L’analisi chimica strumentale persegue gli stessi obiettivi dell’analisi chimica analitica qualitativa e quantitativa classica, ma utilizza delle tecniche strumentali cioè degli apparecchi opportunamente progettati che sfruttano fenomeni:
In questo modo è possibile realizzare in modo rapido e riproducibile moltissimi tipi di analisi sia qualitativa che quantitativa.
L’analisi chimica strumentale si basa sull’impiego di strumentazioni che necessitano dell’energia elettrica per il loro funzionamento e per tale motivo questa branca della Chimica Analitica è relativamente “giovane”.
La Chimica Analitica ha compiuto un grande balzo in avanti allorché ha potuto iniziare ad utilizzare le strumentazioni analitiche di cui si daranno dei brevi cenni.
Metodi Ottici
Metodi Elettorchimici
Metodi Cromatografici
Nelle analisi chimiche strumentali, molto spesso, la risposta fornita dallo strumento deve essere convertita nel risultato analitico. Uno dei metodi più usati in moltissime tecniche strumentali è la retta di lavoro, un grafico costruito sperimentalmente per un determinato analita prima di iniziare l’analisi vera e propria del campione.
La relazione lineare della risposta del segnale in riferimento ad un parametro di tipo chimico (Concentrazione, quantità di materia etc.) garantisce che l’analisi può essere realizzata in un intervallo che può essere più o meno ampio a seconda dell’analita e della strumentazione impiegata.
Uno strumento analitico è un sistema che reagendo a determinate sollecitazioni in ingresso produce una risposta, che di solito è la misura di una qualche grandezza fisica (figura a lato).
Se si ipotizza che x sia la concentrazione dell’analita ed y la risposta dello strumento, che dipende dal principio di funzionamento, è possibile in ogni procedura di tipo analitico identificare la relazione y = f(x) che lega univocamente le due grandezze e la cui rappresentazione cartesiana è detta curva di lavoro.
Per comodità di lavoro, si lavora in condizioni tali che la curva di taratura si riduce ad una retta, espressa da una relazione del tipo y = b1x + b0 dove:
Per determinare questa relazione e quindi tracciare la retta di lavoro, che consentirà in seguito la determinazione quantitativa dell’analita, si utilizzano uno o più standard di lavoro (a concentrazione x nota), leggendo allo strumento il valore della grandezza y e quindi riportando i punti su di un diagramma cartesiano.
Fonte: Itis Faccio
Sono soluzioni a diversa concentrazione che vengono utilizzate per costruire la retta di lavoro. Sono preparate a partire da soluzioni standard concentrate che vengono poi opportunamente diluite senza commettere errori apprezzabili durante la loro preparazione.
Tenendo conto che gli errori casuali producono un’incertezza nella posizione dei punti, si utilizzano più standard di lavoro (non meno di 3) sui quali viene misurata una determinata grandezza dall’apparecchio utilizzato, producendo altrettanti segnali analitici. Queste due serie di valori vengono riportati in grafico ed i punti si dispongono secondo una retta, anche se non sono perfettamente rettilinei per via degli errori casuali.
La retta di lavoro viene tracciata mediante regressione, cercando cioè con metodi matematici, la relazione di dipendenza più probabile statisticamente, che meglio approssima i punti sperimentali
Dopo aver costruito la retta di lavoro è possibile analizzare il campione nelle stesse condizioni operative utilizzate per costruire la retta di lavoro: il segnale rilevato (cioè il valore della grandezza y del campione), viene utilizzato nella retta di lavoro per valutare la corrispondente grandezza x, cioè la concentrazione incognita del campione. In questo modo si trasforma la risposta dello strumento nel dato analitico cercato.
Normalmente un campione è costituito da miscele di sostanze: la sostanza che si intende dosare viene detta analita mentre tutte le altre costituiscono la matrice, formata dal solvente e da eventuali sostanze interferenti (additivi, regolatori di pH, etc), che producono un segnale nell’apparecchio. La matrice può provocare delle anomalie nell’analisi, dette appunto effetto matrice, che possono alterare i risultati ottenuti, in quanto le interferenze producono nell’apparecchio di misura un segnale che si somma a quello dell’analita e quindi altera i risultati ottenuti. Per questo motivo la misura degli standard con l’apparecchio è riferita al cosiddetto “bianco” (italianizzazione del termine inglese “blank”) che deve comprendere la sola matrice, rispetto al quale viene azzerato l’apparecchio di misura. In questo modo le misure fatte sugli standard e riportate in grafico nella costruzione della retta di lavoro non risentano dell’effetto matrice e quindi i risultati ottenuti sono migliori.
Si supponga di voler determinare la concentrazione di saccarosio in un campione di patate. Da indagini bibliografiche è emerso che la concentrazione dell’analita si attesta intorno ai 4000 mg/kg (Rocculi et. al. Effects of the application of anti-browning substances on the metabolic activity and sugar composition of fresh-cut potatoes, Postharvest Biology and Technology 43 (2007) 151–157). Considerando che il campione è stato diluito di 10 volte, si decide di costruire una curva di calibrazione costituita dai seguenti punti: 300 ppm; 400 ppm, 500 ppm) (si preparano delle soluzioni madri diluite di saccarosio).
Analizzando le soluzioni madri allo strumento (almeno tre punti per ogni soluzione madre che sono, poi, mediati) si sono ottenuti i seguenti risultati.
Dopo aver letto il campione incognito, lo strumento fornisce un segnale pari a 87465,89 che corrisponde a 336,83 ppm (87465,89 = 1,6088x + 87024).
Considerando che il campione è stato diluito 10 volte, la concentrazione di saccarosio nelle patate è pari a 3368,3 ppm ossia 0,34 g su 100g di prodotto fresco.
2. Il laboratorio di chimica analitica
3. La sicurezza in laboratorio
4. L'analisi qualitativa inorganica
8. Titolazioni di neutralizzazione
9. Titolazioni di neutralizzazione - parte seconda
10. Alcalimetria
11. Acidimetria
12. Titolazioni di precipitazione
13. Metodo di Mohr
15. Titolazioni complessometriche
16. Titolazioni di ossidoriduzione
18. Cenni di analisi chimica strumentale
20. Cromatografia
21. Potenziometria
Douglas A. Skoog, Donald M. West F. James Holler; Chimica analitica una introduzione; edizioni EdiSes