Proprietà
Il PVC (PoliVinilCloruro o Cloruro di PoliVinile)) è una resina termoplastica ottenuta dalla polimerizzazione di molecole di CVM (cloruro di vinile monomero).
Si presenta come un solido bianco, insolubile in acqua, di densità pari a 1,40-1,45 g/c3; ha una temperatura di rammollimento compresa tra i 78 e gli 82°C e fonde fra 100 e 260°C. È un materiale molto durevole, dotato di soddisfacenti proprietà meccaniche, buona resistenza all’abrasione, all’usura, agli agenti chimici e atmosferici e all’attacco di funghi e batteri; allo stato puro risulta, tuttavia, molto sensibile alla luce e al calore.
L’ottimo rapporto costo/prestazioni e le ampie possibilità applicative ne hanno fatto una delle plastiche più largamente utilizzate al mondo.
Cenni storici
Principali impieghi
Il PVC è un materiale molto versatile, che si presta alla produzione di una vastissima gamma di manufatti sia rigidi che flessibili, grazie all’impiego di opportuni additivi: questi, inglobati dal polimero, gli conferiscono le caratteristiche necessarie alla lavorazione richiesta.
Le applicazioni più diffuse sono nei settori:
La produzione del PVC si articola in 3 step:
Il prodotto finale viene poi lavorato, in modo da assumere la forma idonea alla realizzazione del manufatto richiesto.
Sintesi del CVM
Il CVM deriva dalla reazione tra cloro ed etilene, attraverso la formazione di un composto intermedio: il dicloroetano (DCE). In particolare, l’impianto di produzione del monomero è costituito da 3 sezioni, in cui hanno luogo rispettivamente:
Sintesi del CVM
Fase 1): formazione del DCE
Il cloro viene fatto reagire con l’etilene (idrocarburo derivante dalla distillazione frazionata del petrolio) in una unità di clorurazione diretta, formando DCE (dicloroetano);
Fase 2): decomposizione termica del DCE (cracking)
Il DCE ottenuto nella fase precedente viene trattato termicamente, a 500 °C, in una unità di cracking, decomponendosi in cloruro di vinile monomero e acido cloridrico;
Fase 3): produzione di ulteriore DCE
L’acido cloridrico generato dalla decomposizione del DCE viene recuperato e reimpiegato a monte nel processo: esso, infatti, è convogliato in una unità di ossiclorurazione, dove reagisce con altro etilene in presenza di ossigeno e di un catalizzatore, producendo altro dicloroetano.
Polimerizzazione del CVM
Il CVM, separato dagli altri composti e purificato, viene caricato insieme ad opportuni additivi nel reattore di polimerizzazione per la produzione di PVC.
Il processo, innescato dall’aggiunta di un “iniziatore”, può avvenire secondo 3 modalità:
Polimerizzazione del CVM
Polimerizzazione in soluzione
Attualmente non ha peso industriale. Il CVM viene disperso in un solvente organico, in cui il PVC sia insolubile: in tal modo, il polimero formatosi può essere facilmente separato per filtrazione.
Polimerizzazione in emulsione
È il metodo con il quale viene prodotto il 5% del PVC in commercio. Il CVM è liquefatto mediante pressione ed emulsionato in acqua in presenza di emulsionanti. Il polimero ottenuto viene separato per precipitazione o per asciugatura con aria calda.
Polimerizzazione in sospensione
È il processo più diffuso in Europa e negli USA, dove viene utilizzato per produrre circa il 95% del PVC totale. Consiste nel disperdere il CVM in acqua e nel mantenerlo in sospensione mediante agitazione e sostanze tensioattive. Si ottengono granuli di polimero, che vengono separati per filtrazione e, quindi, asciugati.
In tutti i casi, dunque, la polimerizzazione avviene in un mezzo liquido che, evaporando, disperde il calore sviluppato dalla reazione (trattasi, infatti, di reazione esotermica): si scongiura, così, il rischio di surriscaldamenti o, addirittura, di formazione di miscele esplosive, che potrebbero, invece, verificarsi con una “polimerizzazione in massa”. È questo il motivo per cui si preferisce non ricorrere a tale metodo.
Compoundizzazione
È la fase in cui il PVC ottenuto con la polimerizzazione, dopo essere stato privato del CVM residuo ed essere stato essiccato, viene miscelato ed omogeneizzato ad alta temperatura con alcuni additivi per acquisire le caratteristiche più idonee ai diversi tipi di impiego.
Gli additivi utilizzati possono essere: stabilizzanti; plastificanti; lubrificanti; cariche; pigmenti e coloranti.
Stabilizzanti. Vengono aggiunti alla resina nella misura dell’1% per proteggere la stessa durante la formatura e rendere i manufatti in opera resistenti all’invecchiamento e alla degradazione, altrimenti determinata dalla luce e dal calore. Possono essere costituiti da saponi di piombo o di calcio-zinco, da derivati organometallici dello stagno ecc. In passato si è usato anche il cadmio, poi abolito in quanto tossico e cancerogeno.
Compoundizzazione
Plastificanti. Sono sostanze in grado di conferire al PVC flessibilità ed elasticità tali da renderlo idoneo alla produzione di una vasta gamma di manufatti diversamente flessibili. Tra i più comuni vi sono gli ftalati, i citrati e gli adipati.
Lubrificanti. Servono a rendere la mescola più facilmente lavorabile, riducendone l’attrito con la macchina trasformatrice. Sono costituiti essenzialmente da saponi metallici.
Cariche (o riempitivi). Conferiscono al PVC caratteristiche quali rigidità, durezza, resistenza agli agenti chimici, stabilità dimensionale; inoltre, consentono di ridurre il costo della mescola. Quello più comunemente usato è il carbonato di calcio.
Pigmenti e coloranti. I primi (come il biossido di titanio) sono utilizzati come opacizzanti, i secondi per manufatti trasparenti.
Agli additivi suddetti possono aggiungersene altri del tipo ritardanti di fiamma, antiurto, espandenti ecc., a seconda delle caratteristiche da conferire al manufatto richiesto.
Il PVC, stabile e privo di rischi a temperatura ambiente, potrebbe costituire un serio pericolo per i lavoratori durante la produzione e nella fase di trattamento dei manufatti a fine vita, ove non si adottassero le necessarie misure di prevenzione.
Rischi nella fase di produzione del PVC e dei relativi manufatti
Sono potenzialmente associati alla presenza di materie prime o intermedi di reazione, quali:
- il cloro;
- l’etilene;
- il dicloroetano;
- il cloruro di vinile monomero;
- l’acido cloridrico;
- le polveri;
- gli additivi.
Cloro. Viene impiegato con l’etilene nella sintesi del DCE. È un gas:
Rischi nella fase di produzione del PVC e dei relativi manufatti (segue)
Etilene. Viene impiegato con il cloro nella sintesi del DCE. È un gas estremamente infiammabile. Se inalato, determina nausea, capogiri e può indurre uno stato di incoscienza o, addirittura, la morte per ipossia.
Dicloroetano. Intermedio di reazione nella sintesi del CVM (v. slide n. 4 e n. 5), è pericoloso in quanto:
Cloruro di vinile monomero: vedi lezione n. 9, slide n. 1.
Rischi nella fase di produzione del PVC e dei relativi manufatti (segue)
Acido cloridrico. Deriva, con il CVM, dalla decomposizione termica del DCE e viene, a sua volta, impiegato nella ossiclorurazione (v. slide n. 5). I suoi vapori sono irritanti per le mucose, le congiuntive e la faringe. Allo stato secco:
Polveri. Possono essere emesse dalla sezione di essiccamento del PVC, ma anche dai sili di stoccaggio della resina o durante l’insaccamento della stessa. Altre fasi in cui vi è rischio di esposizione sono la preparazione della mescola e le operazioni di pulizia delle macchine e dei locali. Possono determinare irritazioni degli occhi e delle vie respiratorie. Secondo alcuni studi, non può escludersi la possibilità che siano causa di pneumoconiosi (malattie professionali croniche dei polmoni conseguenti all’inalazione di polveri dannose), né che possano contenere residui di CVM.
Rischi nella fase di produzione del PVC e dei relativi manufatti (segue)
Additivi. Possono essere rilasciati soprattutto durante la compoundizzazione. Per alcuni plastificanti sono stati riportati casi di neurotossicità ed epatossicità legati ad esposizione professionale. Anche la presenza di piombo, usato in questo ciclo produttivo come stabilizzante, desta qualche preoccupazione, trattandosi di un elemento neurotossico: esso, in qualche lavorazione in cui, però, entrava come elemento principale, ha determinato amnesia, difficoltà di concentrazione, fino a sindromi neurofisiologiche di maggiore gravità. Per questo motivo vi è l’impegno ad eliminarlo entro il 2015. Taluni ritardanti di fiamma possono provocare irritazioni cutanee (es. triossido di antimonio) o danni epatici (es. molibdeno). Alcuni ossidi metallici usati come pigmenti possono causare problemi in seguito all’inalazione delle polveri.
Rischi nella fase di trattamento dei manufatti a fine vita
Al termine del loro ciclo di vita, i manufatti in PVC non recuperati con la raccolta differenziata vengono inviati agli impianti di termodistruzione o alla discarica.
Rischi di emissioni negli impianti di termodistruzione. Sarebbero in parte legati al rilascio in atmosfera di plastificanti e di altri additivi, come pure alla formazione di prodotti di reazione secondari. I timori più diffusi riguardano, però, la liberazione di acido cloridrico, nonché di diossine, sostanze di riconosciuta tossicità generate dalla combustione a basse temperature (inferiori ai 500 °C) di composti clororganici, quale appunto il PVC. Va sottolineato, comunque, che diversi studi escludono l’esistenza di una correlazione tra il contenuto di tale polimero nei rifiuti e la formazione di diossine.
Rischi di emissioni dalle discariche. Potrebbero verificarsi in caso di incendi accidentali delle stesse con l’eventuale liberazione di diossine nel particolato.
I rischi esaminati nelle slide precedenti, allo stato attuale, non dovrebbero più sussistere, almeno in Europa e in Italia, essendo state adottate una serie di misure che impediscono l’esposizione dei lavoratori agli agenti pericolosi. I moderni impianti prevedono, infatti:
Alle misure generali di sicurezza riportate nella slide precedente si aggiungono quelle specifiche delle diverse fasi di produzione e che riguardano il trattamento degli effluenti liquidi e gassosi.
I fase (sintesi del DCE)
II fase (produzione del CVM)
III e IV fase (polimerizzazione e scarico)
Con il complesso delle misure riportate, l’esposizione dei lavoratori al CVM negli stabilimenti moderni è risultata compresa mediamente tra 1/10 e 1/100 dei limiti massimi consentiti dalla normativa europea, pari a 3 ppm.
Quanto alle emissioni dagli impianti di termodistruzione, queste possono essere efficacemente controllate con una adeguata gestione degli impianti stessi. In particolare, si prevede:
1. Infortuni e malattie professionali
2. Principali malattie professionali denunciate nel comparto industriale
3. Fattori di rischio fisici: rumore - vibrazioni
4. Fattori di rischio fisici: radiazioni ionizzanti- campi elettromagnetici - videoterminali
5. Rischio biologico - Rischio Chimico e variabili che lo influenzano
6. Agenti chimici pericolosi per la sicurezza e per la salute
8. Agenti cancerogeni. L'amianto
9. Rischio da altri agenti cancerogeni
10. Gestione dell'emergenza - impianti ad alto rischio
11. Sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL)
12. Normativa di riferimento sul sistema sicurezza sul lavoro in Italia
14. Esempi di lavorazioni pericolose: la produzione di pvc
15. Esempi di lavorazioni pericolose: il caso del petrolchimico di Porto Marghera
16. Esempi di lavorazioni pericolose: produzione e applicazione degli asfalti
17. Esempi di lavorazioni pericolose: il trattamento dei rifiuti
18. Esempi di lavorazioni pericolose: cokerie - industria tessile – industria della gomma
Miniero R., Comba P., Stacchini G., “Impatto ambientale e sanitario degli stadi produttivi e dello smaltimentodel cloruro di polivinile PVC”