Il processo delle legis actiones nel corso dell’età repubblicana fu dapprima affiancato e poi via via sostituito da un diverso sistema procedurale.
Le ragioni del declino delle legis actiones furono diverse. Anzitutto la rigidità degli schemi processuali del lege agere; poi anche la loro lacunosità: si pensi, ad esempio, che la tutela di una pretesa incerta al momento in cui si instaurava la lite (incertum) era del tutto ignota alle antiche azioni. Infine, ma non ultima, la non fruibilità delle legis actiones da parte dei peregrini e fuori dal territorio cittadino.
Nel manuale istituzionale il giurista antoniniano, dopo essersi soffermato sul significato della denominazione legis actiones (vd. supra lezione nr. 2), riferisce che nelle liti giudiziarie l’uso di termini vicini, ma non identici, a quelli previsti per gli antichi modi agendi determinava la perdita della lite:
Gai 4. 11. ” …. unde eum, qui de vitibus succisis ita egisset, ut in actione vites nominaret, responsum est rem perdidisse, cum debuisset arbores nominare …” [ ...conseguentemente fu risposto a un tale, che aveva agito per il taglio delle viti nominando nell'azione le viti, che aveva perso la lite poiché avrebbe dovuto nominare gli alberi ...].
Dopo aver descritto ciascuna delle cinque legis actiones (Gai 4 §§ 12-29, sui quali si v. supra, lezioni 2 e 3), e prima di ritornare a trattare delle formulae, Gaio riferisce della progressiva insofferenza verso la rigidità degli antichi modi agendi:
Gai 4.30. Sed istae omnes legis actiones paulatim in odium venerunt: namque ex nimia subtilitate veterum, qui tunc iura condiderunt, eo res perducta est, ut vel qui minimum errasset litem perderet…[Ma tutte queste legis actiones a poco a poco vennero in odio, ed infatti per l'eccessiva pignoleria degli antichi, i quali fondarono il diritto, la cosa giunse al punto che chi avesse commesso un errore minimo perdeva la lite].
Gaio attribuisce l’abolizione delle legis actiones a più interventi legislativi: ad una legge Ebuzia (130 a.C.?) ed alle leggi augustee che riformarono il processo pubblico e privato (17 a.C.):
Gai 4.30… itaque per legem Aebutiam et duas Iulias sublatae sunt istae legis actiones, effectumque est, ut per concepta verba, id est per formulas, litigaremus.[ ... così attraverso la lex Aebutia e le due leges Iuliae queste legis actiones furono abolite e ne conseguì che litigassimo attraverso concepta verba, cioè attraverso le formulae].
Il passaggio dalle legis actiones alle formulae fu probabilmente graduale. Si opina che già prima della riforma augustea alcune legis actiones fossero cadute in desuetudine oppure fossero state abolite.
Sulle origini della nuova procedura taluno congettura che essa sia sorta nel III secolo nell’ambito della giurisdizione del pretore peregrino (cfr. supra, lezione 2), altri ipotizzano che ‘protoforme’ di giudizi formulari erano in uso già prima, nell’ambito della giurisdizione del pretore urbano.
La lex Iulia iudiciorum privatorum contemplò due soli casi in cui eccezionalmente era consentito far ricorso al lege agere: quello del danno temuto e quello dei processi che si svolgevano dinnanzi ai centumviri (per questi ultimi v. supra, lezione nr. 2):
Gai 4.31. “Tantum ex duabus causis permissum est lege agere: damni infecti, et si centumvirale iudicium futurum est …“.
È probabile, anche se sul punto ancora si discute, che nel passaggio alle formulae abbiano avuto un ruolo importante ‘applicazioni fittizie’ (fictiones) delle legis actiones.
La congettura che formule ad legis actionem expressae abbiano potuto costituire un ponte di passaggio dalle legis actiones all’agere per formulas si fonda essenzialmente su due luoghi delle Istituzioni di Gaio…
Il processo formulare si differenzia da quello delle legis actiones per il ridotto grado di formalismo presente nella procedura. Non erano previste formalità particolari sia per la chiamata in giudizio del convenuto (vocatio in ius) sia per l’esposizione da parte dell’attore delle ragioni della lite (editio actionis).
A seguito di libere discussioni dinnanzi al pretore si fissavano i termini della controversia (conceptio verborum).
Formula, detta anche iudicium, era la regola di giudizio cui si perveniva nel corso della fase in iure: una combinazione di parole di volta in volta diversa a seconda delle discussioni che erano intervenute tra l’attore ed il convenuto alla presenza del magistrato giusdicente.
È controverso se questo ‘programma’, destinato a governare la seconda fase del processo (apud iudicem), dovesse essere necessariamente redatto per iscritto.
Pur variando da un processo ad un altro, la regola di giudizio presentava, vedremo, una griglia ben determinata. Anzi, ad un’estrema semplificazione delle modalità di svolgimento del processo faceva da contrappeso un alto grado di precisione richiesto nella stesura della formula. Errori, inesattezze ed omissioni nella composizione della regola di giudizio, come si dirà anche in seguito, condizionavano l’esito del processo.
L’estrema duttilità della fase in iure fece sì che via via si creasse un sistema di azioni notevolmente articolato. Ad ogni situazione sostanziale portata all’attenzione del pretore, fondata o non che fosse su di un diritto già riconosciuto dall’ordinamento, venne a corrispondere una diversa regola di giudizio.
Ogni volta che una regola di giudizio si era consolidata nella prassi del tribunale essa passava ad essere recepita come formula-tipo da impiegare in casi analoghi.
Il processo formulare, oltre ad avere le finalità di un processo privato (cfr. lezione nr. 1), presenta peculiarità che ne accentuano particolarmente il carattere privatistico e che richiamano, entro certi limiti, allo strumento dell’arbitrato (quale modo di risoluzione delle liti che non soltanto nell’ambito del diritto privato attuale – cfr. art. 806 ss. c.p.c. – , ma già in diritto romano, mi riferisco al cd. compromissum, rappresentava un’alternativa rispetto alla tutela giurisdizionale).
La litis contestatio nel processo formulare, come rileva A. Guarino, “era il momento processuale in cui, raggiuntasi l’intesa a tre circa la persona del giudice e la formulazione del iudicium: a) da un lato, il giusdicente proclamava il nome del giudice (datio iudicis); b) dall’altro lato, l’attore scandiva i precisi termini del iudicium al convenuto, ottenendone un comportamento (anche di silenziosa acquiescenza) affermativo (dictatio et accepto iudicii)” (v. infra, lezione 6).
Nel processo formulare il magistrato giusdicente riveste un ruolo centrale. Nel corso dell’età repubblicana il pretore romano, accanto alla sua funzione più antica di controllo sulla regolarità dello svolgimento dei processi, assume altri più penetranti poteri.
I giuristi classici sintetizzano l’attività di iurisdictio del pretore con tre espressioni: ‘dare iudicium‘ (accordare la tutela processuale), ‘dare iudicem‘ (nominare il giudice), ‘iudicari iubere‘ (ordinare di giudicare).
1. Il processo e la realizzazione coattiva del diritto
2. Le legis actiones - parte prima
3. Le legis actiones - parte seconda
4. Dalle legis actiones alle formulae
5. Le formule
6. Lo svolgimento del processo formulare. A) Dalla vocatio in ius alla litis contestatio
7. Lo svolgimento del processo formulare. B) La fase apud iudicem
8. L'esecuzione della sentenza formulare
C.A. Cannata, Profilo istituzionale del processo privato romano II: Il processo formulare, Torino, 1982;
G. Nicosia, Nuovi profili istituzionali essenziali di diritto romano, V ed. riveduta, Catania, 2010.
1. Il processo e la realizzazione coattiva del diritto
2. Le legis actiones - parte prima
3. Le legis actiones - parte seconda
4. Dalle legis actiones alle formulae
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