La furia antimetafisica ed antidogmatica di Nietzsche nei confronti della Storia travolge lo storicismo occidentale (cfr. F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno di una Storia per la Vita, Adelphi, Milano, 1974), ma lo sguardo disincantato di Paul Valery è ancora più freddo e radicale:
“La storia è il prodotto più pericoloso che la chimica dell’intelletto abbia mai elaborato. La storia giustifica qualsiasi cosa. Non insegna nulla, poiché contiene tutto e di tutto fornisce esempi” (P. Valery, Sguardi sul mondo attuale, Adelphi, Milano, 1994, pp. 36-39).
Il racconto del passato è sempre organizzato a posteriori ed agisce su un futuro che di per sé ancora non ha figura, rendendolo pensabile e figurabile. In tal modo recuperiamo dal passato l’immagine, ma anche il linguaggio.
Come si può parlare del passato se vi “entriamo a ritroso”?
In che modo ciò che è stato fatto (o la narrazione di quanto è già stato) può aiutare ciò che ancora non conosciamo e non sappiamo fare?
La polemica contro la storia ha origini antiche e attraversa tutta la Modernità, e Valery — che del Moderno è tra i testimoni più consapevoli — ne segna un momento di asprezza e di chiarezza estreme.
Eppure possiamo veramente fare a meno della storia?
È necessario segnare uno spartiacque tra una forma di idolatria della Storia ed una coscienza storica che ci consenta di agire nel presente assumendone per intero la problematicità e la dimensione sua propria di tempo che ci è dato per compiere le nostre opere.
È la coscienza storica che permette di cogliere la molteplicità dei significati che si possono attribuire alla pluralità dei fatti e delle ragioni, mentre l’idolatria della storia sostituisce poco alla volta ai semplici fatti i significati legati ad un sistema di interpretazione ritenuto definitivo.
Assumeremmo il principio di contemporaneità della Storia (Benedetto Croce) nel senso che si potrebbe studiare la storia dell’architettura contemporanea per l’intelligenza critica della situazione presente: ma dalla storia non dobbiamo aspettarci troppo. La Verità non è sempre ed ovunque la stessa, perché il linguaggio non è sempre ed ovunque lo stesso: pur sapendo che l’esistenza umana è essenzialmente linguistica e fondamentalmente storica.
Non considereremo la storia, perciò, come “monumento di un eterno intelletto“, ma come una serie di tentativi — a volte anche eroici — di affrontare problemi che non sono i nostri, ma sono abbastanza simili ai nostri da offrirci utili consigli.
Istruzioni per l’uso ne troveremo ben poche, ma potremmo trarre esempio da modelli di comportamento collettivo e di virtù individuali.
Non essendo più — come invece pensava Hegel — la Storia una via per ottenere la “Verità“, potremo guardare alla storia dell’architettura come al resoconto e al racconto dello sforzo degli uomini di risolvere problemi, di elaborare potenzialità di linguaggi e le attività da essi rese possibili.
Fuori dalle sue determinazioni storiche l’architettura non sarebbe riconoscibile come racconto della vicenda umana rappresentata nella Città: riconosciamo perciò una storicità dell’architettura come condizione necessaria alla sua esistenza come lavoro intellettuale responsabile e come prassi tecnica determinata, e perciò identificabile e trasmissibile.
La condizione contemporanea soffre di due speculari ossessioni, sintomatiche entrambe di una presenza dell’ombra della Storia come l’ombra della progettazione contemporanea:
l’ossessione della Storia e l’ossessione del Nuovo.
Quest’ombra ha le sembianze dell’angelo della Storia che Benjamin identifica con l’Angelus Novus dell’Apocalisse: chi è preda di questa ossessione si atteggia come l’angelo con lo sguardo volto all’indietro, al passato, ma trascinato in avanti dal vento del tempo.
La stessa Avanguardia classica, malgrado la vis polemica contro la storia e il passato, non riesce a cancellare quest’ombra, ma tenta di collocarsi fuori di essa nello sforzo di rincorrere — più che farsi trascinare — il vento del tempo.
Oggi il rapporto della progettazione con la storia si esprime come ricerca di consenso attraverso l’autorevolezza di un riferimento storico e non più come rapporto conflittuale, dialettico.
Si tende così a fare un uso ’stilistico’ del materiale storico nella progettazione.
Il rischio è un rifiuto della contemporaneità, nel timore (o nell’incapacità) di intraprendere percorsi concettuali e linguistici che potrebbero condurci nel mare troppo aperto della nostra necessaria e ineluttabile modernità.
Paul Klee, Angelus Novus (1920). Fonte: wikipedia
Pablo Picasso, Guernica, (1937). Fonte: wikipedia
Alcune interpretazioni della storia, piuttosto diffuse nella cultura architettonica contemporanea, appaiono parziali e riduttive. È strumentale — ad esempio — una concezione della storia come mero repertorio di soluzioni per un concreto problema progettuale: una storia come materiale di magazzino per la progettazione. Così come troppo ideologico si è rivelato il rifiuto pedagogico della storia (o meglio: dello studio della storia) come attentato alla ‘libertà creativa’, intesa questa come un istinto primitivo e genuino che non può essere ‘corrotto’ dal ricorso alla conoscenza del passato. Specularmente a queste si è dato corso ad una metafisica della Storia come sacralizzazione di un mondo estraneo alla vita umana, come un sopramondo ideale cui attingere per astratte prescrizioni e mistiche salvezze.
Condivisibile è invece una posizione che attribuisce al passato dell’architettura, inteso da Bonfanti come una serie di exempla, una funzione positiva in sede critica, ma negativa in sede propositiva e progettuale.
Aldilà di tali atteggiamenti, la conoscenza necessaria della Storia in generale consiste sostanzialmente nella conoscenza dei modi determinati con i quali di volta in volta una società pone il problema della sua trasformazione o della sua continuità.
Storia e Progetto sono dunque legati da un rapporto di necessità operativa, nel senso della ricerca della corrispondenza tra necessità del progetto e la conflittualità in cui esso è immerso. Questo rapporto esiste indipendentemente dalla intenzionalità dell’architetto di ricercarlo o meno, né esso è di per sé decisivo di una qualità significativa dell’architettura come opera d’arte.
Se la storia è la memoria dell’umanità, essa vive in una dimensione spazio temporale nella quale eventi antichi e recenti si sovrappongono generando infinite associazioni. Questo modo ‘creativo’ di riflettere sul passato (che consiste in una attività psichica assai prossima alla rèverie) è stato mirabilmente illustrato da Freud ne Il disagio della Civiltà.
In tal senso il passato si presenta come un labirinto di infinite reveries cioè come una catena di enigmi che non hanno soluzioni.
Le Corbusier, Schizzo di una casa pompeiana da prof. R. Giannantonio, Univ. degli studi “G. D'Annunzio” Pescara, Facoltà di Architettura. Fonte: Unich
Nelle sue lezioni di progettazione (Ludovico Quaroni, Progettare un edificio: otto lezioni di Architettura, Marzotta, Milano, 1977), un maestro come Ludovico Quaroni invitava l’apprendista architetto a farsi una ‘cultura storica’ dell’architettura come esperienza — sia pure indiretta — del modo col quale le strutture architettoniche sono state volute, pensate e prodotte nel passato sino ad oggi.
Solo una cultura storica — egli riteneva — può formare, per induzione, nello studente architetto la comprensione dei fini e degli obiettivi che nei vari tempi e nei vari luoghi committenza ed architetto s’erano proposti di raggiungere: fini in stretta relazione con la civiltà del momento e del luogo.
Occorre, cioè, una cultura specifica del passato capace di generare nel presente cultura civile e sociale.
Ricercare delle radici, avere dei riferimenti — magari da assumere dialetticamente per negarli — è in ogni caso una condizione di necessità culturale generale.
Le Corbusier, Schizzo dell'Acropoli di Atene, da prof. R. Giannantonio, Univ. degli studi “G. D'Annunzio” Pescara, Facoltà di Architettura. Fonte: Unich
La storia dell’architettura va dunque presa come va presa la ’storia tout-court‘, di cui è parte integrante, e dunque come parte integrante della storia civile, che produce i fatti urbani, che condizionano il farsi dell’architettura nel mondo e nella città e che determinano il farsi della città come architettura.
1. Di che cosa parliamo quando parliamo di Architettura
2. Il Tempo
3. Storia
4. Alcuni principi dell'architettura moderna
6. Composizione
8. Luogo
11. Linguaggi del progetto contemporaneo
12. Sviluppo del tema progettuale: Analisi, descrizione, interpretazione
13. Sviluppo del tema progettuale: principio insediativo
14. Formulazione dell'ipotesi progettuale
15. Sviluppo del tema progettuale: l'uso del riferimento (I parte)
16. Sviluppo del tema progettuale: l'uso del riferimento (II parte)
17. Sviluppo del tema progettuale: elaborazione del progetto generale
18. Sviluppo del tema progettuale: l'unità abitativa
19. Il tema del recupero urbano in aree complesse: esemplificazioni progettuali – parte prima
20. Il tema del recupero urbano in aree complesse: esemplificazioni progettuali – parte seconda
Letture
A. Mariniello, Pre-testi - Sussidiario di Composizione, Liguori, 2005
F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno di una Storia per la Vita, Adelphi, Milano, 1974
P. Valery, Sguardi sul mondo attuale, Adelphi, 1994
Sguardi
Pablo Picasso, Guernica, 1937, Madrid, Museo Reina Sofia