Nell’ultima lezione abbiamo concluso la nostra ricognizione sulle architetture costruite, con uno sguardo circolare su alcuni fenomeni architettonici e urbani ben rappresentativi del mondo contemporaneo.
A confronto con quell’immenso serbatoio di ricchezze che abbiamo incontrato precedentemente, percorrendo il tempo storico in tutte le epoche dall’antichità fino al passato più recente, abbiamo riscontrato fenomeni nuovi. I prodotti delle costruzioni umane dell’epoca contemporanea sembrano obbedire a leggi diverse da quelle che abbiamo conosciuto nel corso della storia di millenni.
I “corpi” costruiti non hanno più “scala umana” e non sono più antropomorfi. I modelli di sviluppo sono quelli di una crescita non più organica e misurata, ma seriale e potenzialmente infinita. Gli interventi non appaiono più proporzionati ai territori ed ai luoghi, e caratterizzati da identità culturali, ma vengono attuati ovunque in modi uniformi, ripetitivi, e tendenti all’appiattimento del mondo. Tutto ciò accade pagando un prezzo altissimo in termini di sofferenze umane (politiche, economiche, sociali, culturali) e consumo di energie e risorse non rinnovabili del pianeta terra.
In questo scenario, l’architettura sembra doversi ridurre ad uno spettacolo pirotecnico, libero da ogni responsabilità antropologica e ambientale, da mettere in scena al fine esclusivo di celebrare il mercato ed il potere.
«Mai come adesso l’architettura è di moda.
Nelle riviste, nei quotidiani, in televisione le opere delle superstars dell’architettura sono oggetto della curiosità di lettori che prima erano completamente digiuni in materia.
Eppure mai come adesso l’architettura è lontana dall’interesse pubblico: incide poco e male sul miglioramento della vita della gente. A volte ne peggiora le condizioni dell’abitare.
Questo accade perché l’architettura è diventata un gioco autereferenziale, tutta incentrata sulla “firma”, sulla “genialità” del singolo architetto, genialità che è quotata nella borsa della moda al pari di qualunque brand.
Gli architetti si rifugiano in una artisticità che li esclude da qualunque responsabilità. Purtroppo ad essi spesso viene affidata la trasformazione di interi pezzi di città. Trasformazioni che spesso compiono con incompetenza, superficialità e convinti che si tratti di un gioco formale.
Ma le città funzionano diversamente. Sono il territorio profondo si cui agisce l’inconscio collettivo, sono il luogo delle appartenenze e dei conflitti.
…
Abbandonare le archistar al loro egoismo… Accettare che l’architettura abbia esaurito la sua funzione. Oggi c’è bisogno d’altro».
(Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri 2008)
« … Accettare che l’architettura abbia esaurito la sua funzione. Oggi c’è bisogno d’altro» : le mutazioni del mondo contemporaneo sono così profonde che fanno traballare le fondamenta disciplinari dell’Architettura, mettendone in discussione – a fronte della mutazione dei saperi – lo statuto; e – a fronte della mutazione delle tecniche – l’utilità.
Qui si comprende come sia assolutamente necessario lo sviluppo di un nuovo pensiero creativo in Architettura, capace di confrontarsi con i grandi temi del mondo contemporaneo.
In questa lezione cercheremo di indicare alcuni temi che potrebbero essere sviluppati come spunti di grande interesse per lo sviluppo di un nuovo pensiero creativo in architettura:
Nelle lezioni precedenti a questa, guardando all’Architettura, secondo la tradizione culturale mediterranea-europea, come ad un’ “arte”, e come ad un “corpo”, abbiamo seguito l’analogia antropomorfa.
Abbiamo osservato che le case e le città del passato antico e recente sono dotate di misure percepibili e di una struttura interna di tipo organico (cioè disomogenea, anisotropa, dotata di gerarchie e funzioni integrate).
Abbiamo rilevato che queste architetture sono dunque percepite, consciamente o inconsciamente, come assomiglianti al corpo umano: come aventi membrane di confine, simili alla pelle (mura, recinti); membra, simili a teste (tetti), facce (facciate), braccia (ali, portici, colonnati), occhi (finestre), bocche (porte), orifizi di scarico (fogne); organi interni, simili a cervelli (piazze civiche) e apparati nervosi, cuori (piazze religiose e luoghi identitari) e apparati circolatori, stomaci (mercati) e apparati digerenti.
Guardando ora alle costruzioni edilizie ed urbane delle metropoli e megalopoli contemporanee, osserviamo che:
A fronte di questo tipo di corpi, il nostro immaginario crea analogie non più con il corpo umano, ma piuttosto con immagini ultra-umane e infra-umane.
Dall’interno di una metropoli non si percepisce più l’esterno.
Lo spazio delle metropoli è un interno globale. Lo spazio delle metropoli è uno spazio sovrasaturo.
Lo spazio dell’habitat contemporaneo (metropoli e megalopoli) viene così percepito: in modo esaltante e “progressivo”, come simile nella sua organizzazione ad un tessuto cerebrale (nella sua semplificazione cibernetica); oppure, in modo deprimente e “regressivo”, come simile ai grandi nidi collettivi degli insetti (formicai, termitai).
I circuiti elettronici integrati mostrano una organizzazione reticolare secondo assi ortogonali, che condivide con i tessuti metropolitani l’esigenza di massimo sfruttamento di un suolo prezioso.
I nidi delle termiti sono parallelepipedi uguali fra loro e tutti orientati nelle stesse direzioni, che condividono con le tipologie architettoniche dei grandi habitat contemporanei l’esigenza di alloggiare un massimo numero di individui in un minimo volume.
Abitante delle metropoli e megalopoli del mondo contemporaneo non è più la persona umana, ma la folla. La folla dei concerti rock, delle manifestazioni politiche e religiose, degli stadi.
Lo sviluppo contemporaneo delle costruzioni nel mondo ha prodotto negli ultimi venti anni nuovi fenomeni funzionali e nuove tipologie architettonico-urbane (che non a caso spesso hanno nomi internazionali).
Esempi di nuove tipologie sono i grandi scambiatori di traffico (transit hubs), i megacentri commerciali (megastores, shopping centers), i campi profughi.
Questi tipi di spazi hanno in comune due caratteristiche essenziali:
In essi si incrociano grandi numeri (milioni) di esseri umani, ma senza entrare in relazione diretta fra loro. In essi si può sostare anche a lungo, ma non si “abita”.
L’utenza di questi spazi è così grande che subisce una mutazione irreversibile: non può più essere definita come somma di tante utenze umane individuali (persone), deve essere definita e pensata come utenza di masse umane che valgono nel loro complesso come corpi unitari, immensi e magmatici (folle).
Spazi non più abitati, ma solo attraversati; e non più da persone umane, ma da folle: questi nuovi tipi di cose non hanno ancora un nome, vengono ancora definiti semplicemente in negativo, in base all’assenza in essi delle qualità antropologiche note.
Per poter ragionare su di essi, si è dato ad essi questo nome: “nonluoghi“.
Foster & Partners. L'aereoporto di Heathrow. Immagine da Architettura ecosostenibile
Il concetto di “nonluogo” è stato messo a punto da Marc Augé (Poitiers 1935), antropologo ed etnologo francese, derivandolo da quello di “luogo”.
La produzione di nonluoghi è propria della nuova epoca della storia umana: quella Marc Augé definisce epoca della “surmodernità“.
La condizione della “surmodernità” viene definita da Marc Augé con tre “figure dell’eccesso”:
La surmodernità crea compresenza e commistione generalizzata di eventi, immagini, valori, in assenza di qualsiasi gerarchia, criterio d’ordine, selezione, controllo.
La surmodernità estende enormemente il campo e la quantità delle informazioni, dei contatti, delle opportunità.
La surmodernità accelera enormemente la velocità delle transazioni ed il consumo.
In questa condizione non è più possibile l’approfondimento delle conoscenze, sostituito dall’estensione superficiale e potenzialmente infinita di esse.
« E’ cambiato il modo di fare esperienze (…) L’esperienza oggi è qualcosa che ha forma di stringa, di sequenza, di traiettoria: implica un movimento che inanella punti diversi dello spazio del reale: è l’intensità di quel lampo» (…) la profondità « è ormai un’ingiustificata perdita di tempo».
(Alessandro Baricco, I barbari. Saggio sulla mutazione, Feltrinelli, Milano 2006)
La surmodernità sembra così azzerare tutti i valori ereditati dal passato, e creare una condizione di totale “barbarie“.
In realtà la surmodernità mette semplicemente quei valori tutti sullo stesso piano.
Consente così immensi processi di acculturazione, in cui tutte le componenti si sommano senza elidersi.
Da tutto ciò parte il XXI secolo.
1. Creatività
3. Misure
4. Abitare
5. Corpi
6. Gesti
8. La mutazione
Donatella Mazzoleni La città e l'immaginario, Officina, Roma 1985
Donatella Mazzoleni Ciclope in: Marisa Galbiati (a cura di) Proiezioni urbane, Tranchida, Milano, 1989
Marc Augé Non-lieux, 1992; t.i. Nonluoghi: introduzione a un'antropologia della surmodernità, Eleutheria, Milano 1996
Marc Augé Le temps en ruines, 2003; t.i. Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino 2003
Franco La Cecla Contro l'architettura, Bollati Boringhieri, Torino 2008
Donatella Mazzoleni L'architettura e le sue meraviglie, conferenza nel ciclo “Come alla Corte di Federico II”, marzo 2008, in Come alla Corte di Federico II
Donatella Mazzoleni Intervista sull'architettura, a cura di Antonio Dentale, in: AA.VV. Transiti d'arte. Dall'avanguardia al contemporaneo, in corso di pubblicazione