Nell’antichità greca e romana solo i testi scientifici o tecnico-pratici talvolta nascevano come libri con figure e disegni dimostrativi.
I testi di Euclide, forse quelli di Tolomeo, furono accompagnati da immagini.
Gli altri classici – epici, didascalici, lirici, elegiaci, drammatici, storici, filosofici, declamatori e narrativi – nascono senza illustrazioni.
Ma nei primi secoli dell’Impero romano ha inizio la circolazione di libri illustrati contenenti opere greche e latine: si tratta di rotoli istoriati con disegni a penna.
La stessa colonna Traiana, sulla quale si snoda a spirale un rotolo istoriato, marmoreo e monumentale, rappresenta il diretto riflesso di un rotolo librario.
Un esempio significativo è offerto al riguardo dai carmi figurati latini: si tratta di testi a più dimensioni, che presentano un messaggio verbale ed uno iconologico, strettamente interdipendenti e quasi incomprensibili, se privati l’uno del supporto dell’altro.
Carmi figurati di Optaziano Porfirio (da Wikipedia)
Il carme figurato latino nasce grazie alla nuova tecnologia libraria che ha sostituito il codice al rotolo: con l’invenzione della pagina si sancisce l’autonomia di quello spazio di trenta – quaranta righe, che, oltre a costituire parte di un più ampio contesto, può essere un oggetto a se stante, non destinato ad essere sfogliato, ma ad essere esposto al pubblico come un quadro.
Diverse discipline e diverse tecniche – dalla calligrafia al disegno, dalla geometria alla chimica (per l’utilizzo di specifiche sostanze coloranti utili alla evidenziazione di versi o gruppi di parole), dalla matematica alla musica e alla retorica – concorrono alla realizzazione del carme figurato latino, la cui struttura segnala il tentativo di dare un preciso valore ad ogni parte e ad ogni aspetto materiale dell’informazione.
Il valore iconico della scrittura è documentato anche dalla terminologia greca: graphé significa scrittura, ma anche disegno, figura come procedimento atto a comunicare. Il nesso tra scrittura e figurazione non ricorre solo nel libro figurato ma anche nella scrittura figurata.
Sottesa a queste esperienze è la parola, colta nel fondamentale nesso iconico-linguistico come sistema comunicativo figurale e come sistema comunicativo linguistico, in cui la comunicazione figurale non si sovrappone, ma si incarna nel messaggio verbale.
La poesia visuale, dall’antichità al mondo moderno, è significativa esemplificazione del rapporto tra testo e immagine: un’ininterrotta linea di ricerca e di sperimentazione collega il De laudibus Sanctae Crucis di Rabano Mauro ai Calligrammi di Apollinaire, alle Parolibere futuriste, alle esperienze di avanguardia degli anni Sessanta e Ottanta del Novecento, fino agli ultimi tentativi di una poesia elettronica.
Il libro figurato si diffonde in età cristiana, e risponde a molteplici scopi: in primo luogo l’illustrazione ha il compito di adornare la parola sacra, che è raccolta in un libro concepito come oggetto di culto.
Durante la liturgia esso è portato con solennità, illuminato da un cero speciale e ossequiato attraverso il bacio sui capilettera miniati, prima e dopo la lettura del passo.
Ma oltre ad onorare la parola, l’illustrazione assolve uno scopo didattico, illuminando il significato della parola scritta. Rispondeva a questo scopo la tecnica usata nei “rotoli di Exultet“, provenienti dall’area culturale beneventano-cassinese e così chiamati dal lungo canto solenne intonato dal diacono durante la veglia di Pasqua, che ne costituiva il testo.
L’originale tecnica libraria che identifica questi rotoli liturgici del medioevo meridionale non consiste solo nella forma del rotolo – in un’epoca in cui il codice è di uso normale nelle pratiche della cultura scritta – ma soprattutto nell’allestimento di un ciclo di immagini creato ad hoc.
Nel rotolo testo e immagini si susseguono, ma le immagini sono capovolte rispetto al testo e precedono di parecchie righe l’episodio al quale fanno riferimento: era infatti previsto che il diacono svolgesse il rotolo di pergamena sopra il leggio, mentre i fedeli in ascolto di fronte a lui contemplavano le illustrazioni.
Il testo sottende dunque una duplice fruizione: il diacono canta l’orazione seguendone i segni grafici e la notazione musicale, mentre gli astanti, mano a mano che il rotolo viene svolto, si protendono verso le figure per seguire la scansione del rito pasquale: solo il rotolo, con i suoi fogli connessi l’uno all’altro e le sue sequenze decorative in verticale, poteva consentire un concatenarsi di scene, di gesti e di significazioni non interrotto dal “voltar carta” che il libro – codice impone.
Un’altra funzione svolta dalle immagini nei manoscritti di età cristiana è legata all’esegesi proposta al lettore monastico: le immagini si pongono come strumenti non verbali della stessa rivelazione trasmessa dalle parole in forma di suoni. La miniatura è concepita come un accompagnamento non estetico ma funzionale, e ha spesso un valore mnemonico. Gli ornamenti che fiancheggiano le righe collocano infatti le parole in spazi visivi sempre diversi e pronti a richiamare alla mente il testo che di volta in volta è inquadrato dai fregi.
Ma già nel corso del XIII secolo si dissolve la coerenza intrinseca che legava la riga alla sua miniatura: mentre la riga diviene un elemento costitutivo dei paragrafi, la miniatura – ispirata a una ornamentazione sempre più libera – si trasforma in un groviglio di creature fantastiche, spesso concepite come una sorta di narrazione parallela, ma talvolta prive di relazione intrinseca con il testo, o addirittura sentite come incoerenti rispetto a quello.
Diversamente dai “libri di Dio”, i classici pagani, i “libri di Cesare” – pur assai letti e ampiamente usati nelle scuole capitolari e in quelle legate alle cancellerie, o nei centri di insegnamento laici – risultano meno vistosi, perché destinati ad altri usi: non esibizione liturgica e collettiva, ma fruizione personale di esperienze letterarie.
Lungo un itinerario di secoli e spazi geografici, che ha visto nascere, sopravvivere, scomparire o rinascere assetti del sapere, culture, tecniche librarie, tendenze del gusto molteplici e diverse, il testo scritto e le immagini si sono uniti, talvolta contrapposti, nei vari linguaggi e nelle diverse forme espressive.
Non è facile fare previsioni sui cambiamenti che interverranno nei prossimi decenni, ma l’esperienza del passato ci aiuta a capire che non si attuerà la scomparsa della parola scritta: piuttosto, all’interno dello “spazio” informatico, immagine e scrittura saranno nuovamente passibili di una ridistribuzione funzionale dei ruoli, interagendo variamente tra loro e dando luogo a nuovi sistemi simbolici.
Occorre ricordare che la scomparsa delle immagini dai libri di testo destinati alla scuola è dovuta a ragioni esclusivamente economiche, dato l’altissimo costo della riproduzione fotografica, in particolare a colori, nella stampa.
In questa prospettiva, le potenzialità del multimediale sono straordinarie soprattutto per la didattica, perché permettono di integrare nello stesso spazio realtà che finora appartenevano a mondi poco o per nulla comunicanti.
Si possono così mostrare immagini pertinenti, elaborare cronologie che offrano lo sfondo o il quadro sinottico a opere, problemi e autori, collocare ogni elemento e ogni vicenda nello spazio, attraverso un atlante correlato.
Tra i molteplici aspetti dell’utilizzo didattico e divulgativo delle immagini, mettiamo a fuoco in questa lezione il rapporto tra parola e immagine. Questo rapporto permette di collegare l’apprendimento linguistico alla conoscenza del mondo che ha utilizzato la lingua latina per esprimersi.
Lo studio delle parole correlate alle immagini consente di individuare nei testi gli elementi che caratterizzano la cultura latina, collegandola anche con altre manifestazioni, quali ad esempio le opere artistiche e architettoniche, la toponomastica, le istituzioni. Questi elementi sono definiti, nella storia degli studi classici, Realien: a loro fa riferimento il titolo della Real-Encyclopädie der classischen Alterthumswissenschaft, la grandiosa opera enciclopedica ottocentesca di Pauly e Wissowa.
Peraltro, un metodo didattico che abbina parola e immagine era stato oggetto della proposta formulata da Comenio nell’ambito della Didactica Magna, successivamente concretizzata nell’opera Orbis Sensualium Pictus, del 1658: questo libro si configurava come una piccola enciclopedia che aveva l’intento di mostrare il sapere di base, organizzandolo in base al criterio didattico della stretta consequenzialità tra immagini e parole.
In tempi a noi recenti, il concetto di “cultura materiale”, nato nell’ambito della cosiddetta scuola delle “Annales”, fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre, è entrato a far parte del gergo quotidiano degli storici, e ha trovato applicazione anche in riferimento all’insegnamento delle discipline classiche, promuovendo una diffusa attenzione verso gli aspetti della vita quotidiana degli antichi.
Quale posto devono o possono occupare i Realien e la cultura materiale nell’insegnamento del latino?
La lettura dei testi classici ha un significato che travalica i limiti del mondo antico e ha fecondato la civiltà europea con una straordinaria qualità artistica e intellettuale; eppure, accanto ai valori, alle idee e ai concetti, è utile esplorare argomenti e problemi che rimandano alla realtà materiale del mondo antico, alla sua sopravvivenza nelle nostre città e nel nostro immaginario.
In un prospettiva didattica, il latino – come tutte le altre discipline – è lo strumento attraverso il quale la Scuola forma una comunità di uomini e donne.
Il rapporto con lo spazio che ci circonda e con la storia che alimenta il nostro presente è vitale per le nuove generazioni, che devono acquisire e condividere una memoria collettiva.
Un insegnamento che tenti di accostare la parola all’immagine non è inteso ad accumulare i dati, ma cerca di ritrovare i legami che uniscono i diversi elementi di una civiltà perduta, di comprendere i concetti operativi che la organizzavano, di coglierne le strutture implicite e le stesse strategie visuali e rappresentative.
Le grandi opere della tradizione classica e i monumenti architettonici che ci sono stati tramandati sono generalmente percepiti come gli elementi più stabili della nostra cultura, presentandosi come uno dei principali strumenti di dialogo tra noi e le passate generazioni.
Occorre presentare e proporre queste opere in modo che la visita al museo o la lettura di un testo diventino il momento culminante di un incontro più duraturo, adeguando l’offerta culturale alle trasformazioni e alle nuove richieste, a un concetto di cultura come ‘esperienza’ da considerare anche in termini di valore e di identità.
Le presentazioni multimediali, che uniscono l’elemento iconico a quello verbale, si prestano efficacemente a proporre una didattica di forte innovazione.
Nei link in basso è presente una sequenza illustrativa di uno strumento di presentazione multimediale particolarmente agile e versatile: il PowerPoint.
Un esempio applicativo di questo strumento, in relazione al tema oggetto di questa lezione, è offerto nella sequenza intitolata Ferculum.
Le immagini: trattamento e uso
1. Il ruolo del docente nell'utilizzo delle TIC. Risorse e banche dati
3. La ricerca on-line per i docenti e per gli studenti
4. Allestimento e uso di materiale didattico al computer
6. Le immagini: la valenza didattica
7. Le immagini: trattamento e uso
8. Siti Web: spazi di condivisione didattica
10. Studio di casi