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Clelia Iasevoli » 6.La sanzione processuale


Il termine sanzione nella teoria classica

La teoria classica appare assestata su un concetto di sanzione dal valore nominale estremamente lineare, che riassume in sé l’insieme dei mezzi di cui l’ordinamento dispone per rafforzare l’osservanza delle proprie norme ed eventualmente per porre rimedio agli effetti dell’inosservanza. In questa visione i tratti connotativi del rimedio vivono nell’ordinamento, nel senso che la sanzione si presenta come un meccanismo interno al sistema giuridico e volto alla sua conservazione.


Il confine tra libertà e doverosità

Nella rottura della simmetria si coglie l’origine del fenomeno sanzionatorio come prodotto dell’azione che entra in contraddizione con sé stessa; la funzionalità della sanzione come reazione nasce sulle ceneri dell’armonica corrispondenza con le altre azioni sociali. Per cui la reazione dell’ordinamento ad un comportamento dell’uomo è il risultato di quel gioco dialettico tra regole e azione che segna il confine tra libertà e doverosità. Appaiono così i tratti della sanzione sotto le spoglie dello strumento atto a correggere la dissimetria ovvero a ripristinare l’equilibrio iniziale.

Sanzione = pena?

La conservazione dell’ordinamento esige la completezza del diritto; la cui circolarità va misurata sulla previsione di meccanismi di invalidazione dell’atto, che è stato compiuto in maniera difforme dalla norma processuale. Questa è la fisionomia bifronte della sanzione. Qualsiasi analisi della categoria sarebbe fuorviante se si ignorassero i due momenti strutturali del termine: il primo tende ad assicurare l’osservanza della norma; il secondo reagisce alla violazione di essa. La natura reattiva e riparatoria della sanzione rompono l’identificazione con la pena.


Sanzione = pena? II

Vero è che talune sanzioni processuali – penso alla nullità – mostrano la loro essenza riparatoria volta a ripristinare la correttezza della sequenza procedimentale; talaltre rivelano, addirittura, tratti “punitivi” – penso all’inammissibilità, all’inutilizzabilità e all’inefficacia. Da qui la scoperta del carattere polimorfo che dipende dalla tipologia della causa invalidante. Rimanendo sul versante funzionale si perviene all’individuazione degli aspetti comuni alla reazione ordinamentale; ad esempio la fattispecie della nullità dell’atto, determinata dal mancato assolvimento dell’onere, se, da un lato, impedisce la realizzazione della facoltà al cui esercizio l’atto è preordinato, dall’altro, essa turba l’equilibrio della progressione processuale, che può essere stabilita attraverso l’operatività del rimedio (=nullità).

La funzione oggettiva della sanzione

Anche l’invalidità dell’atto esprime un contenuto sanzionatorio quale conseguenza attribuita dal diritto all’inosservanza delle norme processuali e quale causa dell’operatività del rimedio finalizzato a ripristinare l’ordine legale violato. L’invalidità si origina dal comportamento del soggetto tenuto ad osservare le regole relative al compimento dell’atto ed è causa del rimedio (nullità, inammissibilità ecc.). La sanzione è la reazione all’attività illegittimamente posta in essere, proiettata a restaurare l’impero della norma violata. Si appalesa, così, la funzione oggettiva della sanzione processuale, che discende direttamente dal principio dell’efficacia oggettiva della legge.

L’invalidità dell’atto

L’invalidità e la validità sono modalità deontiche di un comportamento giuridicamente qualificato secondo regole predeterminate; esse si traducono in connotazioni di atti o di classi di atti, la cui fattispecie concreta deve realizzarsi secondo forme e con contenuti che non siano in contrasto con la previsione normativa. Si tratta, però, di qualificazioni giuridiche non sempre opponibili sul piano dell’efficacia, poiché vi sono atti validi improduttivi di effetti e atti invalidi che producono effetti sia pure in forma precaria. Ogni schema di atto comporta la statuizione di un onere: esso è assolto se è stata integrata la fattispecie, in tal modo tale corrispondenza costituisce il presupposto dell’attribuzione di valore all’atto e dell’effetto correlativo.


L’invalidità dell’atto II

La conformità o la difformità dallo schema fonda sull’apprezzamento dell’atto in termini di validità, ma al contempo influisce sull’efficacia. E, se la validità si sostanzia in un trattamento giuridico unitario, la valutazione di disvalore dell’atto necessita della classificazione del vizio, che tiene conto della sua gravità e delle sfumature delle fattispecie patologiche. Sicchè la diversificazione delle specie di invalidità rinviene il fondamento nella diversità della tipologia di trattamento a cui il legislatore sottopone gli atti imperfetti. In sintesi, nella specificità dell’ordinamento processuale tra invalidità e sanzione vi è un legame simbiotico: la prima costituisce la causa, la seconda il rimedio; l’una rappresenta – in senso figurativo – la “malattia”, l’altra la “cura”.

La differenza con la misura punitiva

Sul piano ontologico e strutturale l’essenza sanzionatoria processuale, essendo costruita sull’invalidità dell’atto, rivela tratti distintivi dalla misura punitiva che è costruita sulla categoria dell’illecità, smentendo l’identificazione tra pena e sanzione, trattandosi di una similitudine che si è originata dal fenomeno di “spersonalizzazione” della pena. Per cui si definisce pena – abusando del termine – ogni limitazione dei diritti del singolo, purchè connessa alla violazione di un obbligo e prevista per impedire la stessa violazione. La sanzione, invece, assume specificità giuridica in base al contesto ordinamentale in cui opera.

L’espressione “a pena di nullità”

L’espressione “a pena di nullità” (es. art. 419 comma 7 c.p.p.) rappresenta l’esemplificazione dell’erronea identificazione tra sanzione e pena, non sostenibile perché il regime delle nullità è il regime dei rimedi per riparare l’atto e ripristinare con immediatezza la legalità nella successione teleologica del procedere. La declaratoria di nullità dell’atto costituisce il riconoscimento della sua imperfezione perché difforme dal modello legale; ciò significa che essendo la nullità costruita con rinvio agli elementi dell’atto valido, essa assume l’accezione di sanzione “positiva” di esistenza e di rilevanza dell’atto e rivela contenuti di garanzia sotto il profilo del ripristino della validità dello stesso.

La necessarietà del comportamento

La sanzione processuale rappresenta lo strumento di garanzia dell’osservanza e si sostanzia nel rimedio all’inadempimento dell’onere o dell’obbligo di un comportamento necessitato nella logica finalistica della progressione processuale; si vuole sottolineare che per l’attuazione del fine l’interessato deve compiere l’attività nel modo predeterminato affinchè il procedimento prosegua verso la naturale conclusione. Questa proiezione dell’atto nello sviluppo del processo chiarisce la connotazione di necessarietà del comportamento. Dunque, con il termine sanzione si indicano gli strumenti di tutela processuale, volti ad espungere dal processo le patologie che si sono formate e che hanno interrotto il ritmo dell’intercedere degli atti l’uno determinando l’insorgere dell’altro.

Prevedibilità ex ante e imprevedibilità della patologia

Il legislatore predispone i rimedi contro l’eventuale inosservanza del modello astratto per ripristinare la legalità dell’atto. Tuttavia, se misuriamo l’invalidità facendo riferimento allo schema tipico, il piano strutturale di rilevanza implicato è quello del patologicamente “prevedibile” sulla base di una valutazione ex ante; ma ciò non esclude che la definizione sia estensibile anche a taluni provvedimenti giurisdizionali, che per il contenuto assolutamente abnorme non siano suscettibili di previsione né di essere ricondotti a schemi legislativi determinabili a priori, trattandosi di una situazione patologica, la cui invalidità va verificata a fronte del modello logico potere-atto-scopo e della compatibilità sostanziale della condotta con l’ordinamento giuridico.


L’art. 606 lett. c) c.p.p.

L’art. 606 lett. c) c.p.p. accorpa letteralmente differenti trattamenti sanzionatori nell’ottica della comune proiezione finalistica costituita dalla tutela delle situazioni soggettive protette in movimento nel processo, ma si tratta di patologie che rientrano nell’area della prevedibilità legislativa. Difatti, le sanzioni di abnormità e di inesistenza esulano dalla classificazione di cui alla lettera c) dell’art. 606 c.p.p. in ragione della imprevedibilità del comportamento, che si pone oltre la norma limitatrice. Anche se l’abnormità del provvedimento giudiziale può essere espunta dal processo con lo stesso mezzo del ricorso per cassazione, perché afferente ad un atto destinato a produrre effetti nel processo, sebbene estraneo all’intercedere dell’euritmia giuridica.

Sanzione = mezzo di tutela

In sintesi, le sanzioni processuali svelano la loro essenza di strumenti di tutela e per questa via lo stesso principio di legalità processuale esce dall’orizzonte del formalismo sul versante del compimento di atti che rappresentano non soltanto i mezzi per l’esercizio dei diritti, doveri e facoltà, ma la strada obbligata per tale esercizio. In questo contesto la disciplina della nullità dell’atto (art. 177-185 c.p.p.) costituisce l’itinerario correttivo con funzione ripristinatoria della regolarità nella sequenza teleologica degli atti. Da essa si distinguono l’inammissibilità e l’inutilizzabilità perché entrambe sottraggono la vicenda alla conoscenza del giudice: la prima a causa dell’inadempimento dell’onere che si riflette sulla domanda, ferendone la tipicità; la seconda per la violazione della legalità nella produzione della prova.

Sanzione = mezzo di tutela II

L’inammissibilità perde la connotazione preclusiva della conoscenza a fronte delle imperfezioni che riguardano le domande costituenti forme di esercizio dell’azione penale; a monte del comportamento non vi è un onere, ma un obbligo. Anche l’inefficacia di un atto valido, la cui patologia è addebitabile ai comportamenti del giudice, presenta una connotazione sanzionatoria in senso proprio. Già si è detto che le condotte giudiziali che sfuggono alla prevedibilità del legislatore rientrano nell’area di tutela delle sanzioni di origine giurisprudenziale: l’abnormità per i provvedimenti emessi in difetto di potere; l’inesistenza per gli atti emessi in difetto di legittimazione dell’organo della giurisdizione.


I materiali di supporto della lezione

G. Conso, Il concetto e le specie d'invalidità. Introduzione alla teoria dei vizi degli atti processuali penali, Milano, 1955, p. 62.

N. Bobbio, voce Sanzione, in Nss. dig. it., vol. XVI, Torino, 1969, p. 530.

E. Cammarata, Sulla concepibilità di un nesso logico tra «illecito» e «sanzione», inScritti in memoria di A. Giuffrè, Milano, 1967.

H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato (1945), trad. it., Milano, 1952, p. 17.

Idem, Lineamenti di dottrina pura del diritto, trad. it., Torino, 1977, p. 189.

F. D'Agostino, voce Sanzione, (teoria gen.), in Enc. dir., vol. XLI, Milano,1989, p. 304-306.

G. Capograssi, Studi sull'esperienza giuridica, in Opere, II, Milano, 1959, p. 351.

V. Frosini, voce Ordinamento giuridico, in Enc. dir., vol. XXX, Milano, 1980, p. 652.

F. Cordero, Le situazioni soggettive nel processo penale, Torino, 1956, p. 113.

F. Auletta, Nullità e «inesistenza» degli atti processuali civili, Padova, 1999, p. 69.

G. Conso, I fatti giuridici processuali penali, Milano, 1955, p. 83.

A. Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, p. 3.

B. De Giovanni, Fatto e valutazione nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1958, p.32.

D. Rubino, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, p. 38.

G. Riccio, Introduzione allo studio del sistema sanzionatorio nel processo penale, in Quaderni di scienze penalistiche, Napoli, 2006 p. 31.

C. Iasevoli, voce Abnormità (dir.proc.pen.), in Enc. giur. Treccani, agg. vol. XIII, Roma, 2005.

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