All’improvviso, nonostante la sorveglianza e i rigidi controlli dei servizi di sicurezza, il vento della primavera araba cominciò a soffiare anche in Siria, mettendo a dura prova il mito della solidità e della stabilità del regime del presidente Bashar Assad. Ben presto, nei primi mesi del 2011, le proteste di massa si diffusero da Homs a Damasco, da Banyas ad Aleppo.
A differenza di Tunisia, Egitto e Libia, in Siria la situazione era ben diversa innanzitutto da un punto di vista religioso. Infatti, in Siria circa il 10% della popolazione è di religione cristiana (sia cattolici che ortodossi), mentre il 75% circa è di religione musulmana di osservanza sunnita; la rimanente quota minoritaria è sì di religione musulmana, ma di osservanza alawita, una sorta di ramo siriano della più grande confessione religiosa sciita, ben radicata prevalentemente in Iran.
Di osservanza alawita sono tutti i componenti della famiglia presidenziale Assad, nonché tutte le alte cariche del regime e, soprattutto, larga parte dei militari delle ben addestrate unità di élite dell’esercito.
Le notizie della “primavera araba” tunisina ed egiziana sono state subito accolte dalla stragrande maggioranza della popolazione siriana di osservanza sunnita (per lungo tempo discriminata dalla vita politica) come la tanto attesa occasione liberatoria per protestare contro l’oppressivo regime degli Assad. Ma la risposta del regime nei confronti delle grandi manifestazioni popolari di protesta fu ovunque violenta, feroce e spietata, lasciando sul campo migliaia e migliaia di vittime civili, provocando inoltre un gran numero di profughi. Ben presto la Siria precipitò nel buco nero della guerra civile.
Questa guerra asimmetrica a tutt’oggi in corso fra il regime siriano e una parte consistente del suo popolo, ha riempito i notiziari televisivi e le pagine dei giornali di tutto il mondo, creando indignazione e sconcerto nell’opinione pubblica e nella comunità internazionale. A differenza di quanto è avvenuto nel caso della Libia (laddove è stato possibile attuare un intervento militare legittimato dall’Onu), nel caso della Siria, tutte le varie proposte di eventuali iniziative multilaterali messe in campo dalla comunità internazionale, si sono infrante sul veto assoluto posto da Russia e Cina a qualsiasi azione militare esterna comunque concepita, bloccando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
E così, la già difficile equazione siriana veniva complicata dall’incognita russa. Infatti, ben consapevole della cruciale posizione geostrategica del suo Paese, il presidente siriano Bashar Assad, non aveva mai smesso di coltivare buoni rapporti, non solo con l’irrequieto vicino regime sciita iraniano, ma anche e soprattutto con la Russia. Una Russia sempre più desiderosa di riprendere, dopo gli anni più bui del declino, una nuova politica di potenza, a cominciare proprio dal Mediterraneo orientale. Delle basi nel Mediterraneo, l’unica e sola, rimasta ininterrottamente in funzione (sopravvissuta allo smantellamento di tutte le basi navali russe all’estero) è proprio il Centro tecnico di manutenzione ospitato nel porto di Tartus che è, a tutt’oggi, in grado di fornire adeguata assistenza e rifornimenti di ogni genere alle navi russe in transito nel Mediterraneo. Il perimetro dell’area è presidiato da personale militare della rinata Marina russa. Insomma, nel Mediterraneo il Centro di Tartus rappresenta l’unica postazione militare in cui ancora sventola stabilmente, e da quarant’anni, la bandiera della Marina russa.
L’ostinazione del Governo di Mosca nel continuare a difendere, in tutte le sedi internazionali, quel che resta dell’indifendibile e dispotico regime siriano da possibili aggressioni militari esterne, comunque configurate, si spiega con la preoccupazione per le micidiali ripercussioni che un crollo non assistito di Assad provocherebbe in tutto il Medio Oriente. Se quel che resta della Siria di Assad crollasse all’improvviso per effetto, sia pur indiretto, di una, sia pur limitata e circoscritta, “azione punitiva” americana, per la Russia si aprirebbe uno scenario inquietante.
Mercoledì 21 agosto 2013 i media di tutto il mondo diffondevano le crudeli immagini di oltre mille morti ammazzati a Damasco con il gas nervino. Orrore e raccapriccio per quelle vittime, molte delle quali donne e bambini, scuoteva l’opinione pubblica, suscitando un rabbioso moto di indignazione e di autentica repulsione nei confronti del regime siriano e che, sul fronte emotivo, ha fatto spontaneamente salire in tutti una forte richiesta di giustizia e di intervento diretto da parte delle Nazioni Unite per farla finita con Assad e il suo regime. Ancora una volta la Russia in nome dei propri interessi geopolitici e geostrategici, si ostina a difendere, nelle varie sedi internazionali, l’attuale regime siriano, “ammonendo” i vari Attori statuali, a cominciare dagli Stati Uniti, a non prefigurare per la Siria soluzioni unilaterali, ma a creare, invece, i presupposti per una fase di transizione concertata, che si faccia carico degli interessi di tutti i soggetti coinvolti a livello internazionale ed a livello locale.
In questo quadro di forte incertezza si profilano ipotesi diverse e contrapposte e, soprattutto, non si sono ancora placati i minacciosi venti di guerra. Al tempo stesso, propiziato dagli appelli di Papa Francesco e dalle diplomazie europee, prima fra tutte da quella italiana, è stato avviato, ai primi di settembre 2013, a Ginevra il dialogo tra Kerry e Lavrov per una soluzione diplomatica della crisi. Una iniziativa che potrebbe spingere la comunità internazionale a farsi carico della crisi, nella prospettiva di convocare finalmente la tanto attesa conferenza internazionale, la cosiddetta «Ginevra due», cui dovrebbero partecipare, senza precondizioni e con spirito di pace, tutti gli Attori statuali e non statuali, globali e regionali, coinvolti.
Auspichiamo che tutto questo avvenga al più presto e che la tragedia del popolo siriano abbia termine.
1. Parte prima: Il Mediterraneo nel XX secolo
2. Il mediterraneo alla vigilia della prima guerra mondiale
3. Il mediterraneo e la prima guerra mondiale
4. Il Mediterraneo fra le due guerre mondiali
5. Il Mediterraneo nel secondo dopoguerra
6. La “Liberazione” del Mediterraneo
7. La Battaglia di Algeri e la Crisi di Suez
8. La politica mediterranea della Repubblica italiana
9. Il difficile cammino della pace nell'Oriente mediterraneo
10. Dalla Conferenza di Barcellona alla Unione per il Mediterraneo
11. Parte seconda: La Primavera araba e il nuovo scenario mediterraneo 2013
Articoli di Matteo Pizzigallo pubblicati sulla rivista scientifica trimestrale Gnosis, annata 2011-2013