Il passaggio da un sistema politico ed elettorale basato sul partito ad un sistema basato sui candidati ha acuito il ricorso a figure di supporto tecnico, fornite di professionalità non strettamente connesse al campo della politica.
Riprendendo le osservazioni sul professionismo politico di Weber si osserva che, mentre nella sua definizione il professionista era colui che viveva di e per la politica e che era competente di politica, al contrario, il nuovo professionista della politica vive anche, e spesso soprattutto, di altre risorse e offre competenze che non esistono all’interno della politica.
Mediatizzazione
L’ingresso di nuove figure professionali in politica ha aperto le porte all’utilizzo di nuove tecnologie, legate soprattutto ai media, all’elaborazione elettronica e ai sondaggi elettorali. Queste nuove tecnologie, a loro volta, hanno richiesto ulteriori professionalità tecniche settoriali (ancor più con lo sviluppo del ricorso ai new media). È quindi, in primo luogo, la mediatizzazione della politica a far sì che il professionismo politico, da strettamente legato alla carriera politica, diventi legato al possesso di competenze altre dalla politica. Su questa base, si pone l’analisi dell’evoluzione delle campagne elettorali.
Per definire la professionalizzazione il riferimento è l’analisi sociologica, che utilizza tre variabili: expertise, autonomia e dedizione. Ne deriva la definizione ideal-tipica di professionista come:
«un membro della forza lavoro con uno status relativamente elevato ed una posizione vantaggiosa nel mercato del lavoro derivante da un particolare livello di expertise, dedizione, autonomia e capactità di auto-regolarsi, che riflette una particolare istruzione e una precisa esperienza» (Webb e Fisher, in Bardi, Partiti e Sistemi di partito)
Definizione che vale, in primo luogo, per il caso americano.
La prima elaborazione è quella di Pippa Norris, che nel 1997 ha proposto di dividere il percorso evolutivo delle campagne elettorali in:
Le differenze tra queste tre fasi non riguardano solo la durata della campagna, che da breve passa a lunga e poi a permanente, ma anche ad altri elementi:
Farrell e Webb nel 2000 riprendono lo studio di Pippa Norris del 1997 ed elaborano uno schema analogo di tripartizione delle campagne elettorali, da cui Farrell deriva l’analisi che presenta nel 2006 in un saggio contenuto nell’Handbook of Party Politics a cura di Katz e Mair.
Questa analisi consiste in una nuova esemplificazione dello sviluppo della professionalizzazione e, più in generale, delle campagne elettorali, che vengono suddivise in tre fasi:
Fase I: La prima fase si caratterizza per un basso progresso tecnico e una comunicazione interamente gestita attraverso il partito. Inoltre, il partito è il principale agente per quanto riguarda le risorse, sia per la raccolta fondi che per la ricerca di attivisti volontari. Ancora, è la campagna locale ad essere predominante, mentre limitati sono la centralizzazione e il coordinamento. Per quanto riguarda le tematiche, gli eventi sono costruiti sulla base di un leader cui è demandato il rapporto diretto con un’audience, che è costituita da gruppi dalla origine sociale stabilita. Da ciò deriva che è molto più forte la volontà di mobilitazione piuttosto che quella di persuasione.
Fase II: La seconda fase è, in primo luogo, caratterizzata dallo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione di massa, e in particolare dall’avvento della televisione. Questo determina una serie di conseguenze tra cui l’allungamento delle campagne elettorali, la necessità di professionisti con competenze specifiche e in grado di guidare i candidati,e, infine, una maggiore necessità di fondi. Ancora, la campagna si nazionalizza, da cui deriva che potere e risorse si accumulano al centro, e viene attribuita maggiore centralità al leader di partito. Infine, cambia anche il pubblico di riferimento, che diventa ampio e diversificato socialmente al suo interno.
Fase III: La terza fase della professionalizzazione si colloca nell’epoca delle ultime evoluzioni tecnologiche dei mezzi di comunicazione di massa, come quella satellitare e internet. Le caratteristiche di questa terza fase sono, in primo luogo, l’avvento della campagna permanente. In secondo luogo, la realizzazione delle campagne elettorali è in genere affidata ad uno staff di professionisti. Per quanto riguarda il messaggio, si tende sempre più alla costruzione di messaggi mirati, con un grande uso della rilevazione del feedback, che comporta la scelta di adattare il messaggio al pubblico.
Nel corso dell’evoluzione delle campagne e, in particolare, con l’ingresso alla terza fase descritta da Farrell, l’analisi e la gestione delle competizioni diventano impegni tecnicamente nuovi e complessi, per i quali è necessario un approccio professionale, che è offerto dal marketing politico.
In letteratura sono presenti diverse ipotesi di datazione delle fasi di sviluppo del marketing politico, a partire dall’analisi del caso statunitense.
Di seguito sono presentate quelle di Sidney Blumenthal, Philippe Maarek e Dan Nimmo.
Sidney Blumenthal, nel suo testo sulla campagna permanente, distingue tre fasi:
Anche Philippe Maarek individua tre fasi, ma le specifica diversamente:
Dan Nimmo propone una nuova cronologia dell’uso del marketing politico in quattro fasi, formulata per il caso americano, che risale ad un’epoca di molto precedente rispetto alle altre datazioni proposte (in Bruce Newmann, Handbook of Political Marketing) :
Per una prima definizione si può risalire a cinque secoli fa, quando Machiavelli formulava la forse più efficace definizione di marketing politico:
«Niente procura tanta stima a un principe quanto il fatto di compiere grandi imprese e di fornire un’eccezionale immagine di se stesso. [...] Un principe deve soprattutto sforzarsi di dare un’immagine di uomo grande e di ingegno eccellente. [...] Deve anche, nei momenti opportuni dell’anno distrarre il popolo con feste e spettacoli» (Machiavelli, Il Principe)
Il marketing politico è recente, quindi, solo se lo si intende nella concezione moderna del termine, che si associa al significato commerciale e con l’esempio che è derivato dal mercato. È da questo, infatti che mutua strumenti e metodologie, come risulta evidente dalle definizioni moderne che sono presenti in letteratura.
Alla base delle definizioni contemporanee del marketing politico c’è il riferimento al marketing commerciale.
Questo è evidente in particolar modo nella definizione proposta da Bongrand, per cui:
Se:
«il marketing è un’insieme di tecniche aventi l’obiettivo di adattare un prodotto al suo mercato, farlo conoscere al consumatore, creare la differenza con [i prodotti] concorrenti e, con un minimo di mezzi di ottimizzare il profitto che deriva dalla vendita»
Allora:
«il marketing politico è un’insieme di tecniche aventi come obiettivo di favorire l’adeguamento di un candidato al suo elettorato potenziale, di farlo conoscere al maggior numero di elettori a ciascuno di essi in particolare, di creare la differenza con i concorrenti – e gli avversari – e con un minimo di mezzi, di ottimizzare il numero di suffragi che occorre guadagnare nel corso della campagna» (Bongrand, Le marketing politique, cit. in Mazzoleni)
Bruce Newmann (1999) sottolinea la complessità del processo, specificando che il marketing politico può essere definito come: «l’applicazione dei principi e delle procedure del marketing nelle campagne politiche, da parte di individui e organizzazioni. Le procedure utilizzate comprendono l’analisi, lo sviluppo, l’esecuzione e la gestione strateica delle campagne da parte dei candidati, partiti politici, lobby e gruppi di interesse che cercano di guidare la pubblica opinione, di promuovere il proprio credo ideologico, di vincere le elezioni, di far approvare provvedimenti e referendum in risposta ai bisogni e alle aspettative di particolari individui e gruppi di una società» (Newmann, Il marketing politico negli Stati Uniti, trad. in Mellone e Neumann)
Infine, per semplificare, si ricorre ad una ulteriore definizione, che fa riferimento alla letteratura del management ed è proposta da Wring, per cui il marketing politico può essere inteso come:
«l’utilizzo da parte di un partito o di un candidato della ricerca di opinione e dell’analisi ecologica per produrre e promuovere un’offerta competitiva che contribuisca a realizzare gli scopi dell’organizzazione e soddisfi gruppi di elettori in cambio del loro voto» (Dominic Wring, Le Teorie del Marketing Politico, in Mellone e Newmann)
Ne deriva la rappresentazione di tale processo come un percorso circolare che si muove dall’offerta alla domanda politica e viceversa.
Le prime fasi indicano la necessità dell’offerta di conoscere il mercato elettorale per poterlo segmentare posizionare il prodotto politico. Le successive due fasi delineano il passaggio all’azione concreta. Infine, è cruciale la fase del controllo, attraverso cui si verificano: il riscontro presso l’elettorato; il livello di soddisfazione per l’azione politica; i suoi punti di forza e debolezza e la percezione rispetto all’ attuazione del programma.
Punto centrale di tale percorso è la definizione del prodotto politico, che avviene lungo l’intero percorso del marketing politico. È opportuno precisare che il prodotto politico è «un mix di variabili (che) combina tre aspetti chiave: l’immagine di partito, l’immagine del leader e gli impegni politici» (Dominic Wring, Le Teorie del Marketing Politico, in Mellone e Newmann)
In questo senso, l’offerta politica deve tenere in considerazione, nella sua elaborazione, quelle che sono le variabili cruciali per la scelta di voto, ovvero, l’appartenenza partitica (voto d’appartenenza), le issues (voto d’opinione) e l’immagine.
L’immagine del candidato è una complessa miscela di immagine personale e politica – individuale e partitica – e di issues possedute dal candidato, cui questi viene indissolubilmente associato. Il processo di definizione del prodotto passa per una elaborazione dell’immagine e del messaggio tale per cui il candidato risulti tanto convincente come leader da trasmettere al pubblico la sensazione che questi sarà all’altezza del compito. Il confezionamento dell’immagine diventa, dunque, l’obiettivo principale delle strategie di marketing delle campagne elettorali. In Europa il punto di svolta è la campagna che Jacques Séguéla elabora per Mitterrand.
Il pubblicitario francese inventa l’approccio alla pubblicità dei prodotti chiamato star system, dimostrando le potenzialità di un approccio di valorizzazione del prodotto e del marchio applicato alla politica, e lo fa vincendo e convincendo. Il volto di Mitterrand che si affaccia dai manifesti 6×3, affiancato allo slogan «la forza tranquilla», segna un’epoca.
Per quanto riguarda l’analisi del caso Europeo, è opportuna qualche precisazione. La prima e più importante è che si deve tenere in considerazione il diverso ruolo dei partiti europei, rispetto agli Stati Uniti. In particolare, secondo il framework del partito «elettorale-professionale», elaborato da Panebianco (1982), nel partito:
«un ruolo vieppiù centrale è svolto dai professionisti (gli esperti, i tecnici dotati di competenze specialistiche) più utili quando l’organizzazione sposta il suo baricentro dagli iscritti agli elettori» (Panebianco, Modelli di Partito)
Da ciò si afferma l’idea che la professionalizzazione della politica europea sia endogena ovvero, avvenuta all’interno dei partiti e fondata sulla loro debolezza. Si distingue, quindi, tra: professionismo e professionalizzazione delle strutture organizzative.
La professionalizzazione dei partiti è evidente nel cambiamento della struttura dell’apparato, ad esempio nell’evoluzione quantitativa del rapporto staff/memership e staff/iscritti. Per quanto riguarda il professionismo, si riprende il superamento della descrizione weberiana di professionismo politico indicata all’inizio.
La Gran Bretagna di Blair offre l’esempio più significativo di professionismo endogeno: il New Labour di Blair, infatti, si contraddistingue per finalizzazione del partito alla vittoria elettorale e per la strategia di comunicazione incisiva. Due figure occupano un ruolo di primo piano in questo processo: Peter Mandelson e Alastair Campbell, noti entrambi per i loro stretti rapporti con il mondo dell’informazione e per la loro attività di spinning. Il primo, funzionario del Labour e incaricato della campagna di Blair del 1996, è stato a lungo giornalista politico del Daily Mirror. Il secondo è noto per la sua militanza e per le esperienze maturate nel mondo della comunicazione e dell’impresa.
Il caso di Forza Italia per molti aspetti costituisce il prototipo del partito elettorale – professionale. Un partito leggero che alla sua fondazione aveva una struttura di non più di 50 persone, provenienti dalla fininvest o con significative esperienze nel campo della comunicazione e dell’organizzazione. La derivazione diretta che da Fininvest ha portato alle definizioni di Forza Italia come partito mediale e partito azienda (Calise 1998; Maraffi 1995). Anche Forza Italia presenta un professionismo endogeno perchè aggiunge «ad un radicamento politico/personale nei confronti del leader, competenze specifiche nei campi dell’organizzazione e della comunicazione» (Mazzoleni 2001, Il professionismo della war room).
Rispetto alle tecniche di campagna, il professionismo in Europa segue quello che è definito Shopping Model. Quindi, per americanizzazione si intende non una casuale convergenza ma una pratica di acquisto da parte di molti professionisti di tecniche dagli Stati Uniti.
Shopping Model e professionismo endogeno possono essere considerati, dunque, gli elementi centrali del processo di professionalizzazione della politica europea: l’intera struttura dei partiti si sottomette alle esigenze imposte dalla comunicazione e che vengono dal mondo dell’impresa – come spostare il baricentro dagli iscritti agli elettori e centralizzare – tanto da trasformare i partiti in macchine per la gestione delle guerre elettorali.
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17. Approfondimento: la War Room dei Consulenti Politici
18. Riti e simboli
Mellone e Nemann (a cura di) (2004), L'apparenza e l'appartenenza, Rubettino
Mellone (a cura di) (2002), Il circuito politico-mediale , Rubettino