Il concetto di progetto, sino ad anni recenti, si è espresso come un fenomeno monodisciplinare articolato, in primo luogo, tramite quelle che sommariamente possono ritenersi le ragioni espressive, spaziali e concettuali proprie del progettista.
Oggi, al contrario, stiamo vivendo una fase di transizione verso un’idea del progetto come prodotto collettivo, in cui l’aspetto spaziale e quello programmatico vanno verso una sempre maggiore integrazione. Il concetto di progetto va quindi ripensato all’interno dell’area di bordo tra la cultura progettuale e l’interpretazione di mercato. Le parole chiave che possono riassumere questo processo sono deverticalizzazione e riunione di funzioni con una accentuazione dell’espressione progettuale a tutti i livelli. Questi cambiamenti comportano alcune ricadute importanti. In primo luogo una maggiore centralità e visibilità del ruolo del designer che, grazie ad una preparazione che unisce gli aspetti tecnici alla conoscenza del sistema organizzativo e dei meccanismi che caratterizzano i processi aziendali, rappresenta una figura adatta a gestire il cambiamento in corso. A livello più generale, ritroviamo poi una diversa prassi, che vede lo sviluppo dell’attività di progetto all’interno di team che portano su uno stesso piano funzioni prima collegate mediante relazioni di tipo gerarchico: design, marketing, consulenza strategica, comunicazione.
Questa premessa generale ci permette di individuare due aree tematiche emergenti.
Da un lato la definizione della progettazione dei luoghi di consumo come un’attività integrata di carattere multidisciplinare. Ciò comporta la necessità di riformulare le modalità elaborative ed espressive di un’azione cui devono concorrere discipline diverse. Le forme di rappresentazione del progetto non possono più essere limitate alla tradizionale espressività tecnica ma, soprattutto nella necessità di stabilire un legame di continuità con la comunicazione della identità marca, devono coinvolgere sistemi espressivi più vasti di quelli esclusivamente specialistici.
Dall’altra la necessità di trovare, all’interno di una unica tipologia di spazio vendita, una forma di convivenza efficace tra gli opposti concetti di differenziazione e di replicabilità.
Volendo indicare una possibile ricomposizione di queste aree problematiche si può introdurre la descrizione di uno strumento di evoluzione della manualistica di progetto: il Concept Book.
Il Concept Book si è sviluppato nella distribuzione nell’alto di gamma. Anche in questo settore, inaspettatamente ed analogamente a ciò che avviene nella grande distribuzione, esiste la necessità di sviluppare un approccio distributivo esteso, prossimo di quello a catena, mediante la realizzazione di una rete di spazi di vendita monomarca che esprimono la loro continuità attraverso l’adesione ad un concept di progetto comune. Proprio per la specificità del comparto, questo approccio all’estensione del sistema di vendita, si è sviluppato ricercando un modello di flessibilità tra due estremi apparentemente incompatibili: la costruzione dello spazio per modelli omologhi e replicabili, ed all’opposto, la necessità di diversificazione espressiva in coerenza con una produzione che si identifica con l’esclusività del prodotto.
La soluzione, da un punto di vista della costruzione del progetto e della sua comunicazione è stata ricercata in uno sdoppiamento dell’originario modello del manuale di immagine coordinata, in due parti: il Concept Book ed il manuale tecnico. Questi due strumenti attraverso cui è rappresentato il progetto nei suoi aspetti espressivi e tecnici, nell’insieme costituiscono quello che nel linguaggio gergale degli addetti ai lavori è detta enfaticamente “la Bibbia “.
Al manuale tecnico sono assegnate le funzioni operative. Esso illustra, esecutivamente, attraverso disegni tecnici e dettagli, quali sono le parti componenti lo show room: organizzazione spaziale, materiali, accessori di arredo, finiture, illuminazioni, segnaletica al fine di una loro realizzazione e messa in opera. Questa parte è destinata alla indicazione, attraverso un linguaggio necessariamente specialistico, delle soluzioni esecutive legate ad una particolare e specifica soluzione proposta e rappresenta tutti quei caratteri prescrittivi, precedentemente individuati nel manuale di immagine coordinata.
Il Concept Book descrive, invece, le ragioni delle scelte di progetto, indicando una strategia di relazione con l’espressione della marca che si manifesta attraverso la soluzione progettuale. E’ uno strumento essenzialmente descrittivo. Partendo dall’analisi di questo mezzo di comunicazione, un qualunque designer che dovesse realizzare uno spazio vendita secondo gli stessi indirizzi strategici, potrà svolgere la sua attività in maniera evolutiva ed individuale, basandosi su un concept di progetto esposto chiaramente.
Partendo da una efficace interpretazione visiva dell’identità della marca, il Concept Book esprime una giustificata filosofia di progetto.
Esso non è semplicemente un manuale destinato all’allestimento fisico dei singoli spazi, ma un prodotto di comunicazione destinato da un lato al “sistema aziendale”, per una necessaria condivisione dell’espressione della marca attraverso i luoghi di vendita, e dall’altra ad architetti e designer che dovranno applicare localmente il concept progettuale generale.
Per cercare un’immagine adeguata, si potrebbe rappresentare il Concept Book come un telaio da cui traspare la configurazione costante di un modello, che poi troverà pratica attuazione attraverso una serie di varianti che saranno configurate attraverso i vari allestimenti.
I Concept Book, si pongono, quindi, come manuali con un prevalente contenuto descrittivo, di carattere narrativo, legato alla rappresentazione della marca ed alla strategia di progetto. In questa seconda funzione di espressione descrittiva di un tema, l’idea di progetto, i Concept Book sono associabili ai quaderni di tendenza.
I Concept Book, analogamente ai quaderni di tendenza, sono degli strumenti che esprimono un contenuto attraverso un linguaggio narrativo che precede quello tecnico. Tale linguaggio, prevalentemente visivo, si serve di immagini contestuali evocative di un contenuto o di un riferimento concettuale. Poiché tramite questi strumenti si definiscono gli indirizzi concettuali fondamentali cui dovrà attenersi il progetto esecutivo, è indispensabile che alla loro elaborazione partecipino anche figure aziendali o di consulenza, diverse da quelli propriamente progettuali. Proprio per ricercare un linguaggio comune, prevale una forte componente narrativa che utilizza ampiamente l’espressione scritta, secondo una formula sintetica riassunta spesso attraverso l’uso di parole chiave accompagnate da una breve descrizione più estesa. Anche quando deve intervenire necessariamente la rappresentazione grafica, essa viene adottata utilizzando prevalentemente lo strumento della renderizzazione virtuale dello spazio. Il Concept Book potrebbe essere definito come uno strumento di comunicazione, in cui il progetto è descritto in tutti i suoi aspetti di relazione con l’identità della marca e in quegli elementi di espressione complessiva che si ritrovano nella soluzione spaziale.
Proseguendo attraverso una ideale lettura di questo strumento, dopo una prima parte che corrisponde all’interpretazione visiva e narrativa dell’identità della marca, si introduce la tematizzazione proposta per i punti vendita indicando, attraverso una rappresentazione che, come già detto adotta prevalentemente rendering virtuali, le componenti progettuali. In conclusione si introducono le declinazioni, cioè gli adattamenti della soluzione progettuale alle varie condizioni ubicative e dimensionali. Questo adattamento viene sviluppato normalmente attraverso una serie di classi convenzionali, Ci sono i flagship store che fanno storia a sé e poi i “normali” negozi che possono individuarsi secondo altrettante taglie, da XL, L, M, S sino a XS.
XL Extra Large negozio su due livelli, L Large negozio su un unico livello con affaccio su strada, M Medium negozio su un unico livello con solo ingresso su strada, S Small piccolo Shop in Shop, negozio con cassa ospite di un’altra struttura commerciale, ad esempio all’interno di un negozio multimarca in un centro commerciale, XS Extra Small piccolo corner ospite di una struttura commerciale ma senza funzioni di cassa.
Nell’insieme il Concept Book, trasmettendo un complesso di informazioni, sotto forma visiva e narrativa, comunica una filosofia di progetto che può essere presa a riferimento per una possibile evoluzione o adattamento. La replicabilità non è più quindi identificabile con un concetto di costante iterazione del modello, attraverso valori di permanenza e stabilità nel tempo espressi attraverso il manuale esecutivo, quanto da una possibile evoluzione in continuo di un concetto di progetto, da cui conseguiranno soluzioni diverse ma coerenti.
1. Commercio e dimensione urbana
2. Gli spazi di vendita della moda e il design: la vetrina e il magazzino moderno
3. Riconoscibilità della marca e spazi di vendita: le origini
4. Gli anni Sessanta: Biba, Mary Quant e la Swinging London
5. Gli anni Settanta e Ottanta: verso un nuovo atteggiamento progettuale
6. Il punto vendita come esperienza della marca
9. Espressività della marca e diversificazioni commerciali: i multibrand
10. Il Pop-Up Retail: una classificazione degli spazi commerciali temporanei
11. Principali esemplificazioni di pop up retail
13. Arte e consumo negli spazi di vendita: lo spazio della vetrina e la mostra surrealista del 1938
14. L'apporto della Pop Art: Keith Haring e il Pop Shop
15. Esemplificazioni recenti: Prada Marfa
16. Una nuova modalità di rappresentazione della marca: i concept book