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Fabio Ferraro » 6.Diritti Fondamentali


Diritti fondamentali e Trattati istitutivi

  • In origine i Trattati istitutivi delle Comunità Europee (Trattato CECA – Parigi 18 aprile 1951, Trattato CEE e Trattato Euratom – Roma 25 marzo 1957) non contenevano riferimenti ai diritti fondamentali
  • Facevano eccezione solo alcune libertà individuali (di circolazione – art.39 Trattato CE, di stabilimento – art.43 Trattato CE, di prestazione dei servizi – art. 49 Trattato CE) sancite all’interno dei Trattati nei limiti in cui si rendevano necessarie alla realizzazione del mercato comune
  • A fronte del trasferimento di poteri dagli Stati membri alla Comunità, l’assenza di un sistema di protezione dei diritti fondamentali a livello comunitario si dimostrò tale da esporre i singoli al rischio di una riduzione di tutela, non essendo applicabili alla Comunità le forme di protezione dei diritti dell’uomo garantite dalle costituzioni nazionali o dagli accordi internazionali ai quali gli Stati membri aderivano.

I diritti dell’uomo nella prima giurisprudenza della Corte di giustizia

In una prima fase dall’entrata in vigore dei Trattati, la Corte di giustizia ha sostenuto l’irrilevanza sul piano comunitario dei diritti fondamentali garantiti nelle Costituzioni degli Stati membri.

Esempi di tale orientamento giurisprudenziale si ritrovano nelle sentenze:

  • Stork (1959);
  • Uffici di vendita del carbone della Ruhr (1960);
  • Sgarlata (1965)

In effetti, l’organo giurisdizionale comunitario si preoccupava di affermare l’autonomia e la preminenza del diritto CE sul diritto nazionale, mentre considerava che il carattere strettamente economico dell’ordinamento sovranazionale avrebbe di fatto impedito il nascere di contrasti tra atti comunitari e diritti fondamentali.

Le reazioni delle Corti costituzionali italiana e tedesca

Proprio l’affermazione del principio del primato da parte della Corte di giustizia mise però in allarme le Corti costituzionali italiana e tedesca le quali temevano che dalla applicazione della normativa comunitaria potesse derivare una lesione, anche solo occasionale, dei diritti fondamentali consacrati nelle Costituzioni dei rispettivi Stati.

Entrambe le Corti affermarono che le norme costituzionali a protezione dei diritti fondamentali della persona umana non avrebbero potuto subire deroghe e che anche gli atti adottati dalle istituzioni comunitarie avrebbero dovuto rispettarle.

Il nuovo orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia

La soluzione prospettata dalle due Corti rappresentava un “attentato” al carattere unitario del diritto comunitario. Infatti, un atto delle istituzioni, se giudicato in contrasto con i diritti fondamentali protetti dalla Costituzione italiana o tedesca non avrebbe più trovato applicazione in Italia o in Germania, pur restando applicabile negli altri Stati della Comunità.

Per porre rimedio a questa situazione la Corte di giustizia decise di recuperare in via giurisprudenziale una tutela dei diritti umani nelle situazioni in cui rileva il diritto comunitario e non solo la disciplina interna.

Essa, in particolare, ha affermato che i diritti fondamentali della persona fanno parte dei principi generali del diritto CE di cui la Corte garantisce l’osservanza (Sentenza Stauder, 1969) e che, non essendoci all’interno dei Trattati Ce un catalogo di diritti umani da tutelare, i diritti riconosciuti sono quelli che si ricavano

  • dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (v. sentenza Internationale Handelsgesellschaft, 1970) e
  • dalla CEDU (v. sentenza Rutili 1975).

La svolta del Trattato di Maastricht e le innovazioni introdotte dal Trattato di Amsterdam

Con il Trattato di Maastricht (TUE) del 7 febbraio 1992, il tema della tutela dei diritti umani trova finalmente riconoscimento sul piano normativo.

Infatti, la giurisprudenza della Corte di Giustizia viene formalizzata nell’art. 6 Trattato UE.

Tale articolo, dopo aver sancito al par. 1 che L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo (…) principi che sono comuni agli S.M, al par. 2 recita: l’Unione rispetta i diritti fondamentalii quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri in quanto principi generali del diritto comunitario.

Il Trattato di Amsterdam introduce forme di garanzia differenziate a seconda che si tratti di tutelare i diritti fondamentali lesi da uno Stato membro in violazione dell’art. 6, par.1 o da un’istituzione comunitaria, in violazione dell’art. 6, par.2.

Il meccanismo sanzionatorio a tutela dell’art.6, par.1, è configurato nel successivo Art. 7 Trattato UE che dispone:

Il Consiglio può constatare l’esistenza di una grave violazione dei principi ex. art. 6, c.1, da parte di uno S.M.ed eventualmente sospendere tale Stato dall’esercizio di alcuni diritti.

Il meccanismo sanzionatorio a tutela dell’art.6, par.2, è configurato nell’Art. 46 Trattato UE in base al quale: La CGCE è competente a verificare la conformità delle azioni poste in essere dalle istituzioni CE al rispetto dei diritti fondamentali.

L’ipotesi di adesione della Comunità alla CEDU

Anche dopo Maastricht e Amsterdam l’U.E. rimase priva di un proprio catalogo scritto dei diritti fondamentali. Nel dibattito dottrinale sono avanzate 2 ipotesi:

  1. L’adesione dell’U.E. alla CEDU;
  2. L’elaborazione di una Carta dei diritti fondamentali propria dell’U.E.

Quanto alla prima ipotesi, l’adesione avrebbe presentato diversi vantaggi, consentendo di:

  • sostituire alla genericità ed occasionalità dei riferimenti utilizzati dalla CGCE il rispetto sostanziale dei diritti contenuti nella CEDU;
  • sottoporre la Comunità ai meccanismi di controllo instaurati dalla CEDU (che prevedono l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo ogni volta che un individuo e non solo uno Stato propongano ricorso per una presunta violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione);
  • ampliare le vie di ricorso aperte ai singoli individui all’interno dell’ordinamento CE, permettendo loro di contestare la legittimità degli atti comunitari, anche di portata generale, lesivi dei diritti fondamentali.

L’ipotesi di adesione della Comunità alla CEDU II

Nel parere 2/94, adottato il 28 marzo 1996, la Corte dichiarò l’assenza di competenza della Comunità per aderire alla CEDU, aggiungendo che tale adesione sarebbe stata possibile solo mediante una revisione dei Trattati.
Il parere in qualche modo contribuì ad archiviare l’ipotesi di adesione alla Convenzione, mentre diede nuovo slancio all’idea di dotare l’UE di un proprio Bill of rights.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

In base al sistema di protezione dei diritti umani che si viene a delineare sul piano comunitario è facile verificare che alla Corte è riservato un ruolo determinante: l’assenza di un catalogo scritto di diritti da tutelare comporta che ad essa spetti il compito di individuare quali diritti considerare fondamentali alla luce delle tradizioni costituzionali comuni e dei trattati internazionali e di delinearne il contenuto e la portata.
Ciò potrebbe rendere poco trasparente il sistema, anche se fin’ora il giudice comunitario ha fornito una risposta adeguata all’esigenza di tutelare i diritti fondamentali.

Ad gni modo, per ovviare a questi problemi, il Consiglio europeo di Colonia, del 3-4 giugno 1999, decide di dotare la Comunità di un proprio catalogo dei diritti umani. A tal fine, esso promuove l’elaborazione di una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La redazione del testo è affidata ad un organismo appositamente creato, la Convention, composta da 15 rappresentanti dei Capi di Stato e di Governo, 1 rappresentante della Commissione, 16 componenti del Parlamento europeo e 30 membri dei Parlamenti nazionali.

Il 7 dicembre 2000, in apertura del Consiglio europeo di Nizza, la Carta viene solennemente proclamata ad opera del Consiglio, del Parlamento e della Commissione, senza che ad essa sia conferito valore giuridico vincolante.

Il contenuto della Carta e i suoi rapporti con la CEDU

La Carta è tuttora priva di efficacia vincolante. Tuttavia, la solennità del processo di elaborazione e l’ampiezza di consensi che il suo testo ha riscosso ne hanno fatto uno strumento interpretativo privilegiato per ricostruire la portata dei diritti fondamentali protetti in ambito comunitario.
Il Tribunale di primo grado ha più volte evocato alcuni articoli della Carta (v. sentenza Jégo-Quéré,2002), mentre la Corte, più cauta in passato, ha solo di recente iniziato a farvi riferimento (v.sentenza Parlamento c. Consiglio, C-540/03, 2006).

La Carta è condensata in 54 articoli.

Dignità (1-5) – Solidarietà (26-38)

Libertà (6-19) – Cittadinanza (39-46)

Uguaglianza (20-25) – Giustizia (47-50)

In particolare, l’art. 52, par. 3, definisce il rapporto tra la Carta e la Cedu, stabilendo che il livello di protezione assicurato a quei diritti presenti in entrambi i testi non può essere più basso di quello garantito dalla CEDU, considerata alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Resta salva la possibilità che la Carta stabilisca un livello di tutela più elevato o che tuteli diritti non protetti affatto dalla CEDU (v. art.53).

La responsabilità degli Stati membri di fronte agli organi della CEDU

La mancata adesione formale della Comunità alla CEDU ha lasciato irrisolti i problemi connessi alla responsabilità degli Stati membri di fronte agli organi della CEDU in conseguenza di attività delle istituzioni CE o di attività poste in essere dagli Stati membri in esecuzione di norme comunitarie.

Il problema sembra aver trovato una sistemazione organica solo di recente, con la sentenza Bosphorus c. Irlanda, adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 30 giugno 2005.

In essa la Corte afferma che gli Stati membri che abbiano trasferito alla CE taluni poteri sovrani non sono sottratti all’obbligo di rispettare i diritti tutelati dalla CEDU.
Tuttavia, essa non intende esercitare il proprio controllo riguardo ad ogni attività intrapresa da uno Stato in attuazione degli obblighi derivanti dalla sua appartenenza alla CE.

In proposito essa distingue due ipotesi.

  1. i casi in cui manca ogni discrezionalità in capo allo Stato membro, che si limita ad attuare atti della CE: la Corte considera il suo intervento non necessario giacché parte dall’assunto che la CE tuteli i diritti fondamentali in modo equivalente a quello della CEDU. Solo laddove fosse dimostrato il contrario permarrebbe la responsabilità dello Stato ed il conseguente intervento della Corte di Strasburgo.
  2. i casi in cui sussiste un margine di discrezionalità in capo agli Stati membri nel dare attuazione agli obblighi CE: la Corte considera gli Stati pienamente responsabili e quindi tenuti a rispondere di una violazione della CEDU.

I materiali di supporto della lezione

Sentenza della Corte di giustizia del 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, in Racc., p. 1839, punti 28-33

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Progetto "Campus Virtuale" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, realizzato con il cofinanziamento dell'Unione europea. Asse V - Società dell'informazione - Obiettivo Operativo 5.1 e-Government ed e-Inclusion

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