Un vecchio avaro, Euclione, pur avendo trovato in casa una pentola piena d’oro, continua a vivere miseramente e, in più, vive nel terrore che qualcuno possa portargli via il suo tesoro. Ma anche grazie a quell’oro la figlia Fedria, resa incinta dal giovane vicino Liconide che ne è innamorato, riuscirà a sposarsi.
La (fabula) aulularia è perciò la commedia della pentola, anzi della piccola pentola (aulula è diminutivo di aula), perché intorno ad essa ruota non solo l’intera azione, fino all’inevitabile lieto fine, ma anche la costruzione dei personaggi.
La commedia presenta dunque due temi: innanzitutto quello dell’avarizia del protagonista, che rischia di guastare ogni suo rapporto umano, poi, ma in subordine, quello dell’amore tra i due giovani.
Non abbiamo dati sicuri che ci permettano di datare la commedia ma le recriminazioni dell’anziano Megadoro, zio di Liconide, contro il lusso delle donne ci suggeriscono di collocarne la composizione dopo l’abrograzione della lex Oppia (195 a. C.), intesa appunto a frenare il lusso femminile; l’allusione di v. 408 ai Baccanali potrebbe fissare il terminus ante quem al 186, anno del senatoconsulto de Bacchanalibus.
Neanche sul modello seguito da Plauto possiamo pronunciarci con sicurezza ma gli studiosi sono per lo più d’accordo a indicarlo in Menandro soprattutto per l’attenzione che il poeta riserva alla costruzione del carattere del protagonista.
L’Aulularia, come la maggior parte delle commedie di Plauto e come quelle greche di mezzo e nuova, si apre con un prologo al quale seguono cinque atti, l’ultimo dei quali si interrompe dopo poco più di venti versi: si tratta dunque di una commedia mutila del finale.
La divisione in atti risale però al sec. XVI.
Nel prologo (vv. 1-39) il Lare familiare spiega l’antefatto della vicenda rimontando fino al nonno di Euclione, dal quale figlio e nipote avrebbero ereditato l’avarizia ma non l’oro che proprio l’avo gli avrebbe affidato da custodire invece di renderne partecipi gli eredi. Unica eccezione in famiglia è la giovane Fedria, modesta e pia, che il Lare decide perciò di aiutare.
Oltre a Euclione, anche altri personaggi appaiono disegnati con spirito e vivacità: innanzitutto Stafila, la vecchia serva brontolona, vittima dei continui rimproveri del padrone; poi l’anziano vicino di casa Megadoro e sua sorella Eunomia, che nel secondo atto discutono sull’opportunità di imparentarsi con la mite Fedria; infine Strobilo (o Pitodico), il furbo servo di Megadoro, che si addossa il compito di organizzare le nozze del padrone dirigendo a modo suo il lavoro dei cuochi.
La scena è dominata però da Euclione che nell’atto secondo (vv. 296 ss.) il servo definisce più arido della pomice e così avaro da lamentarsi del fumo disperso dal camino, dell’acqua sprecata per lavarsi e perfino della perdita dei pezzetti di unghie che si taglia.
Per questo motivo, l’Aulularia potrebbe quasi apparire una ‘commedia di carattere’, alla maniera di quelle di Terenzio: se ne differenzia però per quel tratto di eccesso che segna comicamente la figura del protagonista.
Un carattere costante della poesia comica, come riconosce già Aristotele nella Poetica (9, 3), è l’adozione di nomi parlanti che aiutano il lettore a ‘identificare’ i personaggi illuminandone il carattere e i tratti psicologici, a volte perfino ad anticiparne l’operato. Così l’avaro Euclione richiama il greco εû κλεíω(=chiudo bene), la serva Stafila troppo amante del vino rimanda a σταΦύλη, il “grappolo d’uva”, Liconide, violentatore di Fedria, a λύκος, il “lupo”.
Anche nell’Aulularia la lingua di Plauto è vivace e ricca di inventiva. Un esempio per tutti: al v. 41 la povera Stafila, in cui Euclione vede una possibile ladra della sua pentola d’oro, viene definita circumspectatrix cum oculis emissiciis, “una spiona che si guarda intorno (circum-specto) con gli occhi fuori dalle orbite (e-mitto)”.
L’Aulularia ha goduto di grande fortuna già nell’antichità: nel V sec. d. C. fu ripresa dall’anonimo autore del Querolus sive Aulularia. Ma soprattutto il personaggio dell’avaro rivive in quello di Barabba dell’Ebreo di Malta (Marlowe), in Shylock del Mercante di Venezia di Shakespeare e soprattutto nell’Arpagone dell’Avaro di Molière.
1. Nascita e sviluppo della letteratura latina. I generi letterari; il rapporto otium-negotium
2. L’accento latino: cenni di prosodia
3. Caratteri della poesia drammatica latina. Il teatro comico di Plauto e di Terenzio
4. L’Aulularia di Plauto. Struttura, temi, problemi
5. Nascita e sviluppo dell’epica latina. Da Livio Andronico a Virgilio
6. Nozioni di metrica latina. Lo schema dell’esametro e del pentametro
7. Oratoria e retorica a Roma. La pro Archia di Cicerone
8. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La satira
9. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La poesia del disimpegno
10. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La diffusione della filosofia
11. Il de rerum natura di Lucrezio. Il terzo libro: tra etica e psicologia
13. Forme della scrittura storica. Le monografie di Sallustio
14. Caratteri della letteratura augustea. I circoli, i generi letterari; la prosa tecnica
15. Caratteri della letteratura augustea: poesia e poetica
16. Periodizzazione, temi e problemi della poesia oraziana
17. La letteratura epistolare. Struttura e temi
18. L’elegia latina: un genere problematico
19. Il ‘canone’ dei poeti elegiaci
20. Le elegie 1 e 10 del primo libro di Tibullo. La presentazione e il congedo del poeta
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2. L’accento latino: cenni di prosodia
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