L’eredità kantiana del Giudizio diventa rilevante nella filosofia contemporanea.
Tracce importanti si trovano nell’ermeneutica di Gadamer e nella connessa esigenza di una forma logica per le verità non scientifiche, o nella ricostruzione della soggettività di Lyotard e Derrida, relatori al dibattito francese del 1982 sulla “faculté de juger“.
In modo più ampio analizzeremo nelle prossime lezioni le riflessioni di Croce e di alcuni suoi continuatori intorno al tema del giudizio storico e di Arendt, che tramuta il Giudizio kantiano in uno straordinario strumento di orientamento nel mondo contemporaneo.
L’ermeneutica filosofica gadameriana non è una mera tecnica dell’interpretazione: è semmai scienza critica e, insieme, filosofia pratica.
In Verità e metodo (1960) Gadamer fonda la possibilità di una verità extra-metodica, collocando a monte della sua ricerca, il dialogo platonico, l’etica aristotelica, le scienze dello spirito, l’autocoscienza di Hegel e il “circolo ermeneutico” di Heidegger.
Il problema dell’interpretazione che l’ermeneutica reca nel nome incontra la questione del giudizio per un duplice verso: come veicolo logico dell’interpretare e come strumento critico di orientamento nella gran selva dei significati.
Gadamer nutre profondo interesse per il Giudizio kantiano e per il giudizio riflettente che si rivela un prezioso conforto logico per accogliere le verità extra-scientifiche.
Il giudizio di comprensione, mai generale e sempre in situazione, è imperniato sulla relazione tra chi comprende/giudica e la tradizione, che con i suoi pre-giudizi (in senso fecondo) condiziona ogni giudicare.
Gadamer non esita a porre l’ermeneutica al servizio di una “riabilitazione della filosofia pratica”, come recita un famoso libro del ‘72 in cui appare il suo saggio Ermeneutica come filosofia pratica.
Il filosofo lamenta un decadimento della nozione antica di praxis nell’età moderna, dove si trova fagocitata nella poiesis (produzione) e assimilata perciò ad un sapere tecnico governato da regole e automatismi.
Il sapere pratico invece non è “scienza teorica” né “sapere specialistico” ma “scienza dal profilo autonomo” che, come nel Giudizio kantiano, chiama in causa il tema dell’universale soggettivo.
Negli ultimi anni di vita Gadamer commenta il VI libro dell’Etica nicomachea che considera “la migliore introduzione” all’etica.
La phronesis, o “intelligenza pratica”, non è semplice virtù o prudenza: è invece “capacità di giudicare nel caso concreto” e vive del legame col il nous che è un “render-conto” e richiama dunque la pubblica responsabilità di chi agisce.
La synesis si esercita sul patrimonio delle esperienze altrui che collaborano al sapere di sé del singolo, in un legame tra universale e individuale che per Gadamer rimane un’ineludibile questione del pensiero contemporaneo.
Dopo l’anatomia della “condizione post-moderna” (1979) Lyotard si avvicina al pensiero kantiano, in particolare alla terza Critica e alla facoltà di giudicare che ritiene tema denso di implicazioni per il filosofare contemporaneo.
Tra i suoi interessi si colloca infatti la ridefinizione dell’idea della soggettività che, dopo il crollo del Soggetto moderno, trova nell’ “anima minima” la proposta più convincente.
Il soggetto minimale immaginato da Lyotard trova il proprio atto di nascita teoretico nel kantiano Giudizio.
Il dibattito dell’82 aiuta Lyotard a riflettere sul Giudizio e sul suo criterio e a formulare questioni che trovano continuazione in Il dissidio.
Il dissidio gli appare infatti l’immagine perfetta di un contenzioso in cui non esiste regola assoluta.
Il Giudizio costituisce per i discorsi della mente (“frasi”) il ruolo del nocchiero che muovendosi nel “mare principale” mette in comunicazione, come in un arcipelago, le isole del pensiero.
Lyotard si è occupato inoltre dell’analitica kantiana del sublime.
Il nome e il variegato pensiero di Derrida si trovano spesso associati al “decostruzionismo”, in virtù della pratica di decostruzione che ne ha fortemente caratterizzato la riflessione e la scrittura filosofica.
Anche per Derrida il dialogo sulla “faculté de juger” costituisce il momento di incontro con il Giudizio kantiano e, con esso, con l’evidenza di una persistente e vitale forza della filosofia.
Derrida mostra in azione la facoltà di Giudizio chiedendo dell’apologo di Kafka Davanti alla legge (1919): “cosa decide se questo racconto sia letteratura”?
La domanda condensa infatti la ricerca di un criterio universale in base al quale riconoscere un particolare.
Come in un gioco di specchi, è lo stesso racconto a rispondere: ciascuno si trova per tutta la vita davanti alla porta della Legge il cui accesso è sbarrato dai pre-giudizi, da una forma di sapere anticipato, da noi non deciso, su ciò che si domanda e che limita la ricerca individuale del criterio che per sua natura è sempre “a venire”.
Il cigno nero è simbolo dell'improbabile, di un evento che non era atteso e che ha cambiato il corso degli eventi.
Sarebbe velleità irrazionale pretendere dalla ragione un antidoto per rendere le nostre vite immuni da ciò che le minaccia, dall’incerto e da varie forme di estraneità.
L’economista Taleb, con la sua Scienza dell’incertezza, invita a far uso del proprio Giudizio caso per caso e a non lasciarsi irretire dalla prevedibilità, che corrisponde al pigro pensiero di chi conosce il nuovo con occhi già vecchi.
A conclusioni non dissimili è giunto Waldenfels nella sua fenomenologia dell’estraneo, in cui trova posto una “logica della risposta” molto prossima al ruolo del Giudizio.
1. Introduzione alla filosofia teoretica
2. Inizio ed Origine del Pensiero
3. Inizio ed Origine del Pensiero. Parte seconda
8. Il Giudizio Estetico Riflettente
9. La nozione antropologica del sentimento
10. Per un Kantismo post-moderno: il caso Lyotard
11. Introduzione al “giudizio”
12. Il modello kantiano di Giudizio
13. Il Giudizio: un'antica questione
14. Il Giudizio nella filosofia moderna
15. Il Giudizio nella filosofia tedesca di fine Ottocento e primo Novecento
16. Il Giudizio nella filosofia contemporanea
17. Il Giudizio in Hannah Arendt
18. La “filosofia del giudizio” in Italia
R. Viti Cavaliere, Giudizio, cit., “Ermeneutica e crisi della ragione”, pp. 155-178.
Per approfondire:
J. Derrida, Pre-giudicati. Davanti alla legge, trad it. di F. Vercilio, Introduzione di F. Garritano, Abramo, Catanzaro, 1996.
H. G. Gadamer, La ragione nell'età della scienza, a cura di A. Fabris, Il Melangolo, Genova, 1982;
ID., Verità e metodo, a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano, 1983;
J.-F. Lyotard, Il dissidio, Feltrinelli, Milano, 1985;
ID., Anima minima. Sul bello e sul sublime, a cura di F. Sossi, Pratiche, Parma, 1995;
N. N. Taleb, Il cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, Milano, 2008;
B. Waldenfels, Fenomenologia dell'estraneo, Raffaello Cortina, Milano, 2008.