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Luciano Rosati » 4.ANALISI DELLA DEFORMAZIONE


Cinematica di un mezzo continuo (1/2)

Vogliamo caratterizzare gli effetti prodotti in un corpo dalla variazione di posizione che esso subisce per effetto di azioni di carattere meccanico e termico. È opportuno precisare subito che tali effetti non sono necessariamente quelli associati ad un moto del corpo, inteso come variazione continua nel tempo della sua posizione, ma semplicemente quelli conseguenti ad una variazione arbitraria di posizione della quale, per il momento, non ci interessa caratterizzare le cause o la variazione temporale. Per tale motivo tale variazione di posizione, o configurazione sarà denotata sinteticamente con \emph{deformazione} per enfatizzare che essa è necessariamente distinta, per gli scopi che si prefigge, da una variazione di configurazione \emph{rigida} e cioè quella per la quale la posizione reciproca tra le parti del corpo non si modifica. Gli effetti indotti nel corpo verranno caratterizzati formulando espressioni analitiche riferite ad un modello dei corpi reali denotato con l’espressione \emph{continuo}.Tale definizione scaturisce dal fatto che in ogni punto del modello è possibile individuare una porzione macroscopica di materia alla quale assegnare proprietà intensive quali posizione, velocità, accelerazione, densità, temperatura, entalpia, entropia, ecc. 

 

 

Cinematica di un mezzo continuo (2/2)

Tale ipotesi scaturisce dalle modalità con le quali abbiamo cognizione della materia che ci circonda e delle sue proprietà macroscopiche nonché del modo in cui si misurano le quantità fisiche di interesse per le applicazioni (velocità, pressione, temperatura ecc.).

Infatti, tali misure sono eseguite con strumenti che forniscono valori medi misurati su domini elementari di materia. Per quanto piccolo possa essere lo strumento utilizzato per misurare una quantità locale, o come si suol dire il suo valore intensivo, la sonda dello strumento sarà comunque estesa ad una regione tale da misurare gli effetti di un gran numero di atomi o molecole.

Dunque, un continuo è un’entità astratta costituita da un numero infinito di particelle, o punti materiali, ovvero di domini geometrici che, per quanto piccoli possano essere scelti, conterranno sempre porzioni di materia. Tale corpo, o continuo, potrà essere eventualmente caratterizzato da un numero finito di superfici di discontinuità, ad esempio superfici di frattura, ma le porzioni di materia che non intersecano tali superfici manterranno inalterate le loro proprietà di continuità durante la deformazione cui sono soggette per effetto delle azioni agenti (forze, temperatura, ecc.).

 

Alcuni concetti introduttivi (1/5)

Il modo più naturale per studiare la deformazione di un mezzo continuo è quello di caratterizzare analiticamente lo spostamento relativo tra punti materiali adiacenti. Solo in tal modo, infatti, è possibile distinguere una deformazione siffatta da quella, cosiddetta rigida, in cui la distanza reciproca tra due arbitrarie particelle materiali rimane inalterata nel tempo.

Prima di addentrarsi nella formulazione analitica rigorosa di tale problema, è opportuno fare riferimento a qualche semplice esempio monodimensionale per fornire una anticipazione quasi spontanea delle formule che verranno sviluppate nel seguito.Si faccia riferimento ad un elemento lineare di materiale che si suppone allineato con un asse del sistema di riferimento. Tale elemento varrà denotato nel seguito con la locuzione di \emph{fibra materiale}.Supponiamo inoltre che, in seguito alla deformazione, tale fibra rimanga parallela all’asse del sistema di riferimento, ad esempio $X$. Indicando con $dX$ la lunghezza di tale fibra, è naturale pensare che, in seguito alla deformazione, la fibra materiale trasli e subisca una variazione di lunghezza (elongazione), cfr. figura 2

In tale figura, per maggiore chiarezza, la posizione iniziale della fibra e quella finale sono state reciprocamente traslate in direzione ortogonale ad $X$ anche se, nella realtà, esse devono intendersi sovrapposte; infatti si è supposto che la deformazione avvenga lungo l’asse $X$.

 

 

Alcuni concetti introduttivi (2/5)

Indichiamo con $u(X)$ lo spostamento del punto iniziale della fibra; la dipendenza della funzione $u$ dal tempo è stata omessa in quanto, come anticipato, non siamo interessati in questa sede allo studio del moto di un corpo ma solo agli effetti indotti da una arbitraria variazione di configurazione.  Ipotizzando la continuità della funzione spostamento $u$ lungo la fibra, il punto finale della fibra si sarà, spostato di $u+\frac{\partial u}{\partial X}dX$.

Conseguentemente, la lunghezza finale della fibra sarà $dx$ in cui la lettera $x$ è stata utilizzata per enfatizzare il fatto che $dx$ misura la lunghezza finale della fibra. Tale lunghezza è quella che la fibra presenta nella sua configurazione finale, ovvero nella configurazione che la fibra assume in seguito alla deformazione che ne ha prodotto la variazione di lunghezza. Dalla figura 2 si evince immediatamente che

dx = dX + \frac{\partial u}{\partial X} dX                                                                                                     (3.1)

Pertanto, possiamo caratterizzare la variazione di lunghezza subita dalla fibra in seguito alla deformazione introducendo il concetto di elongazione (o dilatazione), ovvero di variazione di lunghezza specifica

\varepsilon_X = \frac{dx - dX}{dX} = \frac{\partial u}{\partial X}                                                                                                  (3.2)

È possibile definire positive le elongazioni corrispondenti ad un aumento della lunghezza iniziale della fibra. Si noti che la definizione precedente è indipendente dalla lunghezza iniziale della fibra sicché l’introduzione di una misura di deformazione definita solo dal numeratore $dx-dX$ sarebbe stata poco significativa dal punto di vista meccanico.

Alcuni concetti introduttivi (3/5)

Procediamo ora ad un’ulteriore generalizzazione dei concetti precedenti rimuovendo l’ipotesi che la deformazione della fibra materiale avvenga solo lungo l’asse $X$. Infatti, è lecito attendersi che la fibra subisca anche una rotazione intorno all’asse $Z$ ortogonale al piano e che si disponga come in figura 3.

In tal caso l’elongazione della fibra avrà una espressione più complicata. Infatti, ricordando (3.1)

 

     ds &=& \sqrt{(dx)^2 + (dy)^2} = \sqrt{\left(dX + \frac{\partial u}{\partial X} dX\right)^2 + \left(\frac{\partial v}{\partial X} dX \right)^2}=                               (3.3)

          $$  &=& dX \sqrt{1+2\frac{\partial u}{\partial X}+\left(\frac{\partial u}{\partial X}\right)^2+\left(\frac{\partial v}{\partial X} \right)^2}$$

 

Avendo indicato con $v$ la funzione spostamento lungo l’asse $Y$.  In generale al termine non lineare $(\partial v/\partial X)^2$, andrebbe aggiunto l’ulteriore termine $(\partial w/\partial X)^2$ qualora avessimo considerato anche la componente di spostamento $w$ fuori dal piano.

 

 

 

Alcuni concetti introduttivi (4/5)

Sviluppando la radice in serie di potenze risulta allora

ds = dX \left[ 1+ \frac{\partial u}{\partial X} + \frac{1}{2} \left( \frac{\partial u}{\partial X} \right)^2 + \frac{1}{2} \left( \frac{\partial v}{\partial X} \right)^2 + \cdots \right]                                                                    (3.4)

in cui sono stati trascurati i termini di ordine successivo al primo in quanto le applicazioni reali sono generalmente caratterizzate da valori di gradienti di spostamento sensibilmente inferiori all’unità, tipicamente dell’ordine di $10^{-2}$.  Tale ipotesi viene denominata di gradienti di spostamento piccoli o infinitesimi. Altra denominazione di uso corrente, anche se suscettibile di interpretazioni errate, è quella di deformazioni infinitesime in cui la locuzione \emph{deformazione} non va attribuita alla variazione di configurazione che produce la deformazione ma al tensore di deformazione di cui si parlerà nel seguito.  In altri termini, è possibile utilizzare una teoria in cui i gradienti di spostamenti sono sensibilmente inferiori all’unità senza che tale ipotesi sia necessariamente soddisfatta dal valore che le funzioni spostamento assumono nei punti del corpo. In tal caso si parlerà di grandi spostamenti con gradienti (di spostamento) infinitesimi.

Alcuni concetti introduttivi (5/5)

In definitiva nella (3.4) è lecito trascurare la quantità $(\partial u / \partial X)^2$ rispetto a $\partial u / \partial X$ ma, per l’assenza della quantità $\partial v / \partial X$, nulla può dirsi sull’entità della grandezza $(\partial v / \partial X)^2$. 

Conseguentemente, nell’ipotesi in cui 

\frac{\partial u}{\partial X} = \mathcal{O}(10^{-2})                                                                                                   (3.5)

ovvero

\frac{\partial u}{\partial X} \ll 1                                                                                                                 

la (3.2) si specializza come segue

\varepsilon_X = \frac{ds-dX}{dX} \cong \frac{\partial u}{\partial X} + \frac{1}{2} \left( \frac{\partial v}{\partial X}\right)^2                                                                                    (3.6)

espressione che conduce a due classificazioni distinte.

Dilatazioni infinitesime e rotazioni moderate (1/2)

In tale ipotesi si suppongono infinitesime le dilatazioni nel senso che la deformazione che interessa il corpo oggetto di studio è caratterizzata alla proprietà

$$\varepsilon_X \ll 1$$                                                                                                                 

sicché, ciascun addendo della (3.6) è \emph{piccolo} rispetto all’unità in base alla stima (3.5). Quindi tutti gli addendi hanno lo stesso ordine di grandezza, ovvero

\left( \frac{\partial v}{\partial X}\right)^2 = \mathcal{O}\left( \frac{\partial u}{\partial X} \right)                                                                                            (3.7)

e devono essere considerati nella espressione di $\varepsilon_X$. Pertanto risulta, in base alla (3.5)

\left( \frac{\partial v}{\partial X} \right)^2 \simeq \mathcal{O} (10^{-2}) \Leftrightarrow \frac{\partial v}{\partial X} \simeq \mathcal{O} (10^{-1})                                                                         (3.8)

sicchè si parla di \emph{rotazioni moderate}. Infatti il termine $\frac{\partial v}{\partial X}$, che rappresenta l’angolo di rotazione della fibra come mostreremo tra breve, soddisfa una stima meno stringente di quella, rappresentata dalla (3.5), che abbiamo definito \emph{infinitesima}.

Dilatazioni infinitesime e rotazioni moderate (2/2)

Per caratterizzare la quantità $\frac{\partial v}{\partial X}$ come angolo di rotazione della fibra materiale nel piano $XY$ osserviamo che, cfr. figura 3,

\textnormal{sen} \varphi = \frac{dy}{ds} = \frac{\frac{\partial v}{\partial X} dX}{dX \sqrt{1+2 \frac{\partial u}{\partial X} + \left( \frac{\partial v}{\partial X}\right)^2}}                                                                                       

in quanto nella (3.4), si è trascurato $(\partial u/\partial X)^2$.  Ricordando il risultato generale

(1+k)^{\alpha} \cong 1+\alpha k \qquad \alpha \in \mathbf{R} \qquad k \to 0                                                                           (3.10)

ricaviamo dalla (3.9)

\textnormal{sen} \varphi = \frac{\partial v}{\partial X}                                                                                                     (3.11)

Quindi, in virtù della stima (3.8), risulta 

\textnormal{sen} \varphi \simeq \frac{\partial v}{\partial X} \simeq \varphi                                                                                                 (3.12)

È interessante notare che, in base alla (3.6), lo spostamento diretto lungo l’asse della fibra e quello ad esso trasversale sono accoppiati tra loro. 

Dilatazioni e rotazioni infinitesime (1/2)

Con tale locuzione si caratterizza una deformazione nella quale risultano infinitesime non solo le dilatazioni

$$\varepsilon_X \ll 1$$                                                                                                              

ma anche le rotazioni. In tal caso, a differenza della (3.7), risulta

$$\frac{\partial v}{\partial X} = \mathcal{O} \left( \frac{\partial u}{\partial X} \right)$$                                                                                                    

e la dilatazione (3.6) assume l’espressione 

\varepsilon_X = \frac{\partial u}{\partial X}                                                                                                  (3.13)

comunemente riportata nei testi di resistenza dei materiali. Si noti che, in tale ipotesi, i moti longitudinale e trasversale della fibra non interagiscono nel definire la dilatazione longitudinale $\varepsilon_X$.

Dilatazioni e rotazioni infinitesime (2/2)

La teoria in cui i gradienti di spostamento sono infinitesimi viene anche detta teoria linearizzata della deformazione ed è quella comunemente impiegata in ambito tecnico. Tale locuzione sottintende l’ipotesi di elongazioni e rotazioni infinitesime. 
Quindi non rientra nell’ambito di una teoria linearizzata una deformazione che assuma dilatazioni lineari e rotazioni moderate. Quest’ultima ipotesi viene spesso utilizzata per modellare corpi in cui una dimensione è prevalente sulle altre; tipicamente questo avviene per le piastre ed i gusci, in cui lo spessore è sensibilmente inferiore alle altre due dimensioni, nonché nello studio delle travi, e cioè di corpi nei quali due dimensioni sono di un ordine di grandezza maggiore della terza.

Infatti, il modello di corpo continuo noto come \emph{trave} è generato dalla traslazione lungo una curva di una sezione bidimensionale le cui dimensioni sono quasi sempre sensibilmente minori della lunghezza della curva. Per tali modelli, tipicamente, le rotazioni delle fibre nel piano della sezione sono infinitesime mentre possono essere moderate quelle fuori dal piano.

Scorrimenti angolari infinitesimi (1/3)

Le considerazioni precedenti inducono naturalmente a definire una ulteriore misura di deformazione, ossia una quantità che caratterizzi localmente, e cioè in corrispondenza di un generico punto del corpo, la variazione di posizione reciproca tra fibre materiali. Consideriamo infatti due fibre disposte parallelamente agli assi $X$ e $Y$ e supponiamo che ciascuna di esse abbia, indipendentemente, un moto di dilatazione e rotazione del tipo di quello presentato in figura 2 in cui si sono stati immaginati nulli gli spostamenti fuori dal piano. In tal caso, possiamo caratterizzare la variazione di posizione reciproca tra le due fibre valutando la corrispondente variazione di angolo, inizialmente retto. Questa misura viene detta scorrimento angolare e, ricordando la (3.12), la sua espressione è evidentemente fornita da

\gamma_{XY} = \frac{\partial v}{\partial X} + \frac{\partial u}{\partial Y}                                                                                               (1.14)

in cui il primo addendo rappresenta la rotazione intorno all’asse $Z$  subita dalla fibra parallela all’asse $X$ e la seconda derivata quella della fibra parallela all’asse $Y$. Assumendo entrambe le derivate positive l’angolo retto si riduce e, in tal caso, lo scorrimento angolare è convenzionalmente assunto positivo.

Scorrimenti angolari infinitesimi (2/3)

Per comprendere il ruolo simmetrico giocato nella (1.14) dalle due derivate, consideriamo la seguente decomposizione

\begin{array}{l} \displaystyle \frac{\partial v}{\partial X} = \frac{1}{2} \left( \frac{\partial v}{\partial X} + \frac{\partial u}{ \partial Y} \right) +\frac{1}{2} \left( \frac{\partial v}{\partial X} - \frac{\partial u}{ \partial Y} \right)\\ \\ \displaystyle \frac{\partial u}{\partial Y} = \frac{1}{2} \left( \frac{\partial u}{\partial Y} + \frac{\partial v}{ \partial X} \right) +\frac{1}{2} \left( \frac{\partial u}{\partial Y} - \frac{\partial v}{ \partial Y} \right) \end{array}                                                                                 (3.15)

sicché denotando con

\omega_Z = \frac{1}{2} \left( \frac{\partial v}{\partial X} - \frac{\partial u}{\partial Y} \right) = \frac{1}{2} \left( \varphi_{XZ} - \varphi_{YZ} \right)                                                                       (3.16)

si può scrivere 

\begin{array}{l} \displaystyle \frac{\partial v}{\partial X} = \frac{1}{2} \gamma_{XY} + \omega_Z\\ \\ \displaystyle \frac{\partial u}{\partial Y} = \frac{1}{2} \gamma_{XY} - \omega_Z \end{array}                                                                                           (3.17)

Supponendo entrambe positive le due derivate

\frac{\partial v}{\partial X} = \varphi_{XZ} \qquad \frac{\partial u}{\partial Y} = \varphi_{YZ}                                                                                               

Scorrimenti angolari infinitesimi (3/3)

la (3.16) definisce la rotazione media delle due fibre disposte lungo l’asse $X$ e $Y$. Infatti $\omega_Z$ si ottiene come media della rotazione $\varphi_{XZ}$, intorno all’asse $Z$, della fibra disposta lungo l’asse  $X$ e della rotazione $\varphi_{YZ}$ della fibra disposta lungo l’asse $Y$. Assumendo positive le rotazioni antiorarie risulta $\varphi_{XZ}>0$ e $\varphi_{YZ}<0$ sicchè entrambe le fibre, nelle ipotesi fatte, producono un aumento di $\omega_Z$.
In virtù del significato attribuito a $\omega_Z$ il vettore di modulo $\omega_Z$ e diretto lungo $Z$ viene anche detto rotore. Tale risultato, così come quello espresso dalle (3.17), è in realtà generalizzabile a fibre comunque disposte nello spazio e verrà sviluppato nei paragrafi successivi

Teoria esatta della deformazione (1/4)

Per generalizzare i concetti introdotti nei paragrafi precedenti è necessario fare riferimento a due punti arbitrari di un mezzo continuo $\mathcal{B}$ appartenente ad uno spazio Euclideo tridimensionale $\mathcal{E}$. Detto $\mathcal{U}$ lo spazio delle traslazioni associato ad $\mathcal{E}$ indicheremo con

$$\mathbf{X}(P) = P-O$$ 

il vettore posizione di un arbitrario punto $P$ rispetto all’origine $O$ del sistema di riferimento scelto in $\mathcal{E}$. Per semplicità faremo riferimento ad un sistema di riferimento cartesiano e indicheremo con $X_1$,$X_2$,$X_3$ le coordinate di $P$, ovvero le componenti di $\mathbf{X}$. Supporremo altresì che $\mathcal{U}$ sia dotato del prodotto interno ordinario con orientazione destrorsa, cfr. richiami di calcolo tensoriale.  Come anticipato, lo studio della deformazione di un mezzo continuo è naturalmente associato, a differenza delle deformazioni rigide, al concetto di variazione di posizione reciproca tra punti o fibre adiacenti. Per tale motivo si consideri un ulteriore punto $Q$ appartenente ad un intorno del punto $P$, quindi definito dalla relazione.

\textnormal{\textbf{X}} + \textnormal{\textbf{dX}} = Q - O

Il segmento $Q-P=\textnormal{\textbf{dX}}$ viene anche detto \emph{fibra materiale} dell’intorno del punto $P$. Consideriamo, altresì le posizioni $p$ e $q$ assunte dai punti suddetti in seguito all’applicazione di un’azione esterna agente su $\mathcal{B}$, cfr. fig. 3 in cui si è indicato con $\Omega$ il dominio occupato da $\mathcal{B}$ e, per semplicità, è stato considerato un unico sistema di riferimento.

Teoria esatta della deformazione (2/4)

In figura 3 è stata altresì indicata la funzione vettoriale \Phi$\BPhi$, di variabile vettoriale, che associa le posizioni iniziali dei punti del corpo a quelle finali

$$\mathbf{x} =  \Phi (\mathbf{X}) \Leftrightarrow p =  \Phi (P)$$

La funzione $\Phi$ viene detta funzione di piazzamento o, più semplicemente, deformazione di $\mathcal{B}$. Essa viene assunta continua, invertibile e tale da preservare localmente l’orientazione dello spazio, ovvero

$$\det \Phi (\mathbf{X}) > 0$$

Il dominio $\Omega$ è detto configurazione iniziale di $\mathcal{B}$ e $\Phi(\Omega)$ la configurazione finale. In generale \Phi è funzione del tempo ma, come ripetutamente affermato, siamo per ora interessati a caratterizzare unicamente la variazione generica di configurazione del corpo, indipendentemente dal fatto che essa può variare nel tempo.
La variazione di configurazione può essere descritta sia attraverso la funzione \Phi che mediante la funzione

\mathbf{u} (\mathbf{X}) = \Phi (\mathbf{X}) - \mathbf{X} = \mathbf{x} - \mathbf{X}                                                                                   (3.18)

che descrive lo spostamento subito dalla generica particella $\mathbf{X}$.

Teoria esatta della deformazione (3/4)

Evidentemente la funzione $\mathbf{u}$ è quella che viene istintivamente associata ad una variazione di configurazione. Tuttavia, nel derivare le misure di deformazione esatte è più conveniente operare in funzione del cosiddetto gradiente di deformazione $\mathbf{F}$ definito da

\mathbf{F} (\mathbf{X}) =\textnormal{Grad } \Phi (\mathbf{X})                                                                                           (3.19)

poiché si semplificano notevolmente i passaggi algebrici.

Risultando, in base alla (3.18),

\mathbf{F} (\mathbf{X}) = \mathbf{I} + \textnormal{Grad } \mathbf{u} (\mathbf{X}) = \mathbf{I} + \nabla \mathbf{u} (\mathbf{X}) = \mathbf{I} + \mathbf{H} (\mathbf{X})                                                                (3.20)

con $\mathbf{I}$ tensore identico, si comprende che i risultati, derivati nel seguito in funzione di $\mathbf{F}$, possono essere espressi equivalentemente in funzione del gradiente di spostamento $\mathbf{H}$. Si mostrerà tra breve che le misure di deformazione esatte, che generalizzano al caso tridimensionale quelle di natura monodimensionale introdotte nei paragrafi precedenti, sono funzioni non lineari di $\mathbf{F}$ e quindi, in virtù della (3.20), di $\mathbf{H}$. Pertanto, analogamente a quanto mostrato nel caso monodimensionale, è naturale chiedersi in quale ipotesi tali misure di deformazione possono essere linearizzate in $\mathbf{H}$ e quale forma particolare esse assumano.

Teoria esatta della deformazione (4/4)

È ragionevole attendersi che tale linearizzazione sia lecita allorquando il gradiente del campo di spostamento risulti \emph{sufficientemente} piccolo, ossia quando la norma di $\mathbf{H}$ tende a zero. In formule

|\textnormal{Grad } \mathbf{u} (\mathbf{X})| = |\mathbf{H}(\mathbf{X})| \to 0                                                                                       (3.21)

avendo posto, per un generico tensore $\mathbf{A}$,

  |\mathbf{A}|=\sqrt{\mathbf{A} \cdot \mathbf{A}}= \sqrt{A_{ij} A_{ij}}                                                                                                  

in cui $A_{ij}$ sono le componenti di \mathbf{A} in una base cartesiana e si è adottata la convenzione degli indici ripetuti.
Si noti che, ipotizzando valida la (3.21), si ricava dalla (3.20):

\mathbf{F} (\mathbf{X}) \to \mathbf{I}                                                                                                                

ossia il gradiente della deformazione è \emph{poco} diverso dall’identità. Ciò lascia intuire che la corrispondente deformazione sia poco discosta da una deformazione di tipo rigido ossia da una funzione di piazzamento che modifichi \emph{poco} la posizione relativa tra le particelle e delle fibre.
Procediamo ora, nell’ordine, ad introdurre le misure di deformazione lineari, angolari e di volume.

Elongazione di una fibra materiale (1/2)

Si consideri una fibra con origine in $P$ e diretta lungo $PQ=\mathbf{d}\mathbf{X}$. Indichiamo con $p$ e $q$ le posizioni assunte, rispettivamente da $P$ e $Q$, in seguito alla deformazione $\Phi$.

Ne consegue che la fibra $\mathbf{d}\mathbf{X}$ si sarà trasformata nella fibra

\mathbf{d}\mathbf{x} = q - p = \Phi (\mathbf{X}+\mathbf{d}\mathbf{X}) - \Phi (\mathbf{X})

D’altra parte poiché $\mathbf{d}\mathbf{X} \in I(P)$, essendo $I(P)$ l’intorno del punto $P$, possiamo scrivere, a meno di infinitesimi di ordine superiore in $|d\mathbf{X}|$ che

\Phi (\mathbf{X}+\mathbf{d}\mathbf{X}) - \Phi (\mathbf{X}) = \textnormal{Grad } \Phi (\mathbf{X}) \mathbf{d}\mathbf{X} + o \, (|\mathbf{d}\mathbf{X}|) \qquad |\mathbf{d}\mathbf{X}| \to 0                                                      (3.22)

avendo indicato con $o (\bullet)$ il simbolo di Landau. La relazione precedente si scrive altresì nella forma 

|\Phi (\mathbf{X}+\mathbf{d}\mathbf{X}) - \Phi (\mathbf{X}) - \textnormal{Grad } \Phi (\mathbf{X}) \mathbf{d}\mathbf{X} |= o (|\mathbf{d}\mathbf{X}|) \qquad |\mathbf{d}\mathbf{X}| \to 0                                                      (3.23)

per rappresentare sinteticamente la proprietà per la quale il primo membro tende a zero più velocemente di $|\mathbf{d}\mathbf{X}|$ ovvero

\lim_{|\mathbf{d}\mathbf{X}|\to 0} \frac{|\Phi (\mathbf{X}+d\mathbf{X}) - \Phi(\mathbf{X}) - \textnormal{Grad } \Phi (\mathbf{X}) \mathbf{d}\mathbf{X}|}{|\mathbf{d}\mathbf{X}|} = 0

Elongazione di una fibra materiale (2/3)

Dunque, in base alla (3.22), possiamo scrivere

\mathbf{d}\mathbf{x} = \mathbf{F} \mathbf{d}\mathbf{X}

avendo omesso, per semplicità di notazione, la dipendenza di $\mathbf{F}$ da $\mathbf{X}$. Per caratterizzare la variazione di lunghezza specifica della fibra in $P$, introduciamo l’elongazione

$$\varepsilon(\mathbf{X},\mathbf{d}\mathbf{X}) = \frac{|\mathbf{d}\mathbf{x}|-|\mathbf{d}\mathbf{X}|}{|\mathbf{d}\mathbf{X}|}$$

ossia la variazione specifica di lunghezza della fibra. In base alla (3.24) si ha

\varepsilon (\mathbf{X},\mathbf{d}\mathbf{X}) = \frac{\sqrt{\mathbf{F} \mathbf{d}\mathbf{X} \cdot \mathbf{F} \mathbf{d}\mathbf{X}}}{|\mathbf{d}\mathbf{X}|} -1 = \sqrt{\frac{\mathbf{F}^\mathbf{T} \mathbf{F} \mathbf{d}\mathbf{X} \cdot \mathbf{d}\mathbf{X}}{|\mathbf{d}\mathbf{X}|^2}} -1                                                               (3.25)

Introducendo il versore diretto lungo la fibra 

$$\mathbf{e} = \frac{\mathbf{d}\mathbf{X}}{|\mathbf{d}\mathbf{X}|}$$

la (3.25) si scrive

\varepsilon (\mathbf{X},\mathbf{e}) = \sqrt{\mathbf{F}^\mathbf{T} \mathbf{F} \mathbf{e} \cdot \mathbf{e}} - 1                                                                                          (3.26)

Elongazione di una fibra materiale (3/3)

In genere, quando non vi siano possibilità di equivoci, la dilatazione lineare si indica soltanto con $\varepsilon$ dando per scontato che essa si riferisce ad un punto arbitrario del continuo e ad una fibra individuata dal versore $\mathbf{e}$. Essendo $\varepsilon$ funzione pari di $\mathbf{e}$ la misura di deformazione dipende sola dalla direzione $\mathbf{e}$.

Come anticipato, l’elongazione $\varepsilon$ della fibra materiale individuata dalla direzione $\mathfb{e}$ è una funzione non lineare del gradiente di spostamento. Infatti, sostituendo la (3.20) nella (3.26) si ha

\varepsilon = \sqrt{[\mathbf{I}+(\nabla \mathbf{u})^T] [\mathbf{I}+\nabla \mathbf{u}] \mathbf{e} \cdot \mathbf{e}} - 1 =                                                                                                         

  = \sqrt{1+ [\nabla \mathbf{u} + (\nabla \mathbf{u})^T + (\nabla \mathbf{u})^T \nabla \mathbf{u}] \mathbf{e} \cdot \mathbf{e}} -1                                                                               (3.27)

Si noti che la relazione precedente, come la (3.25), è stata ricavata senza fare alcuna ipotesi sulla entità degli spostamenti $\mathbf{u}$ e dei relativi gradienti. Quindi, tanto la (3.25) che la (3.26) rappresentano la misura di deformazione esatta relativa alla elongazione di una fibra materiale diretta lungo $\mathbf{e}$. 

Scorrimento angolare tra fibre materiali (1/2)

Si considerino ora due fibre materiali $d\mathbf{X}_a$ e $d\mathbf{X}_b$. La prima collega i punti $P$ e $Q$ mentre la seconda collega i punti $P$ e $R$ della configurazione iniziale del corpo con $Q$ e $R$ entrambi appartenenti all’intorno di $P$. Per semplificare i calcoli seguenti supponiamo che le due fibre siano ortogonali tra loro ovvero

$$d \mathbf{X}_a \cdot d \mathbf{X}_b = 0$$

In generale le loro trasformate, denotate con 

$$d\mathbf{x}_a = p-q \qquad d\mathbf{x}_b = r -p  $$

non saranno ortogonali tra loro. Ha quindi senso considerare il prodotto scalare tra $d\mathbf{x}_a$ e $d\mathbf{x}_b$ e introdurre la variazione $\gamma_{ab}$ dell’angolo tra le fibre, inizialmente retto, come misura degli effetti indotti dalla deformazione sulle fibre considerate.  Più in generale lo scorrimento sarà definito come variazione del minore degli angoli fra le due fibre, ossia dell’angolo fra le fibre appartenente all’intervallo $[0,\pi]$. Convenzionalmente $\gamma_{ab}$ è assunto positivo se l’angolo iniziale tra le due fibre diminuisce.

Scorrimento angolare tra fibre materiali (2/2)

Si consideri allora

$$d\mathbf{x}_a \cdot d\mathbf{x}_b = |d\mathbf{x}_a|\,|d\mathbf{x}_b| \cos{\left( \frac{\pi}{2} - \gamma_{ab} \right)} = |d\mathbf{x}_a| |d\mathbf{x}_b| \sen{\gamma_{ab}}$$

da cui consegue

$$\textnormal{sen}{\gamma_{ab}} = \frac{d\mathbf{x}_a \cdot d\mathbf{x}_b}{|d\mathbf{x}_a| \cdot |d\mathbf{x}_b|} = \frac{\mathbf{F} d\mathbf{X}_a \cdot \mathbf{F} d\mathbf{X}_b}{|\mathbf{F} d\mathbf{X}_a|\,|\mathbf{F} d\mathbf{X}_b|}$$

Dividendo numeratore e denominatore della espressione a secondo membro per $|d\mathbf{X}_a|$ $|d\mathbf{X}_b|$ si ottiene altresì

\textnormal{sen}{\gamma_{ab}} = \frac{\mathbf{F} \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{F} \mathbf{e}_b}{|\mathbf{F} \mathbf{e}_a|\,|\mathbf{F} \mathbf{e}_b|}                                                                                                    (3.28)

a testimonianza del fatto che lo scorrimento dipende unicamente dalle direzioni delle fibre identificate dai versori $\mathbf{e}_a$ ed $\mathbf{e}_b$. In funzione esplicita dei gradienti di spostamento la (3.28) si scrive

\textnormal{sen}{\gamma_{ab}} = \frac{(\mathbf{I}+\nabla \mathbf{u}) \mathbf{e}_a \cdot (\mathbf{I}+\nabla \mathbf{u}) \mathbf{e}_b}{|(\mathbf{I}+\nabla \mathbf{u})\mathbf{e}_a|\,|(\mathbf{I}+\nabla \mathbf{u}) \mathbf{e}_b|}                                                                                    (3.29)

Non avendo introdotto alcuna ipotesi sulla entità degli spostamenti né, tantomeno, sui relativi gradienti, le formule (3.28) e (3.29) rappresentano misure esatte di deformazione angolare.Analogamente alle (3.26}) e (3.27), esse sono funzioni non lineari dei gradienti di spostamento.

Deformazione volumetrica (1/1)

Si considerino ora tre fibre non complanari in $P$; siano esse $d\mathbf{X}_a$, $d\mathbf{X}_b$ e $d\mathbf{X}_c$. Le corrispondenti fibre deformate saranno denotate, rispettivamente, con $d\mathbf{x}_a$, $d\mathbf{x}_b$ e $d\mathbf{x}_c$. Per definizione di determinante di una trasformazione risulta

(d\mathbf{x}_a \times d\mathbf{x}_b) \cdot d\mathbf{x}_c &=& (\mathbf{F} d\mathbf{X}_a \times \mathbf{F} d\mathbf{X}_b) \cdot \mathbf{F} d\mathbf{X}_c = (\det{\mathbf{F}}) (d\mathbf{X}_a \times d\mathbf{X}_b) \cdot (d\mathbf{X}_c)                                     (3.30)

in cui

$$dV = (d\mathbf{X}_a \times d\mathbf{X}_b) \cdot d\mathbf{X}_c$$

rappresenta il volume del parallelepipedo in $P$ avente gli spigoli definiti da $d\mathbf{X}_a$, $d\mathbf{X}_b$ e $d\mathbf{X}_c$. Analogamente $(d\mathbf{x}_a \times d\mathbf{x}_b)\cdot d\mathbf{x}_c$ rappresenterà il volume $dv$ in $p$. Ha dunque senso definire la variazione specifica di volume in $P$

$$\Theta = \frac{dv - dV}{dV} = \frac{(d\mathbf{x}_a \times d\mathbf{x}_b) \cdot d\mathbf{x}_c}{(d\mathbf{X}_a \times d\mathbf{X}_a) \cdot d\mathbf{X}_c} - 1$$

ovvero, in virtù della (3.30)

\Theta = \det{\mathbf{F}} - 1                                                                                             (3.31)

In funzione del gradiente di spostamento la relazione precedente si scrive altresì

\Theta = \det{(\mathbf{I} + \nabla \mathbf{u})} - 1                                                                                    (3.32)

Non è superfluo sottolineare che le formule, (3.31) e (3.32), così come (3.26), (3.27), (3.28) e (3.29), sono esatte e riferite al generico punto $P$ del corpo nella sua configurazione iniziale. Solo per semplicità di notazione, e consuetudine, in esse è stata omessa la dipendenza esplicita da $P$  ovvero da $\mathbf{X}$.

Misure di deformazione linearizzate (1/7)

Come anticipato le misure di deformazione (3.27), (3.29) e (3.32) sono, per quanto esatte, non lineari nei gradienti di spostamento. La conseguenza più evidente di tale proprietà è la mancanza di additività di tali misure per effetto di due variazioni successive di configurazione identificate dagli spostamenti $\mathbf{u}_1$  e $\mathbf{u}_2$. In altri termini indicando con $M_d$ la generica misura di deformazione 

$$M_d (\mathbf{u}_1 + \mathbf{u}_2) \ne M_d(\mathbf{u}_1) + M_d(\mathbf{u}_2)$$

È dunque naturale chiedersi sotto quale ipotesi cinematica sulle deformazioni che caratterizzano le variazioni di configurazione, e quindi sulle funzioni spostamento associate, possa essere ristabilito il segno di uguaglianza nella espressione precedente. Vedremo che tale ipotesi consiste nell’ipotizzare che i gradienti di spostamento, e non gli spostamenti, siano sufficientemente piccoli in un senso che ci apprestiamo a specificare ulteriormente. In particolare supponiamo che, un generico punto $P$ di $\mathcal{B}$

|\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)|= \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) \qquad \textnormal{con} \qquad \epsilon_{gu} \ll 1                                                                     (3.33)

in cui il simbolo $\mathcal{O}$ di Landau, da non confondersi con l’altro simbolo $o$ anch’esso attribuito a Landau, ha il significato

\lim_{\epsilon_{gu} \to 0} \frac{|\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)|}{\epsilon_{gu}} = c > 0                                                                                   (3.34)

con $c$ costante positiva. 

Misure di deformazione linearizzate (2/7)

In altri termini la (3.33) indica che l’ordine di grandezza di $|\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)|$ è pari a quello di una quantità $\epsilon_{gu}$ molto più piccola dell’unità. Equivalentemente si può dire, cfr. (3.34), che $|\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)|$ si comporta come $\epsilon_{gu}$ nell’intorno di $\epsilon_{gu}=0$. Tale proprietà verrà sintetizzata nel seguito scrivendo semplicemente 

|\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)| \ll 1                                                                                              (3.35)

Essa può essere estesa all’intero corpo nel caso di deformazione omogenea, e cioè ipotizzando che la (3.35) sussista indipendentemente da $P \in \mathcal{B}$ o imponendo che risulti

|\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)|_{\infty} = \sup_{P \in \mathcal{B}}\, |\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)| \ll 1                                                                          (3.36)

Una deformazione tale da rispettare la (3.36) si dice infinitesima. La (3.35), o la più stringente (3.36), sono proprietà tutt’altro che inverosimili poiché soddisfatte in gran parte delle applicazioni tecniche della Scienza delle Costruzioni. Inoltre, come vedremo, semplificano notevolmente le espressioni delle misure di deformazione fin qui introdotte. Per tale motivo l’analisi della deformazione di un mezzo continuo, condotta sotto l’egida delle (3.35), o (3.36), viene detta analisi linearizzata o infinitesima della deformazione. 

Misure di deformazione linearizzate (3/7)

Per fornire una caratterizzazione alternativa della condizione (3.35), osserviamo che, per un arbitrario tensore $\mathbf{A}$, risulta banalmente. 

|A_{ij}| \le |\mathbf{A}|                                                                                                      (3.37)

essendo $A_{ij}$ la componente di posto $ij$ della matrice associata ad $\mathbf{A}$. Viceversa, se $d$ è la dimensione dello spazio vettoriale $\mathcal{U}$, si può scrivere

|\mathbf{A}| \le d |A_{ij}|_{\max}                                                                                               (1.38)

essendo $|A_{ij}|_{max}$ il massimo in valore assoluto delle componenti di $\mathbf{A}$. Dunque, in base alla (3.37) e alla (3.38), si può eseguire una analisi linearizzata della deformazione se e solo se

|\textnormal{Grad } \mathbf{u}(P)| \ll 1 \Leftrightarrow \left| \frac{\partial u_i}{\partial X_j} (P) \right| \ll 1 \qquad \forall P \in \mathcal{B}                                                                          (3.39)

essendo $u_i$ le componenti scalari del campo di spostamento $\mathbf{u}$ valutato in un sistema di riferimento cartesiano.

Con tali precisazioni esprimiamo lo spostamento relativo tra il punto $P$ ed un generico punto $Q$ del suo intorno scrivendo

\mathbf{u}(Q) - \mathbf{u}(P) = \mathbf{u} (\mathbf{X} + d\mathbf{X}) - \mathbf{u}(\mathbf{X}) = \textnormal{Grad } \mathbf{u} (\mathbf{X}) d\mathbf{X} + o (|d\mathbf{X}|)                                                  (3.40)

a meno di termini di ordine superiore al primo.

Non è superfluo sottolineare che la relazione precedente è del tutto analoga alla (3.22), sicché lo sviluppo in serie della funzione $\mathbf{u}$ è stato arrestato ai termini del primo ordine attesa la dimensione infinitesima dell’intorno del punto $P$. Dunque la (3.40) è indipendente dall’ipotesi (3.35) che, viceversa, sfrutteremo nel seguito. 

Misure di deformazione linearizzate (4/7)

A tal fine decomponiamo il tensore $\mathbf{H}=\textnormal{Grad } \mathbf{u}$ nella sua parte simmetrica ed emisimmetrica ponendo

\textnormal{Grad } \mathbf{u} = \mathbf{H} = \mathbf{E}_L + \mathbf{R}_L                                                                                       (3.41)

dove                                                                       \mathbf{E}_L = \frac{1}{2} (\mathbf{H}+\mathbf{H}^T) \qquad \mathbf{R}_L=\frac{1}{2} (\mathbf{H}-\mathbf{H}^T)                                                                        (3.42)

e si è omessa, per semplicità, la dipendenza da $\mathbf{X}$. Le relazioni precedenti rappresentano la generalizzazione tridimensionale delle formule (3.15) ricavate nel caso monodimensionale. Il pedice $(\bullet)_L$ usato per denotare la parte simmetrica di $\mathbf{H}$ trova la sua giustificazione nel fatto che $\mathbf{E}_L$ può riguardarsi, allorquando si considerano gradienti infinitesimi, come la linearizzazione del tensore di Green definito da

\mathbf{E} = \frac{1}{2} (\mathbf{H}+\mathbf{H}^T+\mathbf{H}^T \mathbf{H})                                                                                     (3.43)

In funzione di $\mathbf{E}$, ad esempio, è possibile esprimere tutte le misure esatte di deformazione fin qui introdotte. In altri termini si può scrivere

\mathbf{E}_L = \mathbf{E} + o (|\mathbf{H}|) = \mathbf{E} + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)                                                                                (3.44)

poiché

$$\mathbf{H}^T \mathbf{H} = o (|\mathbf{H}|) \qquad \textnormal{se} \qquad |\mathbf{H}|\to 0$$

Analogamente il termine $\mathbf{R}_L$ che appare nella (3.42) costituisce la linearizzazione del tensore di rotazione $\mathbf{R}$  che appare nella decomposizione polare del gradiente di deformazione $\mathbf{F}$. Tale proprietà sarà ulteriormente chiarita nel seguito.

Misure di deformazione linearizzate (5/7)

In funzione di $\mathbf{E}_L$ e $\mathbf{R}_L$ la (3.40) si scrive come segue

$$\mathbf{u} (\mathbf{X}+d\mathbf{X}) - \mathbf{u}(\mathbf{X}) = \mathbf{E}_L (\mathbf{X}) d\mathbf{X} + \mathbf{R}_L (\mathbf{X}) d\mathbf{X}$$

 e si ribadisce ancora una volta che essa sussiste indipendentemente dall’ordine di grandezza di $|\textnormal{Grad } \mathbf{u} (\mathbf{X})|$ e, a maggior ragione, da quella di $\mathbf{u}(\mathbf{X})$.
Infatti la relazione precedente serve unicamente a caratterizzare gli spostamenti relativi dei punti appartenenti all’intorno di un generico punto $P$ del corpo $\mathcal{B}$, indipendentemente dall’entità dello spostamento assoluto di quest’ultimo. Peraltro, tale informazione sarebbe di scarso rilievo atteso il fatto che, intrinseco al significato di deformazione e delle relative misure, è il concetto di spostamento relativo.
Tuttavia, nell’ipotesi particolare in cui i gradienti di spostamento sono infinitesimi, e cioè sussista la (3.39), il tensore $\mathbf{E}_L$ assume il significato di tensore di deformazione infinitesima nel senso che le misure di deformazione fin qui introdotte possono esprimersi, a meno di termini $o(|\mathbf{H}|^2)$, esclusivamente in funzione di $\mathbf{E}_L$. In tal caso le corrispondenti misure di deformazione diventano lineari in $\mathbf{H}$
Inoltre il tensore $\mathbf{R}_L$ rappresenta il tensore di rotazione infinitesima nel senso che esso definisce la rotazione rigida infinitesima che le fibre subiscono in seguito alla deformazione caratterizzata dagli spostamenti $\mathbf{u}$.

Misure di deformazione linearizzate (6/7)

In definitiva, ricordando le (3.33), (3.34) e (3.41) possiamo caratterizzare una deformazione infinitesima come quella per cui risulta

E_{Lij} = \mathcal{O} (\epsilon_{gu})                                                                                             (3.45a)

R_{Lij} = \mathcal{O} (\epsilon_{gu})                                                                                              (3.45b)

ovvero

|E_{Lij}| \ll 1 \qquad |R_{Lij}| \ll 1                                                                                     (3.46)

ed inoltre 

$$E_{ij}=E_{Lij} + \mathcal{O} (\epsilon^2_{gu})$$

Si noti che la condizione (3.33) garantisce il soddisfacimento delle (3.45a) e (3.45b), ovvero delle (3.46), in virtù della (3.41). Viceversa la condizione (3.45a), imposta indipendentemente dalla analoga condizione su $\mathbf{R}_L$, non garantisce necessariamente che risulti soddisfatta la (3.33). Può infatti risultare

|E_{Lij}| = \mathcal{O} (\epsilon_{gu})                                                                                             (3.47a)

|R_{Lij}| = \mathcal{O} (\epsilon^{1/2}_{gu})                                                                                           (3.47b)

sicché, essendo $\epsilon_{gu} \ll 1$, si parla di tensore di deformazione infinitesimo accompagnato da rotazioni moderate nel senso che il tensore di rotazione infinitesima soddisfa solo la (3.47b) anziché la più stringente condizione (3.45b). 

Misure di deformazione linearizzate (7/7)

In generale, quindi, l’ipotesi che le componenti del tensore di deformazione infinitesima siano significativamente minori dell’unità non garantisce da sola che la deformazione sia infinitesima. In altri termini

$$|\textnormal{Grad } \mathbf{u}| \ll 1 \Leftrightarrow |\mathbf{E}_L| \ll 1 \qquad \textnormal{e} \qquad |\mathbf{R}_L| \ll 1$$

ma 

$$|\mathbf{E}_L| \ll 1 \nRightarrow |\textnormal{Grad } \mathbf{u}| \ll 1 $$

Ad esempio, sostituendo la (3.41) nella (3.43) risulta

$$\mathbf{E} = \mathbf{E}_L + \frac{1}{2} (\mathbf{E}_L^2 + \mathbf{E}_L \mathbf{R}_L + \mathbf{R}_L \mathbf{E}_L + \mathbf{R}_L^T \mathbf{R}_L)$$ 

sicché, assumendo valide le (3.47) ed essendo $\mathbf{R}_L^T=-\mathbf{R}_L$, per l’antisimmetria di $\mathbf{R}_L$

$$\mathbf{E} = \mathbf{E}_L - \frac{1}{2} \mathbf{R}_L^2 + \mathcal{O} (\epsilon^{3/2}_{gu})$$ 

in quanto $\mathbf{R}_L^2= \mathcal{O} (\epsilon_{gu})$. L’espressione precedente generalizza al caso tridimensionale la relazione (3.6). Svariati modelli non lineari di travi, piastre e gusci utilizzano l’ipotesi precedente.

Procediamo ora ad esplicitare in quale modo si specializzano le misure esatte di deformazione fin qui introdotte nel caso di deformazioni infinitesime.

Elongazione di una fibra materiale nell’ipotesi di deformazione infinitesima (1/3)

Essendo per ipotesi $|\mathbf{H}|=|\nabla \mathbf{u}|= \mathcal{O} (\epsilon_{gu})$   e   $|\mathbf{e}|=1$, il termine in parentesi quadra sotto radice nella (3.27) è pari a

[\nabla \mathbf{u} + (\nabla \mathbf{u})^T + (\nabla \mathbf{u})^T \nabla \mathbf{u}] \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} = 2 \mathbf{E}_L \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} + \mathcal{O} (\epsilon^2_{gu})                                                               (1.48)

Ricordando lo sviluppo in serie

(1+x)^{1/2} = 1+ \frac{1}{2} x + o (x^2) \qquad \textnormal{per} \qquad -1<x \le 1

la (3.27) si scrive

\varepsilon_L = 1 + \frac{1}{2} \left[ 2 \mathbf{E}_L \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} + \mathcal{O} (\varepsilon^2_{gu}) \right] - 1 = \mathbf{E}_L \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} + \mathcal{O} (\epsilon^2_{gu})                                                         (3.49)

Quindi, a meno di termine di ordine quadratico in $\epsilon_{gu}$, la elongazione linearizzata relativa ad una fibra individuata dal versore $\mathbf{e}$ si ottiene valutando la proiezione lungo $\mathbf{e}$ del trasformato di $\mathbf{e}$ tramite $\mathbf{E}_L$. In particolare se il versore $\mathbf{e}$ viene scelto coincidente con uno dei versori del sistema di riferimento cartesiano, gli elementi sulla diagonale principale della matrice associata al tensore di deformazione infinitesima rappresentano la corrispondente elongazione linearizzata; in formule

$$\varepsilon_{Li} = \frac{\partial u_i}{\partial X_i}$$

relazione coincidente con la (3.13). Quindi, in base all’ipotesi (3.39) risulta $\varepsilon_{Li} \ll 1$.

Elongazione di una fibra materiale nell’ipotesi di deformazione infinitesima (2/3)

Ulteriore proprietà che scaturisce dalla (3.49), molto utile nelle applicazioni, è che $\varepsilon_L$ dipende linearmente dal gradiente di spostamenti. Quindi, nell’ipotesi che si voglia valutare la dilatazione conseguente a due deformazioni infinitesime successive, caratterizzate dai campi di spostamento $\mathbf{u}_1$ e $\mathbf{u}_2$, risulterà 

\varepsilon_L^{1+2} = \varepsilon_L^1 + \varepsilon_L^2 = \varepsilon_L^2 + \varepsilon_L^1                                                                                    (3.50)

avendo indicato con $\varepsilon_L^1$ e $\varepsilon_L^2$ le elongazioni associate alle due deformazioni agenti separatamente e con $\varepsilon_L^{1+2}$ quella associata alla composizione delle due deformazioni; inoltre, tali deformazioni possono susseguirsi in ordine arbitrario nel senso che può aver luogo prima la deformazione $1$ e poi quella $2$ o viceversa. Questo spiega la commutazione dei simboli $\varepsilon_L^1$ e $\varepsilon_L^2$ nella espressione precedente. Non è superfluo sottolineare che la validità della (3.50) è comunque subordinata al fatto che, in seguito all’applicazione di una qualsiasi delle due deformazioni, la posizione della fibra non si modifichi e che la seconda deformazione in ordine di applicazione agisca su una fibra caratterizzata dalla medesima direzione che la fibra possedeva inizialmente, ovvero preliminarmente all’applicazione della prima delle due deformazioni. Anche questa proprietà è soddisfatta a meno di termini di ordine $\mathcal{O}(\epsilon_{gu})$. Infatti, nel caso di deformazioni infinitesime, la (1.24) si specializza come segue per una fibra diretta lungo $\mathbf{e}$, con $|\mathbf{e}|=1$,

d\mathbf{x} = \mathbf{F} \mathbf{e} = (\mathbf{I}+\mathbf{H})\mathbf{e} = \mathbf{e} + \mathcal{O}(\epsilon_{gu})

Elongazione di una fibra materiale nell’ipotesi di deformazione infinitesima (3/3)

La relazione precedente sancisce, a meno di termini $\mathcal{O}(\epsilon_{gu})$, l’invarianza della direzione delle fibre, non certo il fatto che l’intorno di $P$, cui le fibre appartengono, sia immobile. Pertanto, ai fini della quantificazione delle misure di deformazione dell’intorno di $P$, quest’ultima circostanza è assolutamente inutile sicché non è necessario, anzi è addirittura fuorviante, imporre limitazioni all’entità dello spostamento assoluto di $P$ inteso come punto arbitrario del corpo $\mathcal{B}$.
Viceversa, si vedrà come la condizione di piccolezza di spostamenti sia indispensabile per linearizzare le equazioni di equilibrio del mezzo continuo. Incidentalmente osserviamo che, nell’ipotesi (3.47b), la (3.48) assume la forma

$$[\nabla \mathbf{u} + (\nabla \mathbf{u})^T + (\nabla \mathbf{u})^T \nabla \mathbf{u}] \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} = 2 \mathbf{E}_L \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} - \mathbf{R}_L^2 \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)$$

 sicché, nell’ipotesi di rotazioni moderate, l’elongazione, denotata con il simbolo $(\bullet)_{RMS}$ assume l’espressione

$$\varepsilon_{RM} = \mathbf{E}_L \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} - \frac{1}{2} \mathbf{R}_L^2 \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2) = \varepsilon_L - \frac{1}{2} \mathbf{R}_L^2 \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2) $$

che risulta tuttavia non lineare.

Scorrimento angolare tra due fibre ortogonali nell’ipotesi di deformazione infinitesima (1/2)

Scriviamo la (3.28) nella forma equivalente

\textnormal{sen} \gamma_{ab} = \frac{\mathbf{F}^T \mathbf{F} \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b}{|\mathbf{F} \mathbf{e}_a|\,|\mathbf{F} \mathbf{e}_b|}                                                                                              (3.52)

e osserviamo preliminarmente che la (3.26) consente di porre

|\mathbf{F} \mathbf{e}_a| = 1+ \varepsilon_a = 1+ \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) \qquad |\mathbf{F} \mathbf{e}_b|= 1+\varepsilon_b = 1 + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) 

Inoltre

\mathbf{F}^T \mathbf{F} = (\mathbf{I} + \nabla \mathbf{u} )^T (\mathbf{I} + \nabla \mathbf{u})= \mathbf{I} + 2 \mathbf{E}_L + (\nabla \mathbf{u})^T \nabla \mathbf{u}

sicché, analogamente alla (3.48), risulta

\mathbf{F}^T \mathbf{F} = \mathbf{I} + 2 \mathbf{E}_L + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2) 

Dunque, essendo $\mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b = 0$, si ha

\mathbf{F}^T \mathbf{F} = 2 \mathbf{E}_L \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)

Pertanto la (3.51) si scrive

\textnormal{sen} \gamma_{ab} = \frac{2 \mathbf{E}_L \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)}{1+ \varepsilon_a + \varepsilon_b + \varepsilon_a \varepsilon_b}= 2 \mathbf{E}_L \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)                                                        (3.52)

Scorrimento angolare tra due fibre ortogonali nell’ipotesi di deformazione infinitesima (2/2)

Essendo

2 \mathbf{E}_L \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b = \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) \qquad \textnormal{e} \qquad \varepsilon_a ; \varepsilon_b = \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) \ll 1 

la (3.52) si scrive più semplicemente

\gamma_{ab} = 2 \mathbf{E}_L \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b                                                                                                  (3.53)

in quanto 

\gamma_{ab} = \mathcal{O} (\textnormal{sen} \gamma_{ab}) \qquad \textnormal{se} \qquad \textnormal{sen} \gamma_{ab} \to 0  

Nel caso particolare in cui $\mathbf{e}_a$ ed $\mathbf{e}_b$ coincidano con i versori di due degli assi coordinati di un sistema cartesiano risulta 

\mathbf{E}_L \mathbf{e}_1 \cdot \mathbf{e}_2 = \frac{1}{2} (\gamma_{12})_L                                                                                       (3.54)

Questa relazione, che può essere utilmente confrontata con la (3.14), stabilisce che gli elementi fuori diagonale della matrice associata ad $\mathbf{E}_L$ in un sistema di riferimento cartesiano sono pari alla metà dello scorrimento angolare tra le fibre disposte lungo gli assi corrispondenti.

Deformazione volumetrica nell’ipotesi di deformazione infinitesima

Al fine di linearizzare la misura $\Theta$ definita dalla (3.31) ricordiamo preliminarmente il risultato

\det (\mathbf{A} - \lambda \mathbf{I}) = - \lambda^3 + I_{\mathbf{A}} \lambda^2 - II_{\mathbf{A}} \lambda + III_{\mathbf{A}}  

che consente di ottenere gli autovalori di $\mathbf{A}$, uguagliando a zero l’equazione caratteristica a secondo membro, in funzione degli invarianti primo $I_{\mathbf{A}}$ secondo $II_{\mathbf{A}}$ e terzo $III_{\mathbf{A}}$ di $\mathbf{A}$. In particolare ponendo $\lambda=-1$ nell’espressione precedente si ha

\det (\mathbf{A} + \mathbf{I}) = 1 + I_{\mathbf{A}} + II_{\mathbf{A}} + III_{\mathbf{A}}

Dunque, se $|\nabla \mathbf{u}| =  \mathcal{O} (\epsilon)$ si ha

\det (\mathbf{I} + \nabla \mathbf{u}) = 1 + I_{\nabla \mathbf{u}} + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2) = 1 + \textnormal{tr} (\nabla u) + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)                                                         (3.55)

in quanto gli invarianti $II_{\nabla \mathbf{u}}$ e $III_{\nabla \mathbf{u}}$ dipendono, rispettivamente, dal quadrato e dal cubo delle componenti $\frac{\partial u_i}{\partial X_j}$, tutte di ordine $\mathcal{O}(\varepsilon_{gu})$, in base alla (3.39). Peraltro, per convincersi della (3.55), è sufficiente valutare l’espressione matriciale di $\mathbf{I} + \nabla \mathbf{u}$ in un sistema cartesiano e calcolarne il relativo determinante. 

Sussistendo la (3.41) ed essendo la traccia un operatore lineare, risulta 

\textnormal{tr} \nabla \mathbf{u} = \textnormal{tr} \mathbf{E}_L

in quanto $\mathbf{R}_L$ è emisimmetrico. In definitiva, in base alla (3.55), si ha

\Theta_L = \textnormal{tr} \mathbf{E}_L + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)                                                                                         (3.56)

misura evidentemente lineare in $\nabla \mathbf{u}$.

Deformazioni rigide (1/10)

Con la locuzione deformazioni rigide, solo apparentemente contraddittoria, si vogliono caratterizzare quelle deformazioni definite da moti rigidi. Ad esse, quindi, devono associarsi misure di deformazione nulle. Tuttavia si possono ottenere risultati paradossali se si pretende, erroneamente, di applicare le formule fin qui derivate dimenticando le ipotesi in virtù delle quali esse sono state derivate. Tali considerazioni, evidentemente, valgono solo per le misure di deformazione linearizzate, ovvero quelle dipendenti da $\mathbf{E}_L$, poiché quelle dipendenti da $\mathbf{F}$ sono misure di deformazione esatte, quindi indipendenti dall’ordine di grandezza di $|\textnormal{Grad } \mathbf{u}|$.

Per mostrare a quali risultati paradossali si possa pervenire applicando in modo inconsapevole le formule fin qui derivate, si faccia riferimento ad un moto rigido definito dalla seguente mappa di trasferimento

\mathbf{x} = \Phi (\mathbf{X}) = \mathbf{x}_G + \mathbf{Q}_R (\mathbf{X} - \mathbf{X}_G)                                                                           (3.57)

essendo $\mathbf{Q}_R$ un tensore di rotazione e $\mathbf{X}_G$ un generico punto del corpo $\mathcal{B}$, ad esempio il baricentro. La posizione finale di tale punto è indicata con $\mathbf{x}_G$ essendo $\mathbf{x}_G = \Phi (\mathbf{X}_G)$.  Si ricorda che un tensore di rotazione è un tensore ortogonale caratterizzato dalle seguenti proprietà 

\mathbf{Q}_R^{-1} = \mathbf{Q}_R^{T} \qquad \det \mathbf{Q}_R = 1                                                                               (3.58)

Il campo di spostamenti associato alla mappa (3.57) è banalmente

\mathbf{u}(\mathbf{X}) = \mathbf{x} - \mathbf{X} &=& \mathbf{x}_G + \mathbf{Q}_R (\mathbf{X} - \mathbf{X}_G) - \mathbf{X} + \mathbf{X}_G - \mathbf{X}_G = \mathbf{u}_G + (\mathbf{Q}_R - \mathbf{I}) (\mathbf{X} - \mathbf{X}_G)                                  (3.59)

Deformazioni rigide (2/10)

Essendo il moto di tipo rigido è lecito attendersi che le misure di deformazione fin qui introdotte siano nulle. Tuttavia non avendo imposto alcuna limitazione a $|\textnormal{Grad } \mathbf{u}|$ tale proprietà sarà soddisfatta solo dalle misure di deformazione esatte e non da quelle, linearizzate, ricavate nell’ipotesi $|\textnormal{Grad } \mathbf{u}| \ll 1$. Infatti, si ricava dalla (3.57)

$$\mathbf{F}(\mathbf{X}) = \textnormal{Grad } \Phi (\mathbf{X}) = \mathbf{Q}_R$$

Dunque, in quanto indipendente dal punto $\mathbf{X}$, la deformazione assegnata tramite la mappa (3.57) è omogenea. Procediamo ora a calcolare le misure esatte di deformazione fin qui introdotte. Dalla (3.26) consegue che

$$\varepsilon = \sqrt{\mathbf{F}^T \mathbf{F} \mathbf{e} \cdot \mathbf{e} -1} = \sqrt{\mathbf{Q}^T_R \mathbf{Q}_R \mathbf{e} \cdot \mathbf{e}} = 0$$

in quanto $\mathbf{Q}_R^T \mathbf{Q}_R = \mathbf{I}$ in virtù della (3.58) Analogamente, in base alla (3.28) risulta

$$\textnormal{sen} \gamma_{ab} = \frac{\mathbf{F} \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{F} \mathbf{e}_b}{|\mathbf{F} \mathbf{e}_a|\,|\mathbf{F} \mathbf{e}_b|} = \frac{\mathbf{F}^T \mathbf{F} \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b}{|\mathbf{F} \mathbf{e}_a|\,|\mathbf{F} \mathbf{e}_b|} = \frac{\mathbf{Q}_R^T \mathbf{Q}_R \mathbf{e}_a \cdot \mathbf{e}_b}{|\mathbf{Q}_R \mathbf{e}_a|\,|\mathbf{Q}_R \mathbf{e}_b|} = 0$$

in quanto le fibre individuate dalle direzioni $\mathbf{e}_a$ ed $\mathbf{e}_b$ sono state ipotizzate ortogonali tra di loro. Infine, la (3.31) implica

$$\Theta = \det \mathbf{F} - 1 = \det \mathbf{Q}_R - 1 = 0$$

in virtù del secondo risultato riportato nella (3.58).

Deformazioni rigide (3/10)

Viceversa, come mostreremo tra breve, le corrispondenti misure linearizzate di deformazione non si annullano sicché un tale risultato potrebbe indurre a ritenere, erroneamente, che il moto di cui si stanno valutando le misure di deformazione associate sia non rigido.Per convincersene, consideriamo la seguente formula di rappresentazione di un tensore di rotazione dovuta a Rodrigues

\mathbf{Q}_R = \mathbf{I} + \textnormal{sen} \varphi \mathbf{\Psi} + (1- \cos \varphi) \mathbf{\Psi}^2                                                                               (3.60)

con $\mathbf{\Psi}$ tensore emisimmetrico $(\mathbf{\Psi}^T = - \mathbf{\Psi})$. Sostanzialmente la formula precedente traduce in termini analitici l’aspettativa fisica per la quale una rotazione sia caratterizzata da un angolo di rotazione, denotato con $\varphi \in ]-\pi, \pi[$, e da un asse di rotazione individuato dal versore $\mathbf{\psi}$. Tale asse è quello associato al tensore emisimmetrico per il tramite della ben nota relazione

$$\mathbf{\Psi} \mathbf{c} = \mathbf{\psi} \times \mathbf{c} \qquad \forall \mathbf{c} \in \mathcal{U} $$

In particolare, dette $\psi_1$, $\psi_2$ e $\psi_3$ le componenti del versore $\mathbf{\psi}$, la matrice associata $\mathbf{\Psi}$ è fornita dalla seguente espressione

[\mathbf{\Psi}] =\left[\begin{array}{ccc}0 & -\psi_3 & \psi_2 \\\psi_3 & 0 & -\psi_1 \\-\psi_2 & \psi_1 & 0 \end{array}\right]                                                                                  (3.61)

Deformazioni rigide (4/10)

Una rappresentazione grafica della (3.60) che aiuta a comprendere meglio il significato dei vari termini è quella riportata nella figura seguente corrispondente ad un asse \mathbf{\psi} diretto nel verso dell’osservatore e ad un angolo $\varphi$ di rotazione antiorario.

Per semplificare i calcoli relativi alla valutazione delle misure linearizzate di deformazione consideriamo in figura 5 un sistema di riferimento in cui il terzo asse sia quello diretto verso l’osservatore. Si ha così

 

\mathbf{\psi} = \left\vert \begin{array}{c} 0 \\ 0 \\ 1 \end{array} \right\vert \qquad [\mathbf{\Psi}] = \left[ \begin{array}{ccc} 0 & -1 & 0 \\ 1 & 0 & 0 \\ 0 & 0 & 0 \end{array} \right] \qquad [\mathbf{\Psi}^2] = \left[ \begin{array}{ccc} -1 & 0 & 0 \\ 0 & -1 & 0 \\ 0 & 0 & 0 \end{array} \right]              (3.62)

e

\mathbf{Q}_R = \left[ \begin{array}{ccc} \cos \varphi & -\textnormal{sen} \varphi & 0 \\ \textnormal{sen} \varphi & \cos \varphi & 0 \\ 0 & 0 & 1 \end{array} \right]


Deformazioni rigide (5/10)

Tale risultato si poteva ottenere altresì invocando la definizione di matrice associata ad un tensore e considerando che il tensore $\mathbf{Q}_R$ rappresenta per ipotesi una rotazione intorno all’asse ortogonale al foglio. 

Dunque, in base alla (3.60)

\nabla \mathbf{u} = \mathbf{Q}_R - \mathbf{I} = \left[\begin{array}{ccc}\cos \varphi -1 & -\textnormal{sen} \varphi & 0 \\\textnormal{sen} \varphi & \cos \varphi -1 & 0 \\0 & 0 & 0 \end{array}\right]

sicché l’applicazione delle formule (3.49), (3.54) e (3.56) mostra che le misure di deformazione linearizzate non sono uguali a zero ma hanno un ordine di grandezza che dipende da $\varphi$, ossia dall’ampiezza della rotazione. In tal caso si potrebbe essere indotti, erroneamente, a ritenere che il moto non sia rigido, cosa evidentemente falsa.  In definitiva l’unica informazione che può guidare nella corretta applicazione delle misure di deformazione linearizzate è quella sull’entità del gradiente di spostamento, nel senso che esse possono essere applicate se e solo se $|\textnormal{Grad } \mathbf{u}| \ll 1$. Come detto il viceversa non è sempre vero nel senso che una stima del tensore di deformazione linearizzata $\mathbf{E}_L$ per la quale $|\mathbf{E}_L| = \mathcal{O}(\epsilon_{gu})$ con $\epsilon_{gu} \ll 1$ non è di per sé sufficiente a garantire che anche $|\textnormal{Grad } \mathbf{u}| = \mathcal{O}(\epsilon_{gu})$, e che quindi le formule che hanno condotto alla valutazione di $\mathbf{E}_L$ siano corrette; infatti potrebbe risultare $|\mathbf{R}_L|=\mathcal{O}(\epsilon_{gu}^{1/2})$, e cioè si potrebbe essere in presenza di rotazioni moderate. In base alle considerazioni precedenti è spontaneo chiedersi come sia possibile definire una deformazione rigida \emph{infinitesima} in corrispondenza del quale si annulla il tensore $\mathbf{E}_L$. Poiché questa proprietà è comunque soddisfatta per una deformazione di traslazione rigida, indipendentemente dalla sua ampiezza, il problema riguarda solo una deformazione di rotazione. 

 

 

Deformazioni rigide (6/10)

Risultando, in base alla (3.60)

$$\nabla \mathbf{u} = \mathbf{Q}_R - \mathbf{I}$$ 

si definisce deformazione di \emph{rotazione rigida infinitesima} o di \emph{piccole rotazioni}, una deformazione per la quale risulti

|\nabla \mathbf{u}| = |\mathbf{Q}_R - \mathbf{I}|= \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) \qquad \textnormal{con} \qquad \epsilon_{gu} \ll 1                                                                (3.63) 

e cioè una deformazione per la quale il tensore di rotazione rigida differisca \emph{poco} dall’identità. Tale posizione consegue dalle seguenti considerazioni. Risultando, come si intuisce da fig. 5

\mathbf{\Psi}^2 = \mathbf{\psi} \otimes \mathbf{\psi} - \mathbf{I}                                                                                            (3.64)

è possibile mostrare che

\mathbf{\psi} \cdot \mathbf{\psi} = \mathbf{\psi}^2 \cdot \mathbf{\psi}^2 = 2  

come peraltro si evince dalla (3.61).  Inoltre 

\mathbf{\Psi} \cdot \mathbf{\Psi}^2 = 0

essendo \mathbf{\Psi} emisimmetrico e \mathbf{\Psi}^2 simmetrico.

Deformazioni rigide (7/10)

Sfruttando i risultati precedenti si ricava dalla (3.63) che

$$|\nabla \mathbf{u}| = |\mathbf{Q}_R - \mathbf{I}| = 2 (1-\cos \varphi)^{1/2}$$

 cosicché

|\nabla \mathbf{u}| = \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) \Leftrightarrow |\varphi| = \mathcal{O} (\epsilon_{gu})                                                                                 (3.65)

Quindi se l’angolo di rotazione $\varphi$ è infinitesimo, come peraltro suggerisce l’intuito fisico, anche il gradiente di spostamento lo è. Nell’ipotesi (3.65) risulta altresì che

\textnormal{sen} \varphi = \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) \qquad \textnormal{e} \qquad 1-\cos \varphi = \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)

sicché la formula di rappresentazione (3.60) implica che 

\mathbf{Q}_R - \mathbf{I} = \varphi \mathbf{\psi} + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2) = \mathbf{\Phi} + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)                                                                       (3.66)

Inoltre essendo $\mathbf{\Psi}^2$ simmetrico, come si evince dalla (3.64), si ha altresì

\textnormal{emi} (\mathbf{Q}_R - \mathbf{I}) = \textnormal{sen} \varphi \mathbf{\Psi}

avendo indicato con \textnormal{emi}(\bullet) = 1/2 [(\bullet) + (\bullet)^T] la parte emisimmetica del tensore (\bullet).

Deformazioni rigide (8/10)

Il confronto delle due relazioni precedenti implica, essendo altresì

\textnormal{sen} \varphi = \mathcal{O} (\varphi) \qquad \textnormal{per} \qquad |\varphi|= \mathcal{O} (\epsilon_{gu}) 

che

\mathbf{Q}_R - \mathbf{I} = \textnormal{emi} (\mathbf{Q}_R - \mathbf{I}) + \mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)                                                                             (1.67)

e cioè per un moto in cui sussiste l’ipotesi (3.65) l’approssimazione al prim’ordine del gradiente di spostamento coincide con la sua parte emisimmetrica. Risultando in generale

\mathbf{Q}_R - \mathbf{I} = \textnormal{sym} (\mathbf{Q}_R - \mathbf{I}) + \textnormal{emi} (\mathbf{Q}_R - \mathbf{I})                                                                       (1.68)

 con \textnormal{sym} (\bullet) = 1/2 (\bullet) + (\bullet)^T il confronto tra la (3.67) e (3.68) implica che

\textnormal{sym} (\mathbf{Q}_R - \mathbf{I}) = \mathbf{O}

e cioè che il tensore di deformazione linearizzata per una deformazione che soddisfa la (3.65) è nullo. Ciò giustifica la denominazione di rotazione rigida infinitesima e, più in generale, consente di definire come spostamento rigido infinitesimo un campo vettoriale definito in $\Omega$ per il quale risulti

\mathbf{u} (\mathbf{X}) = \mathbf{u}_G + \Phi (\mathbf{X}-\mathbf{X}_G) \qquad \textnormal{con} \qquad \Phi^T = - \Phi                                                         (3.69)

e si è posto \Phi = \varphi \mathbf{\Psi}. Conseguentemente  il vettore \mathbf{\varphi}  associato a \Phi sarà

\mathbf{\varphi} = \varphi \mathbf{\psi}

Deformazioni rigide (9/10)

La definizione (3.69) consegue dalla (3.66) e cioè dal fatto che, a meno di termini $\mathcal{O} (\epsilon_{gu}^2)$, un tensore di rotazione piccolo o infinitesimo è rappresentato mediante un tensore emisimmetrico.

Per fornire un’interpretazione fisica del tensore di rotazione infinitesimo $\Phi$, e del vettore assiale associato, si consideri la figura 6 in cui si è rappresentato lo spostamento di un generico punto $\mathbf{Q}$ per effetto della rotazione rigida con angolo $\varphi$ che avviene intorno all’asse, passante per $G$, definito dal versore \mathbf{\psi}.

In seguito alla rotazione rigida, che per adesso supporremo non necessariamente infinitesima, il punto $Q$ si porta nella posizione $q$, sicché

|\nabla \mathbf{u}| = 2 \left( |\Delta \mathbf{X}| \textnormal{sen} \alpha \right) \textnormal{sen} \frac{\varphi}{2} = \left( 2 \textnormal{sen} \frac{\varphi}{2} |\Delta \mathbf{X}| \textnormal{sen} \alpha \right) 

essendo $\alpha$ l’angolo formato tra l’asse di rotazione, individuata da \mathbf{\psi}, ed il vettore |\Delta \mathbf{X}|. Se \varphi = \mathcal{O} (\epsilon_{gu}), la formula precedente si specializza nella seguente

 |\nabla \mathbf{u}| = \varphi |\Delta \mathbf{X}| \textnormal{sen} \alpha

che coincide con quella che si ricava dalla (3.69) essendo

|\nabla \mathbf{u}| = \Phi \Delta \mathbf{X} = \varphi \mathbf{\psi} \times \Delta \mathbf{X} = \varphi |\mathbf{\psi}| |\Delta \mathbf{X}| \textnormal{sen} \alpha

e $|\mathbf{\psi}|=1$.

Deformazioni rigide (10/10)

In termini geometrici questo significa che il vettore spostamento $\Delta \mathbf{u} = q - Q$ tende a diventare tangente alla traiettoria circolare descritta da $Q$ nella rotazione intorno a \mathbf{\Psi} e tende altresì a coincidere con il vettore \Phi \Delta \mathbf{X} = \varphi \mathbf{\Psi} \Delta \mathbf{X}.  Ricapitolando le considerazioni svolte in precedenza possiamo concludere affermando quanto segue. 

In una deformazione di rotazione rigida infinitesima, e cioè quella in cui il tensore di rotazione soddisfa la (3.66) ed è emisimmetrico, risulta

|\mathbf{E}_L| = 0 \qquad \textnormal{e} \qquad |\mathbf{R}_L|=|\Phi|= \mathcal{O}(\epsilon_{gu})

e cioè il tensore emisimmetrico associato al campo di spostamenti ha ordine di grandezza pari a \epsilon_{gu} con \epsilon_{gu} \ll 1. Viceversa, la sola condizione |\mathbf{E}_L|=0, dunque non accompagnata dall’ulteriore proprietà |\mathbf{R}_L| \ll 1 in tutti i punti del corpo, non è sufficiente a concludere che il campo di spostamento del corpo è quello corrispondente ad una rotazione rigida infinitesima.

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