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Giuseppe Cacciatore » 6.Località e Poesia


L’Essere: ciò che non è e ciò che è

Non è:
Dio, fondamento del mondo, cosa.

1) L’Essere è ciò che è più vicino all’uomo di ogni ente, ma questa vicinanza resta come ciò che è più lontano
2) L’Essere è radura
3) L’Essere è rapporto

1) Che la vicinanza resti come lontananza è dovuta alla possibilità del misconoscimento che in Essere e tempo appariva come un tratto strutturale dell’esistenza: il decadimento [Verfallen] e che in Sull’essenza della verità era la minaccia cui l’uomo era ineluttabilmente sottomesso: l’errore come insistere sull’ente dimenticando il mistero dell’oscurità.

2) Radura [Lichtung] è l’ombra del bosco che può proiettarsi solo se nasconde la luce del sole che dall’ombra si sottrae. L’assentarsi dell’essere (luce) rispetto all’ente (ombra) è ciò che consente all’ente di essere e di presentarsi.
3) L’Essere è rapporto in quanto è la località che raccoglie in sé l’esistenza.

Radura e toccare e-motivo

L’essere è radura perché consente una veduta dalla quale «ciò che è presente tocca [be-rührt] l’uomo che viene alla sua presenza in modo tale che solo nell’apprensione (Vernehmen) (noein) l’uomo stesso può toccare (thighein) l’essere» [Lettera, p. 58].
Il verbo rühren non indica un semplice toccare [come lo indicherebbe il verbo tasten], ma un toccare emotivamente intonato che produce affezione, commuove, muove.
Jean-Luc Nancy [L'«etica originaria» di Heidegger, p. 30] trova qui la spia della connessione tra il tema dell’autoaffezione originaria, considerata fuori dalla sfera della coscienza, e il tema di un ethos originario: «l’esistenza si tocca, cioè si “muove”, si mette in movimento fuori di sé e subisce affezioni da parte del suo proprio ek. L’agire, questo agire del “toccare” è, quindi, ciò che è in gioco nell’essere di “cui ne va”».
Non è la coscienza a rendere l’uomo aperto all’essere, ma è la coscienza a scaturire da questa apertura originaria all’essere.

J.-L. Nancy. Imamgine da: Wikimedia Commons

J.-L. Nancy. Imamgine da: Wikimedia Commons


L’uomo pastore dell’Essere

Che la figura del pastore non abbia a che fare con la conduzione di un gregge ma con una condotta essenziale lo rivela il riferimento che Heidegger [Lettera, p. 56], mostrando un altro punto di continuità nella svolta, fa all’esistenza estatica come cura.
Il pastore sta nel destino della verità. Ciò significa assumere il compito della custodia della verità che l’Essere consegna all’uomo.
Il nesso tra verità e custodia è da Heidegger ricondotto all’etimologia del termine tedesco Wahrheit [verità], che deriverebbe dall’etimo war che significa “custodia”, da cui bewahren (custodire), verwahren (preservare), gewahren (salvaguardare).
La custodia è nello stesso tempo la cifra della povertà e della dignità dell’Esserci.
Povertà: rispetto all’uomo che si concepisce come soggettività e quindi come padrone dell’essere.
Dignità: nel senso che l’uomo si riappropria non dell’essere, che resta sempre un dono in-appropriabile, ma del suo rapporto all’essere, quindi della sua essenza che consiste nell’abitare nella vicinanza dell’essere, custodendone l’apertura.

Il luogotenente del nulla

L’apertura è la nullità di contenuto che riguarda non solo l’Essere ma anche l’Esserci, per cui l’uomo è anche il “luogotenente del nulla”.
I termini custodire, vegliare, cura del pastore indicano una condotta, ovvero quel desiderio/potere del fare senso in attesa che l’ente compaia nella luce dell’essere.
L’attesa è muta e il lasciar essere è anche un velare.
Lasciar essere l’ente così come esso è, senza sovrapporvi un ordine categoriale per porselo davanti e quindi dominarlo (Tecnica), significa accoglierlo per rivelare l’essere.
Lasciar essere l’ente quindi non ha nulla a che fare con l’astensione, con la rinuncia e con l’indifferenza. Anzi, si tratta dell’esposizione dell’Esserci nell’essere che l’ente svela.

Essenza del linguaggio e modello animale

L’interpretazione metafisica del linguaggio è analoga all’interpretazione metafisica dell’uomo: il linguaggio viene pensato in base alla corrispondenza con l’essenza dell’uomo inteso come animal rationale, ovvero come unità di corpo, anima e spirito.
Forma fonetica e segno scritto: corpo della parola.
Melodia e ritmo: anima.
Significatività: spirito.
L’interpretazione metafisica occulta al linguaggio (e all’uomo) la propria essenza, ne chiude l’apertura che è corrispondenza all’essere.

L’essenza del linguaggio è vicinanza non invadente.
Il linguaggio non è una facoltà dell’uomo ma l’elemento in cui la condotta dell’uomo si rivela come condotta di senso.
Il linguaggio è un interrogare capace di esperire. Esso, facendo un passo indietro, esperisce il senso dell’essere, che non è questo o quel senso ma l’essere come senso, l’essere come il trascendente puro e semplice.
Il linguaggio è etico in quanto si assume la responsabilità della trascendenza dell’essere.
Il linguaggio è casa dell’essere e dimora dell’uomo, non perché sia l’alloggio di un senso designato, ma l’evento [Ereignis] stesso del senso.
Casa e dimora sono l’essere inteso come dimensionalità in cui si iscrive ogni determinazione spaziale e spazio-temporale.

Lo spazio e la svolta

In un breve scritto dal titolo L’arte e lo spazio, Heidegger concepisce lo spazio come fenomeno originario.
Lo spazio non è ricondotto ad altro.
L’accadere della verità è “fare spazio”, come libera donazione di luoghi. Ma non sempre è necessario che il vero prenda corpo.
Lo spazio ha a che fare con la prossimità.
La forma d’arte considerata nello scritto è la scultura come rapporto tra corpo e vuoto, come oscillazione tra luogo e contrada. Nel farsi corpo della scultura, il vuoto entra in gioco nel modo dell’instaurare luoghi di cui progetta l’apertura (contrada) per un possibile dimorare.
Senso positivo del vuoto: il vuoto porta allo scoperto.
Duplice significato del vuoto:
vuotare il bicchiere: raccoglierlo nel suo essere diventato libero
vuotare in una cesta i frutti raccolti: preparare per loro questo luogo.
Duplice significato dello spazio:
A) luogo: raccogliersi delle cose nella località del loro reciproco co-appartenersi
B) contrada: libera vastità in cui ogni cosa riposa semplicemente in se stessa.
La centralità dello spazio e la sua cooriginarietà con la temporalità è stata interpretata [E. Mazzarella, Tecnica e metafisica] come il vero senso della svolta.

L’essere «si dà»

La locuzione «l’Essere si dà» sostituisce la locuzione «L’Essere è».
Sebbene l’Essere sia l’unico ad essere in modo autentico, la sostituzione è motivata dall’esigenza di evitare la confusione tra Essere ed ente.
Il darsi indica una doppia concessione:

  • della verità [dell'essere]
  • della dimensione come luogo e contrada [l'essere è «il darsi all'aperto, unitamente all'aperto medesimo» (Lettera, p. 62)]

Il darsi dell’essere è un dono inappropriabile che diventa «mio» senza trattenere niente di colui che dà. «L’essere si dà e nello stesso tempo si nega» (ivi, p. 64).
L’essere non dà qualcosa ma è il lasciar essere attraverso cui qualcosa è.
Ciò che l’essere dà, e nella cui forma si dà, è il dover-fare senso dell’ente e nell’ente in totalità, è l’apparire dell’ente nella luce dell’essere.

Destino e storia

Heidegger gioca sull’assonanza tra Geschick (destino) e Geschichte (storia).
Il destino dell’essere è il fondamento e l’origine della storicità.
Destino dell’essere: presentarsi assentandosi.
La storia si articola nelle epoche.
L’essere è epocale nel senso che si rivela per epoche.
Ogni epoca, dopo un inizio caratterizzato da un massimo di rivelazione unita ad un minimo di occultamento, si conclude con un massimo di occultamento unito ad un minimo di rivelazione.
Physis: massima rivelazione dell’essere.
Volontà di potenza del soggettivismo moderno che trova il proprio compimento in Nietzsche: massimo occultamento.
La metafisica è un’epoca dell’essere: l’epoca della sua epochè, della sua sospensione, della sua assenza.
L’essere si è storicamente annunciato sottraendosi.
La storia della metafisica è essenziale alla storia dell’essere come epoca dell’annuncio della sua assenza.
L’età del mondo può consistere in una sventura: nella chiusura alla dimensione dell’essere [Lettera, p. 86].
La sventura annuncia una ventura che è il capovolgimento dell’epoca in una nuova rivelazione dell’essere, nell’avvento dell’evento (l’essere come Ereignis [evento]).
Quando Heidegger risponde alla domanda di Beaufret “Come ridare senso alla parola umanismo?”, distingue tra senso storico [geschichtlich] e punto di vista storiografico [historisch], e mostra come il primo sia più antico e affidabile del secondo.

Patria e spaesatezza

La patria non è pensata in termini patriottici o nazionalistici – ogni nazionalismo è un antropologismo, ovvero un soggettivismo – ma in un senso essenziale: come appartenenza alla storia dell’essere.
Ma siccome la storia dell’essere è la storia di un lasciar essere che si sottrae, pensare la patria comporta pensare la spaesatezza.
L’Occidente non è pensato come regione contrapposta all’Oriente, né come Europa, ma in base alla vicinanza all’origine.
Il carattere tedesco non è inteso come modello che il mondo dovrebbe seguire ma è un richiamo ai tedeschi affinché «nel destino che li lega agli altri popoli, entrino con loro nella storia del mondo» [Lettera, p. 68].
Il destino del mondo si annuncia nella poesia.
Spaesatezza: destino mondiale.
Il pensiero di Hölderlin è più essenziale, nel senso della provenienza e dell’avvenire, rispetto al cosmopolitismo di Goethe.

Risposta all’accusa di irrazionalismo

All’accusa di irrazionalismo sono connesse altre critiche che vedono nel pensiero di Heidegger l’opposizione a: umanismo, valori, mondo e Dio.
La negazione di ciò che è comunemente considerato come positivo viene interpretata come distruzione.
Eppure,

  • pensare contro la logica non significa gettarsi tra le braccia dell’illogico ma ripensare il logos. Le regole della logica sono derivate: esse sono regole solo se poggiano sulla legge dell’essere. – mettere in discussione il valore non significa considerare ogni cosa come priva di valore, ma rivendicarne la dignità contro l’oggettivazione che compie ogni valutazione, che in quanto tale è una soggettivazione
  • il rinvio all’essere-nel-mondo non significa espungere la trascendenza dall’uomo. Anzi, mondo è l’apertura dell’essere
  • il pensiero di Heidegger non è né ateo né teista. Partendo dalla verità dell’essere, Heidegger pensa l’essenza del sacro e, pensando l’essenza del sacro, pensa l’essenza della divinità

Ethos e soggiorno

Soggiornare:

  • nella vita quotidiana significa non lasciare che il nascondimento domini. L’uomo è abbandonato nel commercio quotidiano delle sue faccende. I progetti e i calcoli stabiliscono la misura dell’uomo e la sua soggettività diventa la misura di tutte le cose. Oblio del nascosto
  • nella Lettera, il soggiornare si configura come rammemorazione del mistero, dell’essere che è provenienza essenziale del nientificare [p. 96]

Il nientificare non è il rifiuto attuato dall’uomo inteso come soggetto, ma è nell’essere stesso.
Ogni affermazione e ogni negazione sono al servizio e in ascolto dell’essere.
L’uomo appartiene all’essere.
Dall’essere l’uomo trae le consegne che devono divenire legge e regola.
Nomos: assegnazione nascosta nella destinazione dell’essere.
La destinazione dell’essere dispone l’uomo nell’essere e perciò regge e vincola.
Sostegno: Halt
Protezione: Hut
L’essere è protezione e sostegno dell’uomo nel linguaggio.
Nel linguaggio dimora l’essenza dell’uomo e nel linguaggio può perdersi la sua essenza.

In cammino verso il linguaggio

L’essere porta al linguaggio nel senso che, aprendosi nella radura, viene al linguaggio.
Il pensiero ha il compito di portare di volta in volta (storicamente) al linguaggio l’avvento dell’essere.
La prima legge del pensiero è la convenienza del dire dell’essere come destino della verità.
Per questo i pensatori essenziali dicono sempre la stessa cosa.
Dire la stessa cosa perché si sta nell’uguale è ben diverso dal polemizzare, stando fuori dalla cosa, ovvero dall’essere, per finire dicendo la stessa cosa.
Il pensiero a venire è il pensiero dell’evento [appropriante-espropriante] in quanto è riuscito a scendere «nella povertà della sua essenza provvisoria» [Lettera, p. 103].
La sua forma non è filosofica ma quella che raccoglie il linguaggio in un dire semplice, un dire non vistoso né eccezionale, come eccezionale non era il comportamento di Eraclito vicino al forno nell’atto di riscaldarsi.
Il linguaggio sta alle nuvole come l’essere al cielo.
In cammino verso il linguaggio: «il linguaggio è la custodia della presenza (dell’essere delle cose come darsi nella presenza), il modo di accadere dell’evento».
Poiché l’apertura del mondo accade nel linguaggio, è nel linguaggio che si verifica ogni vera innovazione ontologica. Il linguaggio stesso è poesia. La poesia è il fondo che regge la storia.

Critiche: Carnap

Diamo conto di seguito di alcune delle più acute critiche filosofiche novecentesche al pensiero heideggeriano. Per ragioni espositive le abbiamo suddivise in due parti: quelle che ne considerano in primo luogo il piano elementare del linguaggio (Carnap, Adorno), e quelle invece che ne designano i tratti metafisici (Loewith, Levinas).
In coerenza con il proprio neo-positivismo logico e con la sua concezione del linguaggio come sintassi logica, R. Carnap nel 1931 scrive un saggio dal titolo, Superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio (Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache, in «Erkenntnis» 2, 1931, pp. 220-241), in cui prende in esame le proposizioni filosofiche di Che cos’è metafisica (1929). In un tale contesto, il saggio heideggeriano offriva l’ultimo esempio di quel linguaggio della metafisica composto di termini senza alcun contenuto empirico (come il nulla) o auto-contraddittori, che sarebbe dovuto essere marginalizzato dalla filosofia scientifica.
L’analisi rigorosa del linguaggio, ma non un altrettanto serrato confronto tematico, rendono lo scritto polemico carnapiano non del tutto rappresentativo di una contrapposizione filosofica (quella tra filosofia analitica e filosofia ermeneutica o continentale) che avrebbe egemonizzato l’intera seconda metà del Novecento, partendo dalle comuni radici post-kantiane.

R. Carnap. Immagine da: Carnp

R. Carnap. Immagine da: Carnp


Critiche: Adorno

Sempre facendo leva sulle ambiguità del linguaggio heideggeriano, ma all’interno del più vasto filone di diagnosi dell’irrazionalismo, rimontante a Lukacs, e di critica culturale all’idea stessa del sapere e della metafisica moderna, a partire dall’affermazione dei principi sociali ed antropologici dell’Illuminismo, Adorno redige nel 1964 un pamphlet sul gergo dell’autenticità, proseguendo idealmente la critica all’ideologia tedesca di Karl Marx. Nozioni come quelle di chiacchiera, angoscia, essere per la morte, autenticità, che definiscono il tessuto categoriale dell’analitica esistenziale, come ontologia fondamentale, vengono definite come espressioni dell’assimilazione del non-identico all’identico, come frutti di un arcaismo sociale e filosofico. Nelle critiche adorniane sono coinvolti anche la filosofia esistenzialistica di Jaspers, il pensiero di Bollnow, la poesia di Rilke, la Kultur-Kritik di Simmel, la teologia della seconda persona di Buber e l’intera antropologia filosofica del secondo Novecento tedesco.
Cfr. T. W. Adorno, Il gergo dell’autenticità. Sull’ideologia tedesca, Bollati Boringhieri, Torino 1988.

T.L.W. Adorno. Immagine da: Wikipedia

T.L.W. Adorno. Immagine da: Wikipedia


Critiche: Loewith

Karl Loewith non fu solo allievo di Husserl e di Heidegger, partecipe del circolo di Monaco e della scuola di Friburgo, ma ne fu anche acuto collaboratore ed interlocutore. Addottoratosi con Heidegger con una tesi che già rappresentava un ribaltamento antropologico-filosofico di Essere e Tempo, Loewith, ebreo di nascita, fu costretto dal nazismo non solo ad allontanarsi dalla Germania per una lunga permanenza prima in Italia e poi in Giappone, ma anche a prendere tragicamente le distanze dal suo maestro. Impegnato in una vasta ricognizione filosofica circa la metafisica occidentale ed il nichilismo europeo, sulle cui tracce era stato messo dalle sue letture nietzscheane in largo anticipo su quelle heideggeriane (come lui stesso spesso ricordò), elaborò il disegno di una filosofia cosmologica, di un peculiare ritorno alla Grecità, via Goethe e Spinoza.

K. Löwith. Immagine da: Filosofico

K. Löwith. Immagine da: Filosofico


Critiche: Loewith

Lungo un tale sviluppo, Loewith portò a termine una critica radicale all’ontologia heideggeriana, che si può ritrovare in brevi scritti polemici giovanili, nelle sue opere maggiori ed in particolare nei suoi Saggi su Heidegger (1960), Torino, Einaudi, 1974. Ancora in occasione del settantesimo compleanno del suo maestro, Loewith ribadiva come Heidegger non fosse «affatto un “filosofo”, ma un “teologo cristiano” (con l’accento su logos)», il cui titanico compito di «distruggere criticamente l’universo concettuale a noi tramandato dalla filosofia e della teologia occidentale» rischiava fatalmente di rivelarsi senza conclusione né concludenza. La critica loewithiana occupa una posizione mediana tra “il fascino e la ripulsa” e percorre la filosofia heideggeriana attraverso i suoi concetti fondamentali, quelli di Esserci e di Essere, di storicità e temporalità, di senso e di verità. Convinto di una seppur arcana continuità nelle opere di Heidegger, ove «nonostante la vigilanza sulla parola, i rapporti istituiti sono spesso più suasivi che persuasivi» (12), Loewith rintraccia proprio nel nesso Essere-Tempo, proprio nella temporalità o eventualità dell’Essere la mina di un pensiero che non riesce a rimontare al di là della metafisica moderna, alle origini greche di un pensiero di ciò che non ha tempo, inumano, eterno.

Critiche: Levinas

Discepolo prima di Husserl e poi dello stesso Heidegger, Levinas ha attraversato in profondità la parabola della scuola fenomenologica, sino al suo esito ermeneutico, per poi imboccare il proprio percorso della nuova filosofia ebraica. L’ampiezza delle critiche mosse da Levinas a Heidegger non ne consente una breve riduzione, tuttavia di seguito proveremo a tracciarne uno schema per renderne possibile la comprensione almeno a grandi linee. Il punto di radicale contestazione riguarda in primo luogo la riconduzione alle radici greche, promossa tanto da Husserl quanto da Heidegger, secondo cui si imporrebbe il modello della metafisica, ovvero dell’ontologia generale, come filosofia prima. Contro ciò Levinas, confutando Atene con Gerusalemme, addita verso un’evasione dall’Essere: propone l’etica, la filosofia dell’assolutamente Altro, del volto altrui, come filosofia prima, l’infinità, che ne deriva, invece della totalità, l’esistente invece dell’esistenza e della neutralità dell’essere, colui che è e non l’anonimato dell’Essere che lo governerebbe.
Accanto a queste aspre critiche, Levinas individua proprio negli esistenziali della gettatezza e della spazialità mondana del corpo, alcuni di quei caratteri della riduzione biologica dell’umano che avrebbero definito “la filosofia dell’hitlerismo” (Blut und Boden: sangue e terra, razza, etc.).

I materiali di supporto della lezione

Testi di M. Heidegger:

Prolegomeni alla storia del concetto di tempo (Semestre estivo 1925), ed. it. a cura di R. Cristin e A. Marini, Il melangolo, Genova, 1999.

Essere e tempo (1927), ed. it. a cura di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976.

Concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine (Semestre invernale 1929-30), ed. it. a cura di C. Angelino, 2005.

L'essenza della verità (1930), ed. it. a cura di U. Galimberti, La Scuola, Brescia, 1974.

Saggi e discorsi (1936-1953), ed. it. a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano, 1991.

Sentieri interrotti (1935-46), ed. it. a cura di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze, 1999.

Lettera sull'«umanismo» (1976), ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 1995.

L'arte e lo spazio (1969), tr. it. di G. Vattimo, introd. di C. Angelino, Il melangolo, Genova, 1979.

Testi dei critici di Heidegger

R. Carnap, Il superamento della metafisica mediante l'analisi logica del linguaggio (1931), ed. it. a cura di A. Pasquinelli, in Il neoemprismo, Utet, Torino, 1969, pp. 504-540.

K. Lowith, Saggi su Heidegger, Einaudi, Torino, 1974.

Th. W. Adorno, Il gergo dell'autenticità: sull'ideologia tedesca (1964), Einaudi, Torino, 1989.

Bibliografia secondaria essenziale

E. Mazzarella, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Guida, Napoli, 1982.

J.-L. Nancy, L'etica originaria, ed. it. a cura di A. Moscati, Cronopio, Napoli, 1996.

A. Giugliano, Nietzsche-Rickert-Heidegger. E altre allegorie filosofiche, Liguori, Napoli, 1999.

F. Volpi (a cura di), Guida a Heidegger, Laterza, Roma-Bari, 2005.

G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari, 2008.

Approfondimento

Glossario Heidegger

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