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Clelia Iasevoli » 11.Le vicende dell'imputazione


Il modulo contestativo ex art. 423 c.p.p.

A fronte di un fatto diverso o di un reato connesso ai sensi dell’art. 12 comma 1 lett. b) o di una circostanza aggravante il pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente oppure al suo difensore, qualora l’imputato sia assente o contumace. La norma predispone una regola di condotta ovvero implica un facere obbligatorio del pubblico ministero strumentale all’aggiornamento dell’originaria imputazione. Nell’incipit si rinviene l’espressione “nel corso dell’udienza preliminare” comprensiva del primo momento di filtro svoltosi in sede di discussione ex art. 421 c.p.p., ciò significa che l’esigenza modificativa può emergere dalla valutazione, questa volta triadica, degli stessi elementi posti a base della richiesta.


Il fatto nuovo

Viceversa, l’organo dell’accusa può scegliere di contestare nella medesima udienza (art. 423 comma 2 c.p.p.) il fatto nuovo all’imputato, che, prestando il proprio consenso, accetta i rischi connessi alla contestazione di un fatto per il quale non siano state svolte le indagini, semprechè vi sia l’autorizzazione giudiziale. Dunque, questo modulo contestativo è costruito sull’autonomia delle singole scelte strategiche. Si tratta di un modello comportamentale ipotetico, la cui operatività – nonostante sia subordinata al presupposto dell’autorizzazione del giudice – è condizionata a monte dalla manifestazione di volontà dell’imputato, che valuta se accettare i rischi connessi alla contestazione di un accadimento naturalistico autonomo.


Il discrimine

L’operatività delle due differenti regole sancite nell’art. 423 c.p.p. risente delle incertezze interpretative circa le nozioni di fatto “diverso” e fatto “nuovo”. Non si tratta di perplessità semantiche, ma dei riverberi di un dibattito, che ha radici risalenti all’art. 447 c.p.p. del 1931, e che nell’individuazione del criterio differenziale ha spostato l’attenzione sulla teoria generale del reato, muovendo, quindi, da una premessa di diritto sostanziale. L’elaborazione giurisprudenziale, ancora oggi, è condizionata dall’insegnamento tradizionale e ricorre al criterio strutturale secondo cui il fatto è diverso qualora rispetto all’imputazione originaria a mutare siano la condotta o l’evento o l’elemento psicologico del reato.

L’incertezza del confine

L’impostazione rivela la sua debolezza a fronte di quanti, muovendo, invece, dalla tipicità del fatto, reputano che lo stesso sia “nuovo”, non appena si tocchi un elemento costitutivo del reato, poiché è tipica la fattispecie che corrisponde al modello legale. Il disordine ermeneutico si riverbera negativamente sul confine tra fatto diverso e fatto nuovo, coinvolgendo l’ambito di attività delle due autonome e differenti regole di condotta previste dall’art. 423 c.p.p. Peraltro, va precisato che il fatto nuovo può aggiungersi al reato già contenuto nell’imputazione (= concorso formale) ovvero può essere legato ad esso da un vincolo di continuazione; ma può manifestarsi sotto spoglie radicalmente dissimili, configurando un fatto storico fenomenicamente indipendente.

Nel giudizio abbreviato

Nel giudizio abbreviato le vicende dell’imputazione sono regolate dall’art. 441-bis c.p.p. Il comma 1 descrive l’ambito applicativo, limitandone la rilevanza alle fattispecie processuali delineate dagli artt. 438 comma 5 e 441 comma 5 c.p.p. Da qui discende che la modifica della storicità del fatto originariamente oggetto dell’imputazione è connessa ad un’attività d’integrazione probatoria, nell’un caso richiesta dall’imputato, nell’altro disposta ex officio dal giudice per la necessaria completabilità degli atti ai fini della decisione. A fronte di queste situazioni la regola comportamentale predisposta per il pubblico ministero è quella di procedere alle contestazioni di cui all’art. 423 comma 1 c.p.p.


Il rinvio all’art. 423 comma 1 c.p.p.

Il rinvio all’art. 423 comma 1 c.p.p. a) conferma che, nonostante le innovazioni strutturali, il modello di riferimento per lo svolgimento del rito rimane l’udienza preliminare, il cui oggetto, però, muta in quello di giudizio; b) si traduce nella delimitazione della tipologia casistica della contestazione con riferimento al fatto diverso, al reato connesso a norma dell’art. 12 comma 1 lett.b) c.p.p., alla circostanza aggravante. Da qui l’interrogativo se sia possibile nel giudizio abbreviato la contestazione del fatto nuovo, interrogativo che va risolto alla luce del combinato disposto degli artt. 423 comma 2 e 518 c.p.p.


Il modello contestativo ex art. 518 c.p.p.

Quando risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo l’art. 518 c.p.p. impone al pubblico ministero di procedere nelle forme ordinarie, a meno che l’imputato non abbia manifestato il proprio consenso alla contestazione dello stesso nella medesima udienza e vi sia stata l’autorizzazione del giudice in assenza di un pregiudizio per la speditezza procedimentale. Il che significa che la sussistenza del consenso dell’imputato, quale scelta personale e consapevole degli eventuali rischi vale a sanare la mancanza di azione rispetto al fatto nuovo; gli stessi rischi a cui si espone l’organo dell’accusa nel momento in cui richiede di proseguire per il fatto nuovo nel medesimo giudizio, rinunciando alle garanzie probatorie offerte da un autonomo procedimento.

Il fatto nuovo nel giudizio abbreviato

Secondo parte della dottrina sarebbe proprio la mancanza dell’esercizio dell’azione in relazione al fatto nuovo ad impedire la contestazione di esso nel rito abbreviato, la cui instaurazione presuppone l’antecedenza logica e strutturale dell’esercizio dell’azione. Invero, l’obiezione maggiormente ostativa fonda sulla posizione soggettiva del pubblico ministero che, a fronte dell’effettiva contestazione, può chiedere soltanto l’ammissione di prova contraria, non avendo un ampio potere probatorio ai sensi dell’art. 441-bis comma 5 c.p.p. Epperò, la situazione derogatoria prevista dall’art. 518 comma 2 c.p.p. evidenzia chiaramente il ruolo della volontà delle parti nell’assunzione dei rischi – probatori – connessi alla contestazione del fatto nuovo.

La ripartizione dei rischi I

La consapevole ripartizione dei rischi costituisce l’elemento di raccordo tra il comma 1 e il comma 5 dell’art. 441-bis c.p.p. Essa chiarisce la ratio normativa sottesa al rinvio circoscritto all’art. 423 comma 1 c.p.p., rinvio che si espande, poi, nella sua interezza ed organicità all’interno del comma 5 dell’art. 441-bis c.p.p., comprendendo, cioè, il fatto nuovo. Rispetto alla prima situazione il legislatore attribuisce all’imputato la facoltà di uscire dal rito abbreviato, nell’intento di liberarlo dallo stato si soggezione in cui versa a fronte della contestazione delle fattispecie previste dal comma 1 dell’art. 423 c.p.p.

La ripartizione dei rischi II

Insomma, in un giudizio instaurato su volontà dell’imputato, come scelta di strategia difensiva rispetto ad una determinata imputazione, era necessario attribuire allo stesso – nella situazione di cui all’art. 423 comma 1 c.p.p. – la facoltà di rivedere quella originaria strategia (art. 441-bis comma 1 c.p.p.). Facoltà, non a caso, non prevista nell’ipotesi di fatto nuovo, non versando, in questo caso, l’imputato in una posizione di soggezione, dal momento che egli può impedire la contestazione, non prestando il proprio consenso. Perciò, in relazione al fatto nuovo le posizioni sono equilibrate: l’imputato accetta in via preliminare la contestazione ed è titolare del diritto alla prova nella sua pienezza; e, nell’avanzare la richiesta di autorizzazione per il fatto nuovo, il pubblico ministero è consapevole di poter esercitare soltanto il diritto alla prova contraria.

I materiali di supporto della lezione

D. Grosso, L'udienza preliminare, Milano, 1991.

T. Rafaraci, Le nuove contestazioni nel processo penale, Milano, 1996.

G. Riccio, Fatti “nuovi” e fatti “diversi” nel regime delle contestazioni suppletive, in Dir. e giust., 2004, n.13, p. 63.

G. Riccio, Fatto e imputazione, in Quaderni di Scienze penalistiche, Napoli, 2005, n.1, p. 66.

C. Iasevoli, L'apparente indeterminatezza della funzione di controllo del giudice dell'udienza preliminare, in Quaderni di Scienze penalistiche, Napoli, 2006, n.2, p. 121.

C. Iasevoli, I vizi dell'atto imputativo, in La nullità nel sistema processuale penale, Napoli, 2008, p. 417.

V. Maffeo, L'udienza preliminare tra diritto giurisprudenziale e le prospettive di riforma, Padova, 2008.

V. Maffeo, Il giudizio abbreviato, Napoli, 2004.

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