In questa lezione introdurremo i concetti fondamentali della fotometria e studieremo le proprietà della radiazione di corpo nero.
Lo studente apprenderà:
Costellazioni australi dall'Atlas Coelestis di Johann Doppelmayr (Norimberga; 1742). Fonte: Atlas Coelestis (1742)
Le stelle visibili a occhio nudo hanno molti nomi propri, da quelli familiari a quelli definitivamente oscuri. Ad esempio Vega, l’astro più luminoso della costellazione della Lira e il quinto più brillante del cielo, possiede oltre quaranta nomi.
La maggior parte dei nomi sono di origine greca e araba. Nel Medioevo, astronomi arabi adottarono le costellazioni definite dall’astronomo alessandrino Claudio Tolomeo.
Questi nomi furono adottati nel mondo latino, spesso in forma corrotta, e a volte anche assegnati a stelle diverse.
Oggi, la nomenclatura astronomica è demandata all’International Astronomical Union (IAU), l’organizzazione mondiale degli astronomi professionisti fondata nel 1919.
All’inizio del Seicento, l’avvocato e astronomo tedesco Johannes Bayer prese a indicare le stelle più brillanti di ciascuna costellazione tramite una lettera greca minuscola, secondo l’ordine alfabetico e quello, approssimativo, di luminosità decrescente.
Quindi, per Bayer la stella più brillante era la “alpha”, la seconda “beta” e così via.
Alla lettera greca il tedesco fece seguire il genitivo del nome latino della costellazione.
Quindi Vega, dall’arabo “avvoltoio che plana”, la stella più brillante della Lira, diventava Alpha Lyrae, ossia αLyrae.
Nel XVIII secolo, l’inglese John Flamsteed elencò le stelle secondo la loro posizione entro i confini delle rispettive costellazioni. Numeri progressivi indicavano la posizione della stella da Ovest verso Est.
Per esempio, 1 Lyrae indica la stella più occidentale nella costellazione della Lira.
Oggi, le stelle hanno nomi basate sulle loro coordinate celesti.
Si veda l’appendice sui sistemi di coordinate astronomiche (formato PDF).
I cataloghi stellari sono in genere di due tipi: generali e specifici per particolari applicazioni.
Le stelle mostrano una grande varietà di luminosità e colori.
Nell’immagine a fianco, separate dal tripletto di astri del cosiddetto Cinto, risplendono Betelgeuse e Rigel, le stelle più brillanti nella costellazione di Orione.
Iniziamo con una rassegna dei concetti fondamentali di fotometria.
L’intensità specifica della radiazione, o brillanza, è la quantità di energia trasportata dalla luce di lunghezza d’onda compresa fra e nell’intervallo di tempo elementare attraverso la superficie , nell’angolo solido :
.
Questa grandezza è misurata nelle seguenti unità:
.
In generale, l’intensità dipende dalla direzione. Pertanto, l’intensità media è definita come l’integrale dell’intensità su tutte le direzioni diviso per l’angolo solido (media pesata sull’angolo solido):
.
Si chiama corpo nero un ente fisico ideale con coefficiente di assorbimento pari a 1 ad ogni frequenza. Questo significa che un corpo nero è capace di assorbire interamente la radiazione che lo colpisce, qualunque ne sia la frequenza (per questo è “nero”).
L’espressione per l’intensità della radiazione di un corpo nero venne trovata dal tedesco Max Planck nel 1901:
.
La luminosità di un corpo nero nell’intervallo di lunghezza d’onda è data da: .
Esercizio: scrivere l’intensità della radiazione di corpo nero in funzione della frequenza, .
La luminosità totale è data dall’integrale:
.
Questa verrà usata per derivare in seguito la legge di Stefan-Boltzmann.
Esercizio: dimostrare che la radiazione di un corpo nero è isotropa.
Introduciamo ora i concetti che ci saranno molto utili nel seguito.
Flusso netto di radiazione: è la quantità netta di energia che attraversa una superficie unitaria in un dato intervallo di lunghezza d’onda e di tempo: .
Un fotone di energia trasporta un momento (quantità di moto) pari a . La luce, quindi, esercita una pressione (detta: pressione di radiazione) pari a:
.
Si consideri un fascio di radiazione con energia che colpisca una superficie con angolo :
.
Come semplice esercizio, si può valutare la pressione di radiazione per un corpo nero a temperatura ambiente e alla temperatura .
Innanzitutto, si dimostri che la pressione di radiazione è legata alla densità di energia dalla relazione:
.
Si ricordi che la densità di energia di un corpo nero è data da:
.
Risultato:
.
In astrofisica stellare, le grandezze fondamentali per confrontare la teoria con le osservazioni sono:
Massa, espressa in unità della massa solare: .
Luminosità, espressa in unità della luminosità solare bolometrica: . Essa è l’energia irradiata a qualunque lunghezza d’onda nell’unità di tempo.
Raggio, espresso in unità del raggio solare, , all’equatore del Sole.
Temperatura efficace, è la temperatura del corpo nero con lo stesso raggio R della stella in questione e che irradia la medesima luminosità .
Come vedremo più avanti, . La temperatura efficace del Sole è .
Quindi, le grandezze indipendenti sono solo tre. Esse devono essere determinate osservativamente.
La luminosità apparentedelle stelle dipende dai seguenti fattori:
I colori delle stelle sono invece indipendenti dalla distanza: perché?
La magnitudine apparente esprime il flusso a una data lunghezza d’onda in una scala logaritmica, relativa a un dato punto zero :
.
Si noti il segno negativo: sorgenti più luminose hanno magnitudine numericamente minore. Si noti anche che nella definizione precedente viene implicitamente assunto che la sorgente non sia risolta (sorgente puntiforme). Le stelle non appaiono puntiformi per via della rivoluzione degli strumenti, dell’atmosfera. La scala è logaritmica (legge di Pogsom) perché è la più vicina alla scala naturale dell’occhio umano (Che vuol dire scala logaritmica? Per l’occhio è logaritmico?).
Il coefficiente è stato scelto in modo che un fattore 100 in flusso corrisponda ad una differenza di 5 magnitudini, in accordo con la classificazione introdotta nel Secondo Secolo a.C. dal greco Ipparco.
La radiazione di un astro può essere intercettata da un filtro (naturale come l’atmosfera o artificiale) che ne lascia passare solo una parte.
La caratteristica del filtro è data dalla banda passante, , una funzione di trasferimento che misura la frazione di energia trasmessa rispetto a quella incidente:
,
dove è il (bari)centro della banda.
La magnitudine apparente, eterocromatica oppure monocromatica se , è:
.
Il flusso all’esterno dell’atmosfera è differente dalla misura relativa alla banda centrata su , ottenuta per esempio con un rivelatore CCD al telescopio.
Le ragioni principali di questa differenza sono:
In prima approssimazione, l’atmosfera può essere modellata con strati piani e paralleli di aria, di altezza .
L’estinzione lungo la linea di vista , caratterizzata dall’angolo (distanza zenitale), è:
dove il coefficiente di estinzione dipende dall’altezza e dalla lunghezza d’onda della radiazione, .
Dato che (massa d’aria), si può facilmente dimostrare che il flusso al livello del mare è dato dalla relazione:
,
dove la profondità ottica è:
La figura mostra come si possa estrapolare la magnitudine di un astro a massa d’aria nulla, cioè al di fuori dell’atmosfera. Basterà osservare l’oggetto a diverse distanze zenitali e nella medesima banda fotometrica nel corso della notte (Domanda: perché cambia con il tempo durante la notte?).
Nel piano
Domanda: quali sono le incertezze di questa procedura.
Quota a cui l'atmosfera assorbe metà del flusso incidente, in funzione della lunghezza d'onda della radiazione. Fonte: Massimo Capaccioli
Data una sorgente, la differenza fra le magnitudini relative a due diverse lunghezze d’onda, e \lambda_1 \,” />, è detta colore:
.
Si noti l’ordine degli indici; per memorizzarlo basterà ricordare il classico colore (B-V), ossia blu meno visuale.
È interessante notare che il colore dipende fortemente dall’assorbimento lunga la linea di vista, ma non dalla distanza della sorgente (naturalmente in un universo ovunque trasparente. Perché?).
Nota: nel gergo degli astronomi, rosso e blu acquistano talvolta il significato di “a lunghezze d’onda grandi” e “a lunghezze d’onda piccole”.
In astrofisica e in cosmologia, l’unità fondamentale per la misura delle distanze è l’Unità Astronomica (UA).
Essa è definita come il raggio dell’orbita circolare di una massa puntiforme in orbita intorno al Sole in un anno siderale (pari a una rivoluzione di 360 gradi rispetto alle stelle lontane).
L’Unità Astronomica è quindi un’ottima approssimazione del semiasse maggiore dell’orbita terrestre, 150 milioni di chilometri circa.
Come è stata misurata l’Unità Astronomica?
Le distanze relative dei pianeti rispetto al Sole possono essere determinate dalla terza legge di Keplero che lega il periodo orbitale alla lunghezza del semiasse maggiore :
Sia il periodo sinodico di un corpo X in orbita intorno al Sole (ossia l’intervallo di tempo fa due successivi allineamenti di X con Terra e Sole nello stesso ordine: congiunzione o opposizione).
E’ facile mostrare che:
.
Dalla terza legge di Keplero segue che la distanza del corpo X in UA è data da
,
dove la costante (esplicitabile risolvendo il problema a due corpi) deve essere misurata. Insomma, semplici misure di tempo consentono di costruire una mappa in scala del Sistema Solare, continuando a ignorare il valore dell’unità di misura. Per fissare questo valore basterà determinare la distanza tra la Terra e un qualunque altro corpo orbitante attorno al Sole (oggi si fa con il tempo di volo di un segnale radar riflesso da un asteroide).
Esercizio: si discuta l’incertezza sulla misura del tempo di volo di un segnale radar riflesso, tenendo conto delle variazioni della velocità della luce lungo il percorso, della forma del bersaglio e soprattutto della lunghezza del pacchetto d’onde radar.
La parallasse annua è la misura dello spostamento apparente di una stella vicina rispetto alle stelle lontane mentre la Terra percorre la sua orbita intorno al Sole. Più propriamente, è l’angolo sotteso perpendicolarmente dall’Unità Astronomica alla distanza dell’oggetto considerato.
Si dice che la distanza è di un parsec (pc) se la corrispondente parallasse è pari a un secondo d’arco.
Si può facilmente mostrare che:
.
Multipli del parsec sono il kiloparsec () e il Magaparsec ().
La stella con la più grande parallasse è Proxima Centauri, (fonte: il catalogo Hipparcos).
Esercizio: calcolare la distanza di Proxima Cen.
È possibile misurare angoli di parallasse di circa 0.02 arcsec, corrispondenti a una distanza di 50 pc.
Nell’arco di tre anni il satellite europeo Hipparcos, lanciato nel 1989, ha misurato dallo spazio la parallasse per circa 120-mila stelle, con una precisione astrometrica di 0.001 arcsec circa.
In assenza di assorbimento, scattering e redshift, il flusso di energia misurato dall’osservatore dipende dalla distanza d della sorgente:
,
dove è la luminosità della sorgente, determinabile una volta nota la sua distanza , e viceversa.
La distanza fotometrica viene ricavata partire da misure di flusso, una volta nota la luminosità delle sorgenti usate: classi omogenee di oggetti che per questo vengono chiamati indicatori di distanza.
Gli indicatori di distanza sono uno strumento fondamentale per colmare il divario fra la regione di applicabilità della parallasse e quella dove il flusso di Hubble della espansione cosmologica domina sui moti peculiari (ossia dove il redshift è proporzionale alla distanza, tramite la costante di Hubble: ).
La misura di distanze fotometriche su scala cosmologica permette quindi la misura del parametro di Hubble. Questo definisce il tasso di espansione relativa dell’Universo al momento attuale e non può essere derivato per via teorica.
Le distanze fotometriche sono essenziali nello studio delle stelle.
Ai fini dei confronti tra stelle diverse, è utile introdurre una misura della luminosità intrinseca, indipendente dalla distanza della sorgente.
La magnitudine assoluta è la magnitudine che una sorgente luminosa avrebbe se fosse posta a una distanza standard di 10 pc.
,
dove è come di consueto la distanza (misurata in parsec) di una sorgente di magnitudine apparente .
La quantità è detta modulo di distanza.
Esercizio: calcolare la magnitudine apparente del Sole a una distanza di 1 Mpc, sapendo che la sua magnitudine assoluta bolometrica è pari a .
La galassia M31, compagna della Via Lattea, dista circa 700 kpc. Si calcoli la magnitudine apparente di un Sole in M31 e si osservi che come la sua luminosità sarebbe troppo debole per essere rivelata dai nostri attuali strumenti.
Il confronto con i modelli teorici è più immediato se si considera la nozione di magnitudine bolometrica, definita come la magnitudine assoluta misurata da un rivelatore sensibile a tutte le lunghezze d’onda.
Si definisce correzione bolometrica la differenza fra la magnitudine bolometrica e la magnitudine assoluta nella banda di Morgan e Johnson:
,
con e .
Come abbiamo detto all’inizio della lezione, le quattro grandezze fondamentali delle stelle: , non sono indipendenti.
Oltre alla relazione teorica fra luminosità e temperatura (nell’approssimazione di stella come corpo nero), esistono due importanti relazioni empiriche: fra luminosità e temperatura efficace e fra massa e luminosità.
La prima di queste relazione prende il nome di diagramma colore-magnitudine, noto anche come digramma Hertzsprung-Russel, dai nomi di un astronomo danese e un americano che ne introdussero per primi l’uso.
2. Grandezze osservabili: luminosità e distanza delle stelle
3. Grandezze osservabili: gli spettri
6. La struttura delle stelle - Parte Prima
7. Struttura delle stelle - Parte Seconda
8. Struttura delle stelle - Parte terza
9. Profondità ottica e trasferimento radiativo
10. I processi nucleari nelle stelle
12. Il Sole
15. Evoluzione stellare post-sequenza principale
16. Evoluzione post Sequenza Principale - Parte Seconda
18. Il destino delle stelle massive: le supernovae
19. Le nane bianche
21. I buchi neri
Stars and Constellations.doc, for a complete list of the names (+ mening) of the brightest stars and of all the constellations.
Per familiarizzarsi con il cielo, si scarichi il software Stellarium e, per una infinita collezione di splendide immagini di corpi cielesti, si consulti il sito della NASA
Per gli indicatori di distanza: Jacoby, G. H., Branch, D., Ciardullo, R., Davies, R. L., Harris, W. E., Pierce, M. J., Pritchet, C. J., Tonry, J. L., & Welch, D. L., 1992, A critical review of selected techniques for measuring extragalatic distances, PASP, 104, 599