L’Architettura è fatta di luoghi, dà nome, sostanza e senso ai luoghi. Si situa nella città e nel paesaggio, dona senso al nostro ambiente di vita, reinterpretando criticamente l’incontro tra il patrimonio ereditato e le attese proiettate verso il nostro futuro aperto a nuove e imprevedibili combinazioni tra processi di civilizzazione e forma dell’ambiente fisico.
Nel mondo classico, la scelta del luogo per una costruzione singola come per una città, aveva un valore preminente, il sito era governato dal genius loci, dalla divinità locale, una divinità appunto di tipo intermedio che sopraintendeva a quanto si svolgeva in quello stesso luogo.
L’architettura radicandosi in uno spazio preciso, resta avviluppata nelle caratteristiche del luogo, e risulta perciò letteralmente irripetibile. Così l’architettura, quando intraprende la costruzione di un luogo deduce da esso i suoi caratteri specifici. Per locus si intende quel rapporto singolare eppure universale che esiste tra una certa situazione locale e le costruzioni che stanno in quel luogo.
Andrea Palladio
Il concetto di locus è stato sempre presente alla trattatistica classica anche se già nel Palladio e poi nel Milizia, la sua trattazione prende sempre più un aspetto di tipo topografico e funzionale; ma nelle parole del Palladio vi è ancora in forma viva il fremito del mondo antico, il segreto di questo rapporto che è poi evidente, al di sopra della cultura specifica architettonica, in certe sue opere come la Malcontenta o la Rotonda.
La presenza degli edifici e la loro appartenenza ad un luogo devono includere qualità che possano stabilire un dialogo significativo con la situazione esistente.
La presenza di alcuni edifici ci trasmette qualcosa di segreto circa la loro natura. Sembra semplicemente che appartengano ad un luogo. Seppure non diamo loro particolare attenzione, risulta impossibile immaginare il luogo dove sorgono senza di loro.
Questi Edifici sembrano saldamente ancorati al terreno. Danno l’impressione di essere una parte essenziale del loro contesto. Edifici che, nel tempo, si sono naturalmente strutturati come parte della forma e della storia del luogo.
Gli edifici vengono accettati dai loro contesti soltanto se hanno la capacità di interessare, attrarre le nostre emozioni e le nostre menti in vari modi.
Dato che le nostre sensazioni e la nostra comprensione sono legate alle esperienze e sono quindi radicate nel passato le connessioni sensoriali con un edificio devono rispettare il processo del ricordare, che non è un processo lineare.
Varie possibilità guidano e concorrono l’atto del ricordare. Immagini, stati d’animo, forme, parole, segni o paragoni dischiudono possibilità di approccio.
Una memoria che, come ci ha insegnato Giuseppe Samonà, “evolve a partire dai limiti; ovvero è creativa, non può fare a meno della fantasia sempre che questa fantasia sia stanziale, abita poeticamente quegli spazi producendo unità tra quelle pietre e le immagini di quelle pietre che la gente si è fatto”.
Quando un progetto nasce esclusivamente dalle forme della tradizione e ripete pedissequamente i dettami del sito, si avverte la mancanza di una reale preoccupazione per la vita e per il mondo ed un’assenza della contemporaneità.
Se un opera di architettura parla soltanto di orientamenti o tendenze contemporanee e di invenzioni e sofisticate visioni senza provocare vibrazioni del luogo, quest’opera non è ancorata al sito, non ne partecipa e quindi non ha quella gravità specifica del terreno su cui si erige.
Le due principali città romane dell’Algeria: Timgad e Djemila, città famose perché nelle loro forme si esprime e si sostanzia gran parte della teoria dell’architettura della città romana, sono l’evidente conferma del rapporto tra ordine formale prefissato, cioè imposto dall’esterno, ed ordine formale che proviene dal luogo, dalla sua particolare condizione e struttura. Si tratta della stessa città ma in due luoghi diversi: una si trova nel mezzo di una pianura e l’altra sulla curva di un crinale montuoso.
Timgad, situata nella pianura che si estende dal massiccio degli AURES verso il deserto, si presenta come l’esatta trascrizione del tipo ideale grazie alla regolarità del suo tracciato: due assi incrociati ne orientano la struttura urbana rispetto ai punti cardinali, il sistema reticolare di strade disposto secondo le direttrici degli assi genera gli isolati quadrati, nei quali si assembrano gli edifici residenziali, mentre quelli pubblici si concentrano intorno al foro, collocato in posizione centrale.
Al contrario, Djemila, più vicina alla costa, si innalza su un sistema collinare dalla topografia ondulata, non sembra a prima vista obbedire fedelmente alle leggi del tipo.
La sua forma è il risultato dell’adattamento alla topografia del luogo ed esclude qualsiasi impressione di precisione geometrica o di ordine prefissato.
Un’osservazione più attenta permette di individuare nella struttura di Djemila la stessa idea di città che Timgad esibisce in modo trasparente.
Il cardo maximum, che si struttura come la strada principale, corre lungo il fianco del monte e vede tangenzialmente ad esso disposto il foro, ed ortogonalmente il decumano, in questo caso di lunghezza minore date le condizioni topografiche e l’interruzione che gli impone il tempo di Venus Genetrix; le insulae, pur non essendo quadrate, ma allungate nel senso delle curve di livello, tendono però alla regolarità.
Timgad e Djemila obbediscono alla stessa disposizione logica degli elementi e sono governate da identici principi di strutturazione formale. Eppure il luogo produce una completa diversità tra le due realtà.
A volte l’architettura obbedisce a regole fissate con una precisione tale che i requisiti cui deve rispondere appaiono inscritti in uno schema formale che in qualche modo già prefigura l’edificio. E’ il caso dei monasteri di alcuni ordini religiosi, in cui la “regola” che dirige la vita conventuale si traduce nella stessa regola architettonica.
Però, la relazione con il luogo in cui l’edificio viene a situarsi, impone modifiche nella norma, variazioni e compromessi che tendono a contraddistinguere l’edificio, tanto da renderlo una componente del luogo, indissociabile da esso. Pensiamo per esempio al rigido schema formale cui obbediscono le costruzioni dell’ordine dei Certosini.
Al di là di questa pretesa rigidità della regola, ciascuna delle certose, manifesta una propria spiccata individualità. In ognuna di esse la posizione geografica, la topografia del terreno, la delimitazione del convento, il rapporto con le coltivazioni circostanti, le condizioni idrografiche, l’orientamento del viale d’accesso, modellano l’edificio e vi lasciano impresse le proprie tracce.
Alla fine del XIX Sec. l’uniformità e la linea retta divengono le virtù della moderna metropoli, omogeneizzando i caratteri dei luoghi.
Allo stesso tempo prende forma un’architettura contestuale che declina i caratteri dei luoghi e ricerca il primato dello spazio urbano.
Camillo Sitte alla fine del XIX secolo attraverso il suo libro L’Urbanistica secondo i suoi fondamenti estetici esemplifica un interesse per la forma della città e lo spazio pubblico proponendo una nuova attenzione ed un’interpretazione topografica per i luoghi della città.
Il lavoro del Primo Movimento Moderno pur se tutto teso alla ricerca di nuovi vantaggi di salubrità, di igienicità, di efficienza che gli standards della nuova società industriale imponeva, non rinunciava alla interpretazione dei luoghi ed al dialogo con l’ambiente preesistente. Ne sono un esempio paradigmatico la Siedlung Romerstadt di Ernst May a Francoforte e il quartiere Kiefhoek a Rotterdam di J.J.P. Oud, dove il rapporto tra luogo ed architettura viene declinato mediante il dialogo tra tipi ideali e condizioni contestuali.
Other Placeholder: Altra testimonianza significativa degli anni Venti della nuova maniera di pensare l’urbanistica senza però perdere di vista l’identità dei luoghi, restituendo uno spessore ed un senso all’architettura ed allo spazio pubblico nella città, è il quartiere della GEHAG di Bruno Taut a Berlino-Britz. Il nuovo insediamento residenziale per 1000 alloggi viene concepito costruendo in rapporto al luogo e alle sequenze degli spazi pubblici una struttura urbana eterogenea e differenziata capace di determinare significative relazioni spaziali tra residenze e spazi aperti, creando continuità e chiarezza tra architettura, topografia ed articolazione dei luoghi.
Il Plan Voisin di Le Corbusier per la ristrutturazione del centro di Parigi, una radicale ipotesi urbanistica, prevedeva la demolizione di tutta la parte storica della città che va da Saint Gervais all’Etoile.
Solo le antiche chiese venivano risparmiate rimanendo isolate nel parco e la tradizionale edilizia residenziale veniva sostituita da grattacieli a croce. E’ il modo diverso di concepire il suolo che permette l’alternativa alla città ottocentesca: lo spazio della città, fino ad allora plasmato dagli isolati in sistemi di strade e piazze, è governato dallo standard, dallo zoning, dai rapporti astratti tra volumi puri sotto la luce che dialogano tra loro e con il paesaggio lontano.
Le Corbusier teorizza e sperimenta nei suoi progetti la città del funzionalismo con grande tensione ideale. Ma nel realizzare le sue opere i luoghi, la loro struttura, la loro storia, la loro identità rimangono la dimensione ed il materiale fondamentali dell’architettura. Un edificio come l’Armé du Salut nel cuore della Parigi storica evidenzia il suo lavoro nel luogo, la sua capacità di restituire identità, spessore e senso degli spazi ‘tra le cose’ e ‘tra le case’.
1. Conoscenza e consapevolezza nel percorso didattico
2. Elementi e principi della composizione architettonica
3. La modellistica nel processo progettuale
4. Il processo progettuale: un esempio da Alvar Aalto
5. Tradizione e Innovazione: Brunelleschi e la cupola di Santa Maria del Fiore
6. Tradizione e Innovazione parte 2. Le Corbusier e l'Ospedale di Venezia
7. Tradizione e Innovazione parte 3. Sant'Agnese in Agone
8. Tradizione e Innovazione parte 4. Alvar Aalto e la sede della Enso-Gutzeit