Un buon test di laboratorio dovrebbe essere in grado di distinguere i soggetti affetti da una malattia rispetto ai sani. Questi parametri vengono indicati come “sensibilità diagnostica” e “specificità diagnostica” che non vanno confusi con i parametri di sensibilità e specificità analitiche discussi nelle precedenti lezioni.
E’ importante sottolineare che la sensibilità e la specificità sono interdipendenti. I valori di sensibilità e specificità diagnostica del test si calcolano con le formule:
Dove VP (veri positivi) è la percentuale di soggetti affetti, positivi al test; FP (falsi positivi) è la percentuale di soggetti sani positivi al test; FN (falsi negativi) è la percentuale di soggetti affetti negativi al test; VN (veri negativi) la percentuale di soggetti sani, negativi al test.
Facciamo un esempio:
Abbiamo 100 soggetti diabetici e 100 soggetti sani; eseguiamo la glicemia, e verifichiamo che in 90 diabetici la glicemia è superiore al massimo valore di riferimento (100 mg/dL), ma vi sono 15 soggetti sani che hanno la glicemia alterata.
Quindi:
Quindi, la sensibilità diagnostica sarà:
90 / (90 + 10) = 90%
La specificità diagnostica sarà:
85 / (15 + 85) = 85%
Oltre ai parametri di sensibilità e specificità diagnostiche, per conoscere il veale contributo diagnostico di un test di laboratorio, si utilizzano i parametri di predittività positiva e negativa.
Predittività positiva (PP)
Se eseguo il test di laboratorio su una popolazione P, in cui è presente la malattia ma non tutti sono affetti, il mio esame quanto è in grado di predire quali sono i soggetti malati?
PP = VP/(VP + FP)
Predittività negativa (PN)
Se eseguo il test di laboratorio su una popolazione P, in cui è presente la malattia ma non tutti sono affetti, il mio esame quanto è in grado di predire quali sono i soggetti sani?
PN = VN/(VN + FN)
Utilizzando ancora i numeri del precedente esempio sulla glicemia e i soggetti diabetici, calcoliamo i valori di predittività:
Predittività positiva (PP)
PP = VP/(VP + FP)
PP = 90 / (90 + 15) = 85.7%
Predittività negativa (PN)
PN = VN/(VN + FN)
PN = 85 / (85 + 10) = 89.5%
Quindi, se effettuo la glicemia ed ottengo un risultato positivo, avrò l’85.7% di probabilità che il paziente sia affetto da diabete. Se viceversa trovo un valore normale, avrò l’89.5% di probabilità che il soggetto sia sano.
Ancora una volta dobbiamo ricordare che il test di laboratorio, da solo, non è in grado di escludere o confermare con certezza una diagnosi.
Valori di un analita nei soggetti sani (sinistra) e malati (destra)
Quando si effettua un test di laboratorio, la situazione più frequente è che valori molto alti di analita indicano in genere la presenza di una malattia; valori molto bassi, indicano invece l’assenza di malattia, e valori intermedi possono essere compatibili sia con la presenza che con l’assenza di malattia.
Se andiamo a rappresentare questa situazione con un grafico, osserviamo che le due popolazioni, quella dei sani (a sinistra nella figura) e quella dei malati (a destra nella figura) si distribuiscono secondo due gaussiane che si sovrappongono in corrispondenza dei valori intermedi del test di laboratorio.
A questo punto, possiamo variare il valore “soglia” o cut-off del test per cercare di separare meglio le due popolazioni.
Se torniamo all’esempio della glicemia e del diabete, possiamo decidere di usare come valore soglia un valore di 140 mg/dL di glicemia (come è mostrato nella figura in alto). In questo caso, vi saranno pochissimi soggetti sani che hanno una glicemia superiore a 140 mg/dL, per cui avremo pochi soggetti falsi positivi. Il test avrà un’altissima specificità diagnostica (perché tutti i soggetti positivi al test sono realmente malati) tuttavia vi saranno diversi diabetici con glicemia inferiore a 140 mg/dL che non saranno riconosciuti dal test. Il test avrà quindi una bassa sensibilità diagnostica.
Se invece usiamo un valore soglia più basso, per esempio 90 mg/dL di glicemia, vi saranno pochissimi diabetici con glicemia inferiore a 90 mg/dL, quindi il test avrà un’altissima sensibilità diagnostica. Tuttavia, vi saranno molti soggetti normali con glicemia superiore a 90 mg/dL, e quindi avremo una serie di falsi positivi. Cioè il test avrà una scarsa specificità diagnostica.
A seconda del problema clinico, possiamo decidere di privilegiare la sensibilità diagnostica oppure la specificità diagnostica, e nelle prossime diapositive vedremo degli esempi.
Negli screening, è necessario identificare tutti i soggetti affetti, anche se questo può significare un aumento di falsi positivi. Quindi, usiamo un valore soglia basso, che permetta un forte aumento della sensibilità diagnostica.
Ad esempio, nello screening effettuato sui donatori di sangue, per escludere i campioni infetti, è necessario adottare test provvisti della massima sensibilità diagnostica: infatti, se da un lato è tollerabile lo scarto di una quota considerevole di campioni non infetti (falsi positivi), dall’altro è indispensabile tutelare chi riceve la donazione e quindi non si può correre il rischio di trasfondere sangue infetto risultato falsamente negativo ai test.
Nello screening neonatale per la fenilchetonuria (una malattia genetica in cui è carente un enzima del metabolismo degli aminoacidi) occorre diagnosticare la malattia alla nascita perché occorre tempestivamente porre il paziente in restrizione dietetica, per evitare danni irreparabili al sistema nervoso. Utilizzeremo quindi un test con un valore soglia basso, allo scopo di avere la massima sensibilità diagnostica ed esser certi di individuare tutti i pazienti affetti; successivamente potremo usare un secondo test più specifico per escludere quelli sani che risultavano positivi al test di screening (falsi positivi).
Per la diagnosi di infarto del miocardio, sono disponibili due marcatori biochimici, la mioglobina e la troponina.
Il dosaggio della miogobina presenta una sensibilità diagnostica del 98% e una specificità diagnostica del 55%.
Il dosaggio della cTroponina I presenta una sensibilità diagnotica pari all’85% e una specificità diagnostica del 100%.
Inoltre (vedasi lezione sui marcatori dell’infarto), la mioglobina aumenta nel siero più precocemente rispetto alla troponina.
In un pronto soccorso è assolutamente necessario riconoscere quanti più soggetti possibile affetti da infarto. Quindi, la strategia più idonea è quella di utilizzare la mioglobina (che ha un’elevata sensiiblità diagnostica) e successivamente la troponina (molto specifica).
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