Max Weber pubblicò L’«oggettività» conoscitiva della scienza storico sociale sulla rivista tedesca Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik nel 1904.
Questo saggio si concentra essenzialmente sul significato delle scienze sociali e del tipo di metodologia che queste devono adottare per poter essere definite scienze.
Il primo punto che Weber affronta in questo saggio è il materialismo storico marxista: «La cosiddetta “concezione materialistica della storia” come “intuizione del mondo” o come denominatore comune di spiegazione causale della realtà storica dev’essere rifiutata nel modo più deciso» (M. Weber, Die «Objektivität» sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, 19094, trad. it. a cura di P. Rossi, L’«oggettività» conoscitiva della scienza storico sociale, in Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Edizioni di comunità, 2001, p. 167. N. B. da ora in avanti questo testo sarà indicato solo dalla lettera “W.” seguita dal numero di pagina).
Weber prende posizione contro un’interpretazione della realtà fondata sul primato dell’economia, sostenendo che la realtà è il frutto di processi in cui l’economia ha certamente un ruolo importante, ma non prioritario. Nell’affermazione dei processi sociali intervengono infatti, oltre all’economia, anche altre componenti, come la religione, la politica, l’arte e così via: «l’unilateralità e la irrealtà dell’interpretazione puramente economica del corso storico è soltanto un caso specifico di un principio generale che vale per la conoscenza scientifica della realtà culturale» (W. p. 170).
Dopo aver attaccato il materialismo storico Weber si concentra sulla critica del concetto di oggettività, affermando che non esiste qualcosa che possa essere considerato oggettivo, ossia valido per tutti. Secondo Weber, che riprende anche a questo proposito Nietzsche, ogni aspetto della realtà sociale è sempre filtrato dall’interpretazione soggettiva di chi la guarda: «Non c’è nessuna analisi scientifica assolutamente “oggettiva” della vita naturale (….). La scienza sociale, quale noi intendiamo svilupparla, è una scienza sociale di realtà. Noi vogliamo comprendere la realtà della vita che ci circonda, e in cui noi siamo collocati, nella sua specificità; noi vogliamo cioè comprendere da un lato la connessione e il significato culturale dei suoi fenomeni particolari nella loro configurazione presente, dall’altro i motivi del suo essere storicamente divenuto così-e-non altrimenti» (W. p. 170).
La centralità della realtà rappresenta dunque, secondo Weber, uno degli elementi distintivi delle scienze sociali: «Punto di partenza dell’interesse della scienza sociale è senza dubbio la configurazione reale, e quindi individuale, della vita sociale della cultura che ci circonda, considerata nella sua connessione che è sí universale ma non per questo meno individualmente configurata» (W. p. 172). Tale considerazione si fonda sul fatto che l’oggetto delle scienze sociali, ossia la realtà, è qualcosa che non può essere analizzata usando leggi universali: «nelle scienze sociali intervengono processi spirituali» che non possono essere compresi dalle «formule della conoscenza esatta della natura» (ibidem).
Quando Weber parla di realtà sociale l’associa al concetto di cultura, poiché intende come cultura la relazione che si stabilisce tra un certo fenomeno e il “valore” che un individuo o un soggetto metaindividuale (un ceto, una classe) gli conferiscono: «Il concetto di cultura è un concetto di valore. La realtà empirica è per noi “cultura” in quanto, e nella misura in cui, la poniamo in relazione con idee di valore» (W. p. 174). Per tale ragione un fenomeno storico-sociale deve essere considerato un «fenomeno fornito di significato nella sua specificità» (W. p. 176).
La conoscenza della realtà culturale è dunque per Weber una conoscenza fondata sul punto di vista particolare. La realtà è infatti un insieme infinito di elementi che producono a loro volta infinite considerazioni. Il “soggetto” invece, essendo finito, è costretto a scegliere tra questa infinità di possibilità, affermando così, inesorabilmente la sua soggettività: «la “cultura” è una sezione finita dell’infinità priva di senso dell’accadere del mondo, alla quale viene attribuito un senso e significato dal punto di vista dell’uomo» (W. p. 179).
6. Karl Marx
8. Seconda considerazione inattuale: introduzione
9. La seconda inattuale: i tre tipi di storia
10. La seconda inattuale: i cinque casi per cui l'eccesso di storia è dannoso per la vita
11. La seconda inattuale: i “due” finali
12. L'«oggettività» conoscitiva della scienza storico sociale – parte prima
13. L'«oggettività» conoscitiva della scienza storico sociale – parte seconda