà, espressione di specifici interessi di classe. L’intento del filosofo tedesco è svelare la verità storica mediante il raggiungimento di un punto di vista obiettivo sulla società, che permetta di descrivere gli individui non per come possono apparire nella rappresentazione propria o altrui, bensì per quello che realmente sono. A questo proposito Marx afferma che l’umanità è una specie evoluta composta da individui associati che lottano per la sopravvivenza. Di conseguenza la storia non è un evento spirituale ma un processo materiale, fondata sulla dialettica bisogno-soddisfacimento.

Struttura e sovrastruttura

Alla base della storia vi è il lavoro, che Marx intende come creatore di civiltà e di cultura e come ciò attraverso cui l’uomo si rende tale, emergendo dall’animalità primitiva e distinguendosi dagli altri esseri viventi. All’interno della storia così intesa bisogna distinguere due elementi di fondo: le forze di produzione e i rapporti di produzione.

Le forze di produzione sono tutti gli elementi necessari alla produzione, che possono essere individuati nei seguenti aspetti:
1) la forza lavoro, ossia gli uomini che producono;
2) i mezzi di produzione, ossia i mezzi che gli uomini utilizzano per produrre (terra, macchine e così via);
3) le conoscenze, ossia tutte le conoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono gli uomini per organizzare e migliorare la loro produzione.

I rapporti di produzione sono invece quei rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro. Non a caso i rapporti di produzione hanno la loro espressione giuridica nei rapporti di proprietà.

Le forze di produzione e i rapporti di produzione costituiscono nella loro globalità il modo di produzione di un certo periodo storico. L’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura di una società, ossia lo scheletro economico di una società intesa come organismo complessivo. La struttura rappresenta il piedistallo concreto da cui si elevano una serie di sovrastrutture giuridico-politico-culturali. In tale prospettiva i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose non sono realtà a sé stanti e indipendenti tra loro, ma espressione più o meno diretta dei rapporti economici che definiscono la struttura di una certa società, in un certo momento storico.

La struttura economica della società

La relazione tra struttura e sovrastruttura ha una fondamentale rilevanza all’interno dell’impianto teorico di Marx, poiché attraverso di essa, il pensatore tedesco può affermare che non sono le leggi, lo Stato, le forze politiche, le religioni, le filosofie etc. (ossia tutto ciò che in termini marxiani è considerato sovrastruttura) a determinare la struttura economica della società, ma, al contrario, è la struttura economica che determina le leggi, lo Stato, le forze politiche, le religioni, le filosofie etc. Marx definisce questa teoria come materialismo storico.


La legge della storia

Le forze produttive e i rapporti di produzione, oltre a rappresentare la chiave di lettura per capire come è strutturata una società, si configurano anche come il principale strumento per comprendere la sua dinamica. In altre parole forze produttive e rapporti di produzione si pongono come legge della storia.
Marx infatti ritiene che a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive corrisponda un determinato sviluppo dei rapporti di produzione e di proprietà. Questo rapporto tende a rimanere stabile fin quando i rapporti di produzione favoriscono lo sviluppo delle forze produttive. Il cambiamento invece interviene quando i rapporti di produzione diventano un ostacolo per lo sviluppo delle forze produttive. Ciò avviene poiché le forze produttive, essendo in connessione diretta con i miglioramenti della tecnica, si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione, i quali invece, esprimendo delle relazioni di proprietà, tendono a rimanere statici. Da ciò ne segue periodicamente uno stato di frizione o di contraddizione dialettica tra i due elementi, che possono sfociare in un’epoca di rivoluzione sociale.
Del resto le nuove forze produttive sono sempre incarnate da una classe in ascesa, mentre i “vecchi” rapporti di proprietà sono sempre incarnati da una classe dominante “al tramonto”. Di conseguenza risulta inevitabile lo scontro fra di esse, che si gioca non solo a livello sociale ma anche politico e culturale. Alla fine prevale quasi sempre la classe che risulta espressione delle nuove forze produttive che in tal mondo riesce ad imporre la propria maniera di produzione e distribuzione della ricchezza, nonché la sua specifica visione del mondo.

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