All’apice della strategia di presenza del brand sono posti quelli spazi opportunamente definiti “flagship store”, appunto gli edifici insegna della marca.
Solitamente si insediano nei centri di maggior importanza internazionale collocandosi nelle strade di maggiore richiamo commerciali.
La realizzazione di un edificio che per dimensioni, qualità espressiva e capacità di attrazione, sia in grado di proiettare le idee e lo spirito che stanno dietro ad una storia aziendale, costituisce una delle strategie di comunicazione più recenti ed efficaci nel mondo degli spazi commerciali.
Praticamente tutte le aziende più note del sistema della moda si sono adeguate, con propri flagship, a questa modalità di autorappresentazione.
I flagship stores sono luoghi attraverso cui la marca si manifesta all’interno dello spazio urbano contemporaneo attraverso una nuova forma di mecenatismo. Esso che si basa sulla costruzione di straordinari episodi architettonici che esulando dal puro interesse commerciale, rappresentano elementi che, per eccezionalità ed interesse, contribuiscono alla creazione dell’identità urbana contemporanea delle più importanti metropoli mondiali.
Ognuno di questi flagship store rappresenta uno straordinario ed esclusivo episodio di sperimentazione progettuale, con alcune costanti ricorrenti.
La prima è certamente l’assenza di qualunque interesse verso la monumentalizzazione della marca.
I registri espressivi più diffusi evitano l’utilizzo di una fisicità massiva ed incombente, perseguendo piuttosto l’idea della trasparenza, e di una continuità, nella costruzione, dello spazio interno ed esterno.
Uno degli esempi più evocati dai progettisti di questi enormi show room è la semplice Maison de Verre di Parigi, un volume regolare rivestito di vetro e sorretto da un’esile struttura in ferro. Composizione che sul finire degli anni Venti del secolo scorso, consentì a Pierre Chareau di strutturare liberamente lo spazio interno dell’immobile e che da allora rappresenta un modello di leggerezza ed essenzialità nell’architettura.
Per un approfondimento nella descrizione della Maison de Verre si veda:
Taylor B.P., Pierre Chareau designer and Archietct.Köln: Benedikt Taschen, 1992.
Nel confronto tra queste due immagini si evidenzia come nella Maison de Verre di Pierre Charreau, uno degli edifici simbolo del modernismo architettonico degli anni venti, e nella Maison Hermes a Tokyo, uno dei più emblematici e recenti Flagship Stores realizzato agli inizi del duemila dall’architetto italiano Renzo Piano, il comune obiettivo della trasparenza e della leggerezza, siano stati ottenuti mediante l’uso dei medesimi materiali, quali il mattone in vetro ed il ferro.
L’uso del ferro e del vetro rappresenta una delle modalità più frequenti ed efficaci, attraverso cui concretizzare quei valori di leggerezza e trasparenza attraverso cui la marca si manifesta nella sua rappresentazione più sofisticata, evitando il rischio di una presenza massiva che porterebbe ad una sua sovraesposizione nel contesto urbano.
Prada epicentro, Tokyo, 2003, Arch.tti Herzog & de Meuron. Inserimento dell'edificio all'interno del quartiere Aoyama di Tokyo
Il principio del volume trasparente, si ritrova chiaramente applicato nell’epicentro Prada di Tokyo, progettato dallo studio svizzero Herzog & de Meuron.
In una esaltazione macroscopica dell’idea della trasparenza propria della vetrina, i progettisti hanno utilizzato su tutto l’edificio lastre di rivestimento di vetro piatto, concavo e convesso, con una disposizione continua a losanga.
Il risultato è un involucro, molto simile a un’enorme arnia di cristallo, che altera le prospettive e riprende la capacità, già ampiamente utilizzata nell’architettura classica, di giocare con la rifrazione e l’intensità della luce.
In passato ciò avveniva dando un illusorio effetto di rilievo ai rivestimenti, attraverso sporgenze e rientranze realizzate mediante modanature, cornici, o utilizzando materiali microalveolati come il travertino. Oggi questa ricerca è ripresa con i materiali tipici della modernità come la geometria ed il cristallo.
Prada epicentro, Tokyo, 2003, Arch.tti Herzog & de Meuron. Modello di studio con articolazione dei vari livelli
La parte strutturale della facciata è realizzata attraverso uno scheletro metallico con una configurazione a losanga, al cui interno sono fissate le vetrate che, alternatamente, si allineano, fuoriescono o rientrano dal filo del volume.
In questo modo la facciata prende vita in rapporto alla luce, ottenendo un effetto di profondità insolito per un edificio in vetro.
Le due immagini illustrano lo scheletro strutturale della facciata ed una vista dell’effetto ottenuto dalla combinazione di lastre concave, convesse e piane.
Prada epicentro, Tokyo, 2003, Arch.tti Herzog & De Meuron. Facciata con articolazione delle tamponature in vetro
Maison Hermes, Tokyo, 2001, Arch. Renzo Piano. Particolare della facciata in mattoncini di vetro quadrati
Ancora grazie alla trasparenza del vetro, nel cuore di Tokyo si eleva, quasi immateriale, la Maison Hermes di Renzo Piano. Alla luce diurna, l’edificio di Hermes comunica la sensazione visiva di una superficie liquida, vibratile nella sua continua mutevolezza cromatica. Con l’illuminazione notturna la torre di Piano cambia e si trasforma da elemento di assorbimento e rifrazione, in fonte luminosa che irradia la sua evidenza nel panorama della Tokyo notturna.
Lo strato esterno di rivestimento è composto di 13.200 piastrelle di vetro traslucido. Ogni pezzo è stampato attraverso un procedimento che unisce all’alta prestazione del prodotto tecnologico, la singolare qualità espressiva del prodotto artigianale. Attraverso piccole imperfezioni introdotte volutamente nel processo di esecuzione, ogni formella risulta diversa da tutte le altre.
Il mattone specchiato utilizzato nella facciata del Flagship Store Hermés di Tokyo è stato progettato da Renzo Piano espressamente per tale edificio nelle dimensioni 42,8 x 42,8 x 12 cm (le misure di quello standard sono 19 x 19 x 8) e realizzato da una azienda italiana, la Seves di Firenze.
Anche il processo di lavorazione presenta caratteristiche specifiche che hanno integrato processi automatizzati con tradizionali lavorazioni artigianali.
Ciascun mattone è stato cotto nel forno di tempera per 11-13 ore (contro le 3-4 abituali), conseguentemente la produzione è avvenuta al ritmo di 300 pezzi al giorno (invece di 15.000).
I blocchi in vetro sono stati sottoposti a test rispondenti alla normativa giapponese per la resistenza al fuoco, assenza di condensa all’interno della camera d’aria tra le due pareti in vetro sino a -10 gradi e di resistenza meccanica ad eventi sismici di forte intensità.
La lavorazione di ogni blocco è stata completata manualmanete da parte di un artigiano che ha vernicaito a specchio i bordi ed effettuato la levigatura della parte liscia, mentre la faccia opposta è stata lasciata ondulata.
L’assemblaggio sulla facciata dei mattoni in vetro è avvenuto all’interno di una griglia in tubolare metallico rivestito con un polimero ignifugo protetto da una corda ceramica. La sigillatira finale è avvenuta tramite silicone. Ciascun giunto di 22 mm. garantisce una tolleranza di 4-5 mm. In caso di oscillazioni sismiche. Il mattone in nagolo ha una superficie esterna curva e quella interna piana, per una dimensione di 24 x 21 x 12 cm.
Sono stati utilizzati circa 13.200 mattoni, che grazie alle tecniche di lavorazioni precedentemente illustrate risultano, di fatto, tutti diversi nella lavorazione superficiale.
1. Commercio e dimensione urbana
2. Gli spazi di vendita della moda e il design: la vetrina e il magazzino moderno
3. Riconoscibilità della marca e spazi di vendita: le origini
4. Gli anni Sessanta: Biba, Mary Quant e la Swinging London
5. Gli anni Settanta e Ottanta: verso un nuovo atteggiamento progettuale
6. Il punto vendita come esperienza della marca
9. Espressività della marca e diversificazioni commerciali: i multibrand
10. Il Pop-Up Retail: una classificazione degli spazi commerciali temporanei
11. Principali esemplificazioni di pop up retail
13. Arte e consumo negli spazi di vendita: lo spazio della vetrina e la mostra surrealista del 1938
14. L'apporto della Pop Art: Keith Haring e il Pop Shop
15. Esemplificazioni recenti: Prada Marfa
16. Una nuova modalità di rappresentazione della marca: i concept book