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Immacolata Niola » 18.Esempi di lavorazioni pericolose: cokerie - industria tessile – industria della gomma


Cokerie

Sono gli impianti in cui viene prodotto il coke, combustibile solido artificiale ottenuto dal carbon fossile e impiegato soprattutto nell’industria metallurgica.

Il processo produttivo, detto cokizzazione o cokefazione, si basa sulla decomposizione termica del carbone per riscaldamento ad oltre 1.000 °C in assenza di aria (pirolisi o distillazione secca): in tali condizioni si formano un gas combustibile (detto gas coke) ed un residuo solido, il coke appunto.
Le fasi del processo sono:

  • preparazione della miscela di carbon fossile;
  • caricamento della miscela nelle batterie di forni a coke;
  • cokefazione;
  • sfornamento del coke;
  • spegnimento del coke;
  • trattamento del gas di cokeria;
  • trattamento del coke.

Cokerie (segue)

Fasi del processo
Preparazione della miscela di carbon fossile
I carboni di diversa qualità vengono inviati, mediante nastri trasportatori, al sito in cui, previa vagliatura, eventuale frantumazione e dosatura, sono miscelati per dar luogo al mix idoneo alla cokizzazione. Questo viene successivamente trasferito alla torre di stoccaggio, dotata di una serie di tramogge.
Caricamento della miscela nei forni a coke
Il mix di carbon fossile passa per gravità dalle tramogge della torre di stoccaggio a quelle di macchine caricatrici, le quali, spostandosi su dei binari, si posizionano sul forno da caricare: i coperchi delle bocchette di carica si aprono ed il carbone cade per gravità nel forno. Dopo il caricamento, le bocchette si richiudono e le caricatrici ritornano sotto la torre di stoccaggio per rifornirsi ancora di carbone da caricare in un altro forno.

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Fasi del processo (segue)
Cokefazione
E’ la fase attraverso la quale il carbone, riscaldato al di fuori del contatto con l’aria intorno ai 1.000 °C, è trasformato in coke e in sostanze volatili: una parte di queste ultime, condensando, forma il catrame, un’altra, incondensabile, costituisce il cosiddetto “gas di cokeria”, dalla cui combustione si ricava il calore necessario al processo. La cokefazione avviene in batterie di forni paralleli, a camere di sezione rettangolare (piedritti). Durante questa fase le porte ed i coperchi di carica sono chiusi.
Sfornamento del coke
Il coke ottenuto nella fase precedente viene estratto dalle porte laterali del forno, mediante un’asta sfornante posta su una macchina sfornatrice, per essere trasferito alla torre di spegnimento.
Spegnimento del coke
Il coke sfornato, incandescente, viene drasticamente raffreddato mediante irrorazione di acqua: si genera, così, una grande quantità di vapore, che diffonde nell’ambiente polveri carboniose.

Cokerie (segue)

Fasi del processo (segue)
Trattamento del gas di cokeria
Il gas prodotto dalla distillazione secca (pirolisi) del carbon fossile è costituito soprattutto da: idrogeno, metano, ossido di carbonio, anidride carbonica, azoto, ossigeno, idrocarburi, ammoniaca e idrogeno solforato. Tale miscuglio, per poter essere utilizzato come combustibile, deve subire un trattamento volto a rimuovere:

  • il catrame, mediante condensazione;
  • l’ammoniaca, per assorbimento con acqua o acido solforico;
  • la naftalina, per assorbimento con olio di antracene;
  • l’idrogeno solforato, mediante processi ad assorbimento (con carbonato di sodio o di potassio) oppure ossidativi.

Trattamento del coke
Consiste essenzialmente in operazioni di frantumazione e/o vagliatura.

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Rischio professionale
Il processo produttivo nelle cokerie espone i lavoratori a rischi sia di tipo infortunistico che chimico. Quest’ultimo è legato soprattutto alle emissioni ambientali di:

  • polveri contenenti IPA, in particolare benzo(a)pirene;
  • gas, contenenti benzene;
  • fumi contenenti varie sostanze, tra cui:
    • ossido di carbonio;
    • ossidi di azoto;
    • anidride solforosa;
    • idrogeno solforato;
    • mercaptani;
    • vapori ammoniacali;
    • cianuri;
    • ammine.

Rischi per la salute

  • neoplasie.
Vista di una batteria di forni a coke.Fonte:  Provincia di Savona

Vista di una batteria di forni a coke.Fonte: Provincia di Savona


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Principali emissioni ambientali nelle varie fasi del processo produttivo

  • Preparazione della miscela di carbon fossile: polveri. Si liberano nelle operazioni di manipolazione, frantumazione e vagliatura dei carboni;
  • caricamento della miscela nelle batterie di forni: polveri. Si liberano per la perdita di tenuta tra macchina caricatrice e forno, dalle porte dei forni, dai coperchi ecc.;
  • cokefazione: polveri, ossidi di zolfo e di azoto. Si liberano dal camino di conduzione dei gas di cokeria, dalle porte dei forni, dai coperchi delle bocchette di carica ecc.;
  • sfornamento del coke: polveri, fumi e sostanze volatili. Si liberano all’apertura delle porte dei forni e durante il trasferimento del coke dalle celle al carro di spegnimento;
  • spegnimento del coke: vapore, che trascina polveri carboniose;
  • trattamento del gas di cokeria: gas coke, catrame, oli di lavaggio, idrocarburi aromatici, IPA;
  • trattamento del coke: polveri, derivanti dal trasferimento dello stesso e dalle relative operazioni di frantumazione/vagliatura.

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Misure di prevenzione nelle diverse fasi

  • Nella preparazione della miscela di carbon fossile: adeguata umidificazione del carbone e captazione delle polveri;
  • nel caricamento della miscela nelle batterie di forni: impiego di macchine caricatrici e di tecniche smokeless, che garantiscono una tenuta rigida con il forno da caricare;
  • nella cokefazione: realizzazione di una perfetta tenuta a livello delle porte dei forni e dei coperchi dei tubi di sviluppo, sigillatura dei coperchi di carica, accurata pulizia di tutti i componenti dell’impianto, riparazione delle rotture del materiale refrattario, accurata manutenzione;
  • nello sfornamento del coke: captazione dei fumi e delle sostanze volatili e depolverazione mediante filtro a tessuto;
  • nello spegnimento del coke: ritenzione del particolato trascinato dal flusso di vapore mediante opportuni setti applicati alle torri di spegnimento; spegnimento a secco;
  • nel trattamento del gas di cokeria: impiego di pompe a tenuta e di connessioni saldate;
  • nel trattamento del coke: adeguata umidificazione del coke, captazione delle polveri, depolverazione mediante filtro a tessuto.

E’ fondamentale per i lavoratori l’utilizzo di DPI.

Lo stabilimento Ilva e la cokeria di Taranto

L’impianto siderurgico di Taranto è sorto nei primi anni ‘60 come quarto centro siderurgico italiano. Ha avuto un rapido sviluppo, divenendo presto l’impianto più grande d’Europa, con una produzione di acciaio di 11,5 mln di tonnellate nel 1975 ed un’occupazione massima, raggiunta nel 1980, di circa 22mila dipendenti. Nel 1995 è stato acquisito dal Gruppo Riva, il primo produttore di acciaio in Italia e il terzo in Europa. A fine 2008, occupava oltre 12.800 unità.
L’area cokeria
Comprende attualmente 10 batterie di forni ed è divisa in tre reparti principali:

  • trattamento del carbon fossile e del coke;
  • produzione del coke;
  • trattamento del gas di cokeria.

Vi lavorano circa 830 persone.

Il rischio ambientale a Taranto

Alcuni dati significativi

  • Nel 1998, un Decreto del Presidente della Repubblica definisce la città di Taranto “area ad elevato rischio di crisi ambientale” (DPR 23 aprile 1998), a causa dell’alto tasso di inquinamento atmosferico;
  • negli anni ‘90 si registra nella città una mortalità per cancro, a carico dell’apparato respiratorio e del sangue, superiore alla media nazionale e a quella delle altre province meridionali;
  • ancora nel 2007 si segnalano 594 ricoveri per cancro al polmone e 55 per carcinoma della pleura;
  • l’insorgenza di tali tumori si verifica soprattutto tra i residenti nell’area industriale ed è correlabile all’esposizione a Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), in particolare al benzo(a)pirene, nonché al benzene;
  • nel quartiere Tamburi, ubicato a ridosso della cokeria dell’ILVA:
    • si segnalano ogni anno due decessi per tumore;
    • nei primi 5 mesi del 2010, si rilevano concentrazioni di benzo(a)pirene tre volte superiori ai limiti di legge (3 ng/m3, invece che 1 ng/m3);
    • il 98% delle emissioni cancerogene di IPA viene attribuito alla cokeria.

Il rischio per i lavoratori della cokeria

Nel 1993, un’indagine eseguita dal Servizio di Igiene e Sicurezza del Lavoro dell’USL di Taranto, volta ad apprezzare l’esposizione dei lavoratori della cokeria agli IPA ed, in particolare, al benzo(a)pirene, evidenziò valori molto alti per gli addetti ai coperchi ed alle caricatrici.
Nel 1999-2000, nell’ambito di una perizia disposta dal Tribunale di Taranto, fu condotta un’ulteriore indagine, dalla quale scaturirono ancora valori di esposizione al benzo(a)pirene superiori ai limiti adottati in alcuni paesi stranieri per gli addetti all’apertura dei coperchi ed alla sfornatrice.
Questi ed altri studi portarono a concludere che il rischio cancerogeno da benzo(a)pirene per i lavoratori della cokeria era molto alto, risultando mille volte maggiore del rischio generico di mortalità nell’industria.

Interventi imposti o consigliati

  • spegnimento delle batterie di forni più obsolete;
  • aspirazione allo sfornamento del coke;
  • riduzione del regime di produzione;
  • spegnimento a secco;
  • abbattimento delle emissioni della cokefazione a livello dei camini;
  • monitoraggio delle emissioni a vari livelli.

Industria tessile

Settori di competenza dell’industria tessile

  • Produzione dei materiali;
  • lavorazione;
  • finissaggio;
  • colorazione;
  • confezionamento.

Rischio professionale
Sulla base di studi epidemiologici, la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha inserito le attività tessili nel gruppo 2B, ravvisando una limitata evidenza di cancerogenicità a livello di:

  • vescica, per tintori e tessitori, in conseguenza dell’esposizione a coloranti azoici*;
  • seni paranasali, per i tessitori, in seguito all’inalazione di polveri da fibre e tessuti.

* Il Regolamento (CE) 1907/2006 ha incluso i coloranti azoici tra le sostanze soggette a “restrizione”, vietando l’uso di quelli che possono generare una o più ammine aromatiche pericolose.

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Altri organi nei quali si è registrato un incremento di neoplasie tra i lavoratori tessili sono:

  • orofaringe;
  • laringe;
  • esofago;
  • stomaco;
  • colon retto;
  • polmone;
  • sistema emopoietico.

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Il rischio silicotigeno nella sabbiatura dei tessuti
Pratica della sabbiatura

E’ un trattamento consistente nel lanciare, sotto pressione, sabbia quarzifera al 98% di silice (SiO2) su capi di abbigliamento, in particolare jeans, al fine di realizzare un effetto “invecchiamento” molto apprezzato dai giovani.

Modalità operative
Si può procedere, in alternativa, con:

  • un ciclo produttivo completamente manuale → prevede due figure professionali: sabbiatore e aiuto-sabbiatore;
  • un ciclo produttivo semi-automatizzato prevede la presenza del solo sabbiatore.

Rischi per i lavoratori
Sono costituiti essenzialmente dall’inalazione delle particelle di silice, con possibilità di contrarre un cancro polmonare (la SiO2 cristallina è stata classificata dalla IARC come agente cancerogeno del Gruppo 1) e la silicosi.

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Limiti di esposizione alla silice libera

  • Valore di soglia proposto dall’ACGIH nel 1999 per il quarzo respirabile: 0,1 mg/m3;
  • valore di soglia adottato dall’INAIL per l’obbligo assicurativo: 0,05 mg/m3 di quarzo respirabile;
  • valore di soglia proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: 0,04 mg/m3 di quarzo respirabile.

Indagine effettuata presso 6 aziende della provincia di Pesaro – Urbino
Dallo studio è emerso:

  • un sensibile rischio di esposizione alla silice libera cristallina aerodispersa, soprattutto per gli addetti al ruolo di aiuto-sabbiatore;
  • un funzionamento non ottimale dei sistemi di aspirazione;
  • l’opportunità di adottare un sistema aspirante in grado di assicurare una velocità di cattura dell’aria compresa tra 2,5 e 10 m/s, in linea con quanto suggerito dall’ACGIH.

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Il rischio silicotigeno nella sabbiatura dei tessuti (segue)

Metodi di prevenzione e controllo

  • Sostituzione della sabbia quarzifera con altri materiali non patogeni o meno patogeni (es. sabbia olivinica);
  • sistemi di aspirazione efficaci;
  • DPI per le vie respiratorie.

L’industria della gomma

Che cosa è la gomma
La gomma è un elastomero, ossia un materiale polimerico dotato di elasticità. Con tale
termine si indica la capacità del polimero di subire notevoli allungamenti in seguito a
trazione, per poi tornare rapidamente alla dimensione iniziale al cessare della
sollecitazione.

Classificazione
Gli elastomeri si dividono in:

  • naturali, costituiti essenzialmente dalla gomma naturale o caucciù;
  • sintetici (gomma polibutadiene, butadiene-stirene, poliisoprene, butile, nitrile ecc.).

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Lavorazione della gomma
Si distinguono quattro fasi principali:

  • masticazione (depolimerizzazione delle macromolecole per azione combinata della lavorazione meccanica, del calore e dell’aggiunta di agenti degradanti);
  • mescola (aggiunta di additivi: rinforzanti, stabilizzanti, protettivi, antiossidanti, plastificanti, acceleranti e vulcanizzanti);
  • formatura (per calandratura, estrusione o stampaggio);
  • vulcanizzazione (trattamento a 140-180 °C con zolfo elementare e/o con composti di zolfo per aumentare l’elasticità e la resistenza della gomma).

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La produzione di gomma spalmata
Tessuti spalmati (o gommati)
Sono costituiti da un supporto tessile rivestito di gomma: il supporto tessile (cotone,
nylon, poliestere ecc.) conferisce al manufatto le caratteristiche meccaniche, l’elastomero
l’impermeabilità o l’elasticità.

Principali applicazioni: impermeabili, teloni per camion, teli ombreggianti, coperture
nautiche, gommoni e scialuppe, vele, circhi, coperture di piscina, articoli sanitari,
serbatoi ecc.

Fasi della produzione

  • preparazione della mescola di gomma;
  • preparazione della soluzione (mescola + solventi + additivi);
  • spalmatura;
  • eventuale calandratura;
  • vulcanizzazione
  • finitura.

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Rischi professionali
Nelle varie fasi di fabbricazione dei tessuti gommati e, più in generale, in tutto il ciclo
produttivo riferibile all’industria della gomma, si individuano vari fattori di rischio per la
salute e la sicurezza dei lavoratori. Fra essi i principali sono:

  • Il rischio infortunistico per:
    • urti, investimenti o schiacciamenti da carrelli elevatori o altri mezzi circolanti, nella movimentazione delle materie prime;
    • contatto accidentale con superfici calde degli impianti e con organi in movimento;
    • incendi, con possibili ustioni, difficoltà respiratoria e intossicazione da gas e fumi densi.
  • Il rischio rumore, per attrito fra parti metalliche, trasmissioni meccaniche, flussi di aria compressa ecc.
  • Il rischio da movimentazione manuale di carichi.
  • Il rischio chimico, dovuto soprattutto a:
    • contatto cutaneo con componenti della mescola;
    • reazioni allergiche per le vie respiratorie e la cute da agenti vulcanizzanti e reticolanti;
    • esposizione a solventi;
    • esposizione a fumi di decomposizione termica.

L’industria della gomma (segue)

Rischi professionali (segue)
Il rischio cancerogeno nell’industria della gomma

E’ stato associato all’impiego, soprattutto in passato, e alla possibile liberazione, nel corso del processo
produttivo, di alcune sostanze dimostratesi oncogene. La fase più preoccupante è quella della
vulcanizzazione, per le alte temperature raggiunte. Sono stati individuati, tra gli altri, i seguenti organi e sistemi a rischio:

  • vescica, per esposizione ad ammine aromatiche, oggi vietate;
  • apparato respiratorio, per gli IPA, che possono liberarsi come prodotti di decomposizione termica, e per l’amianto, talvolta ancora presente nelle presse di vulcanizzazione;
  • sistema emopoietico (con sviluppo di leucemie), per esposizione a solventi, quali il benzene (il cui uso è, però, oggi sottoposto a restrizioni ed avviene in ciclo chiuso);
  • stomaco, per le nitrosammine che possono svilupparsi da additivi impiegati nella vulcanizzazione;
  • cute, per contatto con il nerofumo, usato nella mescola di gomma come carica rinforzante, o con oli minerali usati come plastificanti;
  • altri organi, per esposizione a monomeri presenti come impurezze nei polimeri impiegati (stirene, CVM, isoprene, cloroprene, acrilonitrile ecc.).

L’industria della gomma (segue)

Rischi professionali (segue)

Alcune misure di prevenzione e protezione dal rischio chimico

  • adozione di cicli di lavorazione chiusi;
  • adozione di idonei impianti di aspirazione;
  • corretta aerazione dei locali;
  • DPI per vie respiratorie, occhi e cute;
  • formazione/informazione degli addetti.
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Progetto "Campus Virtuale" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, realizzato con il cofinanziamento dell'Unione europea. Asse V - Società dell'informazione - Obiettivo Operativo 5.1 e-Government ed e-Inclusion

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