Tutti gli impianti che operano un riscaldamento indiretto, utilizzano fluidi termovettori, che hanno il compito di trasportare il calore prodotto dal processo di combustione, all’utenza che richiede l’energia termica. Storicamente i fluidi termovettori per eccellenza sono stati l’aria e l’acqua, quest’ultima sia in forma liquida che vapore.
L’evoluzione della tecnologia degli impianti termici ha tuttavia posto in evidenza alcuni limiti di tali fluidi in particolari situazioni impiantistiche, proponendo delle valide alternative: per questo motivo si sono diffusi altri fluidi termovettori capaci di sostituire con notevoli vantaggi l’acqua ed il vapore in alcuni dei loro campi di applicazione più tradizionali.
Tra i fluidi termovettori alternativi all’acqua e all’aria possiamo annoverare: l’elio liquido, il freon e gli altri fluidi refrigeranti, i sali di metalli fusi, i metalli liquidi e anche i fluidi diatermici, detti comunemente olii diatermici.
Circa la durata in esercizio di un buon olio diatermico, si può affermare che essa si estenda per diversi anni, a patto che gli impianti che lo utilizzano siano progettati correttamente, tenendo conto delle caratteristiche fisico-chimiche e termodinamiche del fluido nel dimensionamento delle varie sezioni d’impianto. E’ necessario inoltre che tutti i componenti siano accuratamente realizzati usando materiali adatti che non danneggino o non siano danneggiati dall’olio.
Definizione di olio diatermico
Per fluido diatermico s’intende un olio minerale o di sintesi la cui principale caratteristica è quella di avere, alla pressione atmosferica, una elevata temperatura di ebollizione (circa 400-500°C). Risulta subito chiaro il grande interesse che ne deriva: la possibilità di mantenere alte temperature senza dover ricorrere ad alte pressioni. Analizzando le proprietà chimico-fisiche dei fluidi diatermici, emergono inoltre numerosi altri vantaggi così come alcuni inconvenienti che verranno di seguito descritti.
Identifichiamo innanzitutto le prinicipali proprietà chimiche e fisiche.
Le proprietà chimiche di seguito riportate sono valide per la maggior parte dei fluidi diatermici, in special modo per gli olii minerali.
È bene precisare innanzitutto che, come l’acqua, i fluidi diatermici possono essere utilizzati in tre modalità differenti:
Soltanto il primo caso può giovare al massimo dei vantaggi dei fluidi diatermici e quindi è il più diffuso negli impianti correnti; per tale motivo in questa lezione sarà esaminato solo questo caso.
Alcuni aspetti fondamentali vanno evidenziati, relativi all’utilizzo degli olii diatermici:
Sinteticamente si riportano i vantaggi connessi all’utilizzo dell’olio diatermico:
Sinteticamente si riportano anche gli svantaggi:
Il tipo di generatore più usato e più adatto all’utilizzo dell’olio diatermico è la caldaia monotubolare (con olio diatermico circolante in serpentine in serie); si utilizzano tuttavia anche caldaie multitubolari (con serpentine in derivazione). Le caldaie a tubi di fumo usate nei normali impianti per riscaldamento di ambienti e per la produzione di vapore di processo, non possono invece essere utilizzate a causa delle basse velocità di circolazione del fluido termovettore al loro interno. Il calore è fornito per mezzo di bruciatori ad olio combustibile o a gas naturale,oppure con resistenze elettriche (per impianti più piccoli).
In alcune circostanze possono verificarsi dei surriscaldamenti locali dovuti a:
Tali evenienze sono assolutamente da evitare per non incorrere nella decomposizione termica dell’olio, secondo meccanismi di cracking o piroscissione.
L’effetto dei due fattori menzionati si palesa sul valore della temperatura del velo d’olio che lambisce la parete dei tubi in cui l’olio scorre all’interno del riscaldatore. Imponendo che tale temperatura non superi di oltre 25 ÷ 30 °C quella media dell’olio uscente dalla caldaia, e comunque si più bassa di 30 ÷ 40 °C rispetto a quella di cracking dell’olio impiegato, si scongiurerà il rischio di decomposizione termica con conseguente formazione di depositi carboniosi (che a loro volta, ricoprendo le superfici dei tubi di uno strato a bassa conducibilità, amplificano i fenomeni di surriscaldamento locale).Da tale limite, si deduce un valore minimo ammissibile della velocità dell’olio, per un dato valore del flusso termico della caldaia prescelta, o viceversa un valore massimo ammissibile del flusso termico per una data velocità di circolazione dell’olio.
Arresto della circolazione ed mancata fornitura di energia termica.
Quando si arresta la circolazione dell’olio nell’impianto per sospensione del funzionamento (per revisioni, manutenzioni, ecc.) o per avaria della pompa principale, la velocità dell’olio all’interno della caldaia scende rapidamente dal valore di set point a zero.
Come già ricordato, velocità di circolazione molto basse generano il surriscaldamento dell’olio. In particolare, quando l’olio è in fermo, oppure in caso di una elevatissima resistenza alla trasmissione, con caldaia molto calda, dovuta all’assorbimento di energia termica immagazzinata nei suoi elementi costruttivi, si determina un immediato aumento della temperatura delle pareti dei tubi e, di conseguenza, di quella del velo di olio che le lambisce. Il forte surriscaldamento porta quindi veloemente al cracking dell’olio.
Quando quindi, per un qualsiasi motivo viene interrotto il riscaldamento, la circolazione non deve essere fermata istantaneamente, ma deve continuare per il tempo necessario a far scendere la temperatura dell’olio al di sotto di 200°C, cioè tale da escludere fenomeni di surriscaldamento.
Uniformità delle velocità di circolazione (per serpentine in parallelo)
È di fondamentale importanza fare in modo che la velocità di circolazione nelle serpentine della caldaia sia il più possibile uniforme, sempre per scongiurare surriscaldamenti. Per quanto possibile, è buona prassi disporre serpentine in serie. Nel caso si debbano per forza di cose adottare serpentine in derivazione (come per le caldaie di grossa potenzialità) occorrerebbe dotare ciascuna diramazione di un regolatore di portata automatico o almeno della strumentazione indispensabile ad effettuare un controllo.
La configurazione minima della strumentazione di caldaia richiede almeno i seguenti elementi:
La scelta della pompa di circolazione, è funzione, ovviamente delle perdite di carico totali e della portata di fluido.
La pompa può essere centrifuga o volumetrica rotativa. In generale sono preferibili le seconde tuttavia, per ragioni economiche, di robustezza e semplicità di manutenzione, vengono spesso installate le pompe centrifughe, anche perché, con la nuova tendenza di impiegare oli diatermici sempre più fluidi, sono praticamente superate le difficoltà di circolazione in fase di avviamento a freddo che si riscontravano con l’uso di tali pompe.
La portata si calcola dalla potenza termica che l’olio deve fornire agli utilizzatori, in base alla variazione di temperatura che l’olio subisce lungo il circuito, che in genere varia intorno a 25 – 45 °C, e in base alla velocità di circolazione all’interno del riscaldatore.
La prevalenza si calcola valutando le perdite di carico del circuito (caldaia, utilizzatori, filtri, tubazioni, raccordi, valvole ecc.) in base alle caratteristiche di viscosità dell’olio. Le curve caratteristiche delle pompe consentono di individuare il diametro ottimale della girante in funzione della portata e dell’altezza manometrica totale H. Per H si dovrà considerare un valore cautelativo, circa il 10% superiore al valore calcolato delle perdite di carico totali.
I componenti destinati alla distribuzione del calore alle utenze possono essere costituiti da:
La superficie di scambio viene calcolata tenendo conto della potenza termica che deve essere trasmessa all’utilizzatore, del salto di temperatura fra l’olio ed il fluido ricevente – in generale da mantenere entro i 50 ÷ 70 °C – della velocità di circolazione tale da assicurare il moto turbolento dell’olio e del coefficiente di trasmissione termica dell’olio.
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