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Giuseppe Di Costanzo » 11.La seconda inattuale: i “due” finali


I due rimedi contro l’eccesso di storia

Chiudendo il cerchio della sua trattazione, ritornando cioè all’inizio del suo discorso, Nietzsche individua due “farmaci” contro l’eccesso di Historie: l’antistorico (unhistorisch, letteralmente non-storico) e il sovrastorico, medicine e allo stesso tempo veleni. Essi infatti devono essere utilizzati con molta attenzione poiché un uso errato può creare più danni della patologia che dovrebbero curare. Il punto è estremamente importante, perché permette di chiarire ulteriormente come la posizione nietzscheana non sia di per sé anti-storica.

L’antistorico (non storico)

Il non-storico è «la forza e l’arte di poter dimenticare e di rinchiudersi in un orizzonte limitato» (N. p. 95), la capacità di sentire in modo non storico. Quanto più la nostra azione è creativa “dimentichiamo” tutto il nostro passato concentrandoci sull’attimo, ma in realtà tutto il nostro passato, le conoscenze e le esperienze acquisite, scatenano la loro energia nell’azione di quell’attimo.

Il sovrastorico

Il sovrastorico è un rimedio che permette al vivente di porsi, temporaneamente, al di sopra della storia (Geschichte), quando l’eccesso di Historie ha agito in modo negativo. Nietzsche definisce il sovrastorico «le potenze che distolgono lo sguardo dal divenire, volgendolo a ciò che dà all’esistenza il carattere dell’eterno e dell’immutabile» (N. p. 95). Va ribadito che questa, per Nietzsche, è una condizione eccezionale, perché la vita si realizza nell’incessante moto del divenire da un lato, e dall’altro nell’utilizzazione corretta della Historie per la stessa vita.

I “due” finali

In Sull’utilità e il danno della storia per la vita, possono essere individuati due finali: quello che può essere definito della “gioventù” e quello che può essere definito del “conosci te stesso”.

Il “finale” della gioventù

Nietzsche sostiene che la cattiva storia può essere combattuta solo facendo ricorso alla gioventù: «Indagando i pericoli della storia (…) noi stessi mettiamo in mostra le tracce di quei mali che, in seguito a un eccesso di storia, si sono abbattuti sugli uomini dell’epoca moderna, e proprio questa trattazione mostra, non voglio nasconderlo, nella smoderatezza della sua critica, nell’immaturità della sua maturità, nel frequente passaggio dall’ironia al cinismo, dall’orgoglio alla scepsi, il suo carattere moderno, il carattere della personalità debole. E tuttavia io confido nella forza ispiratrice che al posto di un genio tutelare guida il mio carro, confido che la gioventù mi abbia ben guidato, se ora mi costringe a una protesta contro l’educazione storica della gioventù da parte dell’uomo moderno, e se colui che protesta esige che l’uomo impari innanzitutto a vivere, e usi la storia solo al servizio della vita appresa» (N. p. 89). Nietzsche utilizza il termine “gioventù” non per indicare le generazioni più giovani, ma per descrivere quegli esseri viventi che possiedono ancora quella capacità creativa che gli permette di riconoscersi nelle proprie azioni e dunque affermarsi nella realtà. La “gioventù” assurge quindi ad elemento chiave per vivificare la storia e con essa l’umanità: «Datemi prima la vita, e allora io vi creerò da essa anche una cultura! (…) Chi darà loro questa vita? Nessun dio e nessun uomo: solo la loro stessa gioventù. Liberate dalle catene quest’ultima e avrete liberato con essa la vita» (N. p. 94).

Il finale del “conosci te stesso”

Nietzsche chiude il libro con una forte comparazione tra la cultura della Grecia classica e quella della Germania a lui contemporanea alla quale aveva rivolto pesanti critiche nelle pagine precedenti. La Grecia visse lunghe età di crisi simili alla contemporanea, secondo il visionario Nietzsche, crisi della Germania e dell’Europa: «Ci furono secoli in cui i Greci si trovarono in un pericolo simile a quello in cui ci troviamo noi, di perire cioè a causa dell’inondazione delle cose straniere e passate (…). Mai essi vissero in superba intangibilità: al contrario, la loro “cultura” fu a lungo un caos di forme e di idee straniere, semitiche, babilonesi, lidiche ed egizie, e la loro religione una vera lotta tra gli dèi dell’intero Oriente: pressappoco come oggi la “cultura tedesca” e la religione sono un caos – che nasconde una lotta – di tutti gli altri paesi, di tutti i tempi passati. E tuttavia la cultura ellenistica non divenne un aggregato, grazie a quel responso di Apollo» (N. p. 98).


Il finale del “conosci te stesso” (segue)

Quello al quale si riferisce Nietzsche è il celebre responso delfico del “conosci te stesso”, l’altro nome dell’ “organizza il caos che è dentro di te”: «i Greci impararono a poco a poco ad organizzare il caos concentrandosi, secondo l’insegnamento delfico, su se stessi, vale a dire sui loro bisogni veri, e lasciando estinguere i bisogni apparenti. Così ripresero possesso di sé; non rimasero a lungo gli eredi sovraccarichi e gli epigoni dell’intero Oriente; dopo faticose lotte con se stessi, divennero, con l’interpretazione pratica di quel responso, coloro che ampliarono e accrebbero il tesoro ereditato, gli anticipatori e i modelli di tutti i popoli civili successivi (N. p. 98-99)».  In ciò, nella superiorità morale, sta la “superiorità” del mondo greco su quello romano. Com’è evidente, questa conclusione è importante in chiave epica del supposto immoralista Nietzsche: i Greci vinsero anche se furono materialmente sconfitti sul piano militare, perché superiori sul piano morale. La loro cultura avrebbe influenzato lo sviluppo di tutte le civiltà europee.

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