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Adele Nunziante Cesaro » 10.Vicissitudini dei processi d'identificazione: imitazione, identificazione, identità… dalla bisessualità all'identità di genere.


Introduzione

Se la costruzione dell’identità è strettamente connessa all’esperienza corporea, non si deve marginalizzare il ruolo dei processi d’identificazione, che sono altrettanto fondanti e decisivi. Anzi può risultare alquanto artificiosa la distinzione tra questi due aspetti.

L’identità, infatti, è strettamente connessa all’identificazione come processo interno allo sviluppo psichico o come atto di riconoscimento di un oggetto esterno (Greenacre, Studi psicoanalitici sullo sviluppo emozionale, 1958).

L’identificazione è presente nella costituzione dell’Io, Super-Io e Ideale dell’Io oltre che del carattere ed è una costante nel gioco di relazione tra soggetti e oggetti.

Per comprendere quanto sia difficilmente schematizzabile l’apporto dall’interno e dall’esterno a tali dinamiche, si propone il tentativo di sistematizzazione operato all’interno di alcune teorie di base.

Identità: alcune teorie

Secondo la Greenacre (1958), il concetto d’identità comporta confronto e contrapposizione.
L’identità compiuta è il risultato di un processo che implica diversi stadi della composizione dell’immagine corporea, nucleo rudimentale sia dell’Io che si va sviluppando, sia dell’immagine di Sé, che solo in seguito darà luogo ad un’individuazione compiuta, da distinguere dal senso d’identità come nucleo primario.

L’immagine di sé è basata sulla fusione della propria forma e funzionamento, implicitamente posseduti, anche se non nitidi, con i propri desideri su come si vorrebbe apparire e funzionare e costituisce il polo su cui viene costruito il senso della propria identità. Se la fusione è riuscita, il nucleo rimane sufficientemente stabile e si ridefinisce continuamente.

Lo sviluppo dell’Io si realizza grazie alle successive identificazioni di varia specie, che compaiono già nella relazione primaria con la madre.

L’identità secondo Grinberg e Meltzer

Per Grinberg (Teoria dell’identificazione, 1982), l’identificazione non ha luogo con una persona, ma con una o più rappresentazioni di essa.
La forma in cui il soggetto percepisce una persona è soltanto una possibile rappresentazione della stessa, determinata dai bisogni o dall’intenzione del soggetto, dal suo stato d’animo, dalle sue proiezioni, dal suo apprezzamento oggettivo di questa persona e da altri fattori selettivi e deformanti, corrispondenti più o meno allo stato di evoluzione del soggetto in quel momento.

Meltzer (Stadi sessuali della mente, 1975) sottolinea la complessità dell’esperienza dell’identità che varia nella struttura e nella qualità: noi ne esprimiamo la base inconscia ricorrendo al concetto d’identificazione e all’esperienza del Sé.
Essa contiene tratti caratterologici e immagini somatiche e deve essere assunta come somma di atti transitori della mente, come un’astrazione altamente variabile da individuo a individuo, di momento in momento.
L’esperienza dell’identità non può esistere isolatamente, ma come sfondo prospettico nel mondo degli oggetti interni e esterni e delle leggi della realtà psichica e realtà esterna.

Il legame originario con l’oggetto: l’imitazione

Tutti gli autori, pur nella loro diversità, sembrano concordare sulla visione dell’identità come processo di stratificazioni successive, a partire dal sé corporeo nel quale l’identificazione fa da propulsore.

Freud aveva già definito l’identificazione primaria come forma originale di un vincolo affettivo con l’oggetto; Gaddini (Sull’imitazione, 1969) la definisce imitazione (precursore della identificazione) e rappresenta sia il legame originario con l’oggetto, sia una modalità di fronteggiarne la mancanza.

L’attività imitativa normale del bambino è un elemento che favorirà l’identificazione costituendo quel doppio atteggiamento disposizionale verso l’oggetto (essere e possedere l’oggetto), già individuato da Freud, che, nel corso dello sviluppo, si andrà a differenziare in autonomia.
Gaddini sottolinea che la vera coincidenza è apparente anche se queste disposizioni di base coesistono, perché le imitazioni e le introiezioni coesistono, nella carica narcisistica.

La primitiva percezione imitativa sembra condurre ad immagini allucinatorie, a fantasie di fusione mediante modificazioni del proprio corpo e alle imitazioni nel senso di essere l’oggetto, mentre l’incorporazione orale conduce alle fantasie di fusione mediante incorporazioni ed alle introiezioni, nella direzione di possedere l’oggetto.

La duplice disposizione verso l’oggetto

Gaddini ricorda che anche Winnicott (Gioco e realtà, 1971) parla di una duplice disposizione verso l’oggetto, da lui definita “elemento femminile puro” e “elemento maschile puro”.

Gaddini distingue l’area psico-sensoriale da quella psico-orale: la prima sembra provvedere ad un ritiro dai conflitti e all’esclusione dell’oggetto esterno che li promuove, la seconda è proporzionalmente più esposta ai conflitti nel rapporto oggettuale.

L’imitazione si può definire come quel meccanismo dell’attività psico-sensoriale mediante il quale il Sé infantile realizza un’identità magica con l’oggetto. Si tratta di fenomeni elementari, che non richiedono alcuna struttura psichica organizzata.
Dall’identità magica con la madre “devota”, attraverso graduali esperienze di frustrazioni e separazione, l’infante comincia a sperimentarsi come separato e da questo momento vengono sperimentate fantasie di fusione per riesperire l’unità perduta con l’oggetto.

Il pensiero di Jacobson

Scrive la Jacobson (Il Sé e il mondo oggettuale, 1954) che ogni contatto con la madre gratifica le fantasie infantili di completa riunione con l’oggetto tramite incorporazione. Queste fantasie saranno di nuovo divise appena si fanno sentire i bisogni istintuali, l’esperienza della fame, la frustrazione e l’effettiva separazione. Ne conseguono desideri aggressivi e libidici. Così la fame è anche la fonte del primo originario tipo di identificazione, ottenuto mediante scissione del Sé e le immagini di oggetto.

Già a otto mesi, poi, il bambino comincia a distinguere fra differenti oggetti (la madre, il padre, gli estranei), introducendo differenti rapporti e i primi conflitti. La distinzione tra gli oggetti procede probabilmente più rapidamente della distinzione di Sé dall’altro, perché la percezione del mondo è più facile della scoperta di Sé e la differenziazione tra gli oggetti è motivata.

Attraverso delusioni ripetute, le componenti ostili che accompagnano quelle di amore forniscono il sentimento di identità e l’esame di realtà, quindi i rapporti oggettuali.
Lo sviluppo del bambino, quindi, dipende fortemente dalla scoperta delle differenze e dalle ambivalenze piuttosto che dalla stretta intimità con la madre, matrice, comunque, del primo nucleo identitario.

Identità e immagini corporee

La bisessualità è la prima condizione dello sviluppo sia per i maschi che per le femmine fino all’Edipo, sembra allora importante comprendere gli esiti cui va incontro nei due sessi e il suo contributo nei termini di identità sessuale.

L’Edipo funge da grande organizzatore del caos precedente e promuove una certa emergenza dalla bisessualità innestando il primato della identità di genere.
La composizione della propria immagine corporea varia notevolmente a seconda delle effettive esperienze di visione e di obbligatoria incorporazione avute precedentemente. L’incorporazione precoce, compiuta in larga parte attraverso la vista dei genitali del sesso opposto, si fonde con l’immagine ottenuta osservando il proprio corpo e dà luogo inizialmente a un’immagine del corpo costruita tenendo conto dell’aspetto esterno e della sua superficie.

Greenacre (1958) sottolinea che le aree del viso e dei propri genitali sono particolarmente importanti per poter fare confronti e differenze, ma sono anche acquisite più tardi, il che renderebbe ragione della maggior facilità ad attribuire a se stessi la parte posteriore del corpo, simile, tra l’altro, nei due sessi.

La conoscenza dei genitali propri e altrui

Dalla fine del secondo anno, l’aumento della sensibilità genitale genera delle pressioni endogene maggiori che si uniscono all’immagine prodotta dalla conoscenza visiva e tattile del proprio genitale.

Se la visione dei genitali altrui è stata precoce e ripetuta, l’incorporazione primaria (realizzata da vista e tatto) si ripercuote sui successivi problemi d’identificazione più di quanto peserebbe nella fase anale o fallico-genitale.

Probabilmente, data la grande curiosità infantile di vedere i propri e gli altrui genitali, si costituiranno immagini precoci composte, che saranno successivamente convertite sull’immagine convenzionale del proprio sesso, basata su osservazioni multiple e sull’immagine di sé allo specchio.

Laddove si è creata un’immagine fondamentalmente discrepante tra la prima immagine genitale, stimolata da una precoce, ripetuta e confusiva esposizione istintuale, e quella convenzionale del proprio genere, vi saranno disturbi dell’identità.

I maschi sembrano più esposti delle femmine a visibili disturbi della propria immagine corporea, quali confluiscono ad esempio nel feticismo, tuttavia comune a entrambi c’è la lotta per emergere da queste immagini confusive del primo sviluppo, dove determinante è l’evoluzione complessa della “scena primaria”.

La nascita del primo oggetto

L’ampio raggio dei vissuti emotivi, improntati a rabbia e esclusione, amplificati dall’impotenza infantile e dall’impossibilità di scarica (se non in fantasia) è inscindibilmente connesso alla prima separazione che, evocando la madre estranea, rompe l’identità imitativa del bambino.

Questo evento costituisce la nascita del bambino come soggetto e del primo oggetto – la madre- è anche quello che fonda la prima percezione confusa del padre come prolungamento della madre estranea.

La triangolazione che nell’Edipo ha la sua visibilità proviene, come si vede, da una lunga preistoria, quella del processo di scena primaria, e la stessa comparsa del padre non è un evento semplice.

Il processo di scena primaria descritto da Gaddini (Formazione del padre e scena primaria, 1977) occupa un arco di tempo che va dai 4-6 mesi di età alla seconda metà del terzo anno, per cui investe le fasi pulsionali orali, anali e falliche che influenzano le risposte emozionali e i vissuti fantasmatici del bambino.

Formazione del padre e scena primaria

Il processo di scena primaria corrisponde a quella fase di passaggio dal rapporto con un singolo oggetto alla formazione di un secondo oggetto, distinto dalla madre e da Sé. Questo riconoscimento passa attraverso una serie inaspettata di mutamenti del solo oggetto che il bambino conosce, la madre. La sua immagine, infatti, inizialmente ingrandita e praticamente raddoppiata in volume e numero di arti, attraversa una quantità variabile di combinazioni intermedie prima di apparire definitivamente scissa in due entità separate.

Il padre, quale secondo oggetto, nasce, quindi, sull’orizzonte psichico del bambino a partire dalla madre e attraverso una serie di trasformazioni corporee che assomigliano più a quelle di una duplicazione meiotica che a quelle del parto umano.

Così una delle angosce infantili più note, quella dell’estraneo a otto mesi, può divenire comprensibile rapportata a questo processo e rende comprensibile la posizione del bambino di fronte al padre che si configura come secondo oggetto, ma in realtà è il primo che dall’esterno intrude nel rapporto d’identità imitativa con la madre.

Da questa posizione iniziale di una “madre estranea“, il padre passa a poco a poco ad essere distinto percettivamente e accettato come aspetto dicotomico della madre esterna.

Il primo transfert infantile

Il processo di differenziazione del padre dalla madre avviene gradualmente, anche se l’aspetto perturbante e terrifico della madre estranea, ceduto, per così dire, al padre, non sempre è dissolto nel corso della crescita e neutralizzato dagli aspetti esterni del padre.

Distinto il secondo oggetto, possono essere riversati su di lui aspetti della relazione materna, sia per la ricerca della perduta identità imitativa, sia come depositario degli aspetti conflittuali implicanti la perdita, a tutela di un rapporto materno fusionale che viene portato avanti all’infinito.

Questo aspetto di spostamento massivo – primo transfert infantile – può facilitare, però, la rielaborazione della perdita, attutendola, ma può anche produrre una fissazione permanente all’oggetto primario che diviene così antitetica a un successivo sviluppo e alla scoperta del padre “com’è”.

Questo approdo è cruciale per i processi d’identificazione, la formazione dell’identità adulta e per una sufficiente maturità nel rapporto oggettuale. Il passaggio della madre da estranea a esterna è possibile grazie all’identificazione che, a differenza degli elementi che la costituiscono (imitazione e introiezione) permette all’Io d’internalizzare gradualmente l’oggetto.

La conclusione del processo di individuazione

Il processo di scena primaria prepara la strada ai conflitti della fase fallica.

Proprio lo stretto rapporto che lega padre e madre è, infatti, una premessa affinché il bambino o la bambina possa rivolgersi al padre nel senso di un ampliamento dell’unità primaria con la madre. Winnicott (Gioco e realtà, 1968) ha descritto come “cross-identification“, una comunanza nella quale i genitori si sentono prevalentemente l’uno nell’altro come pure nel bambino e questi, con una personale progressiva interiorizzazione di questo atteggiamento, raggiunge una capacità identificatoria e empatica più differenziata.

Anche M. Malher sottolinea che la fase edipica può essere raggiunta positivamente se in precedenza è stata raggiunta la triangolazione nella fase del riavvicinamento. Se, infatti, la fase di individuazione-separazione decorre con un’empatia ottimale verso i bisogni del/la bambino/a, viene anche risolto il conflitto edipico in modo tale che l’infante possa mantenere il rapporto con entrambi i genitori e si abbiano nuove identificazioni che ampliano l’Io.

Con la triangolazione, infine, viene superata l’invidia del pene perché con un’armoniosa interiorizzazione dei genitori sentiti come diversi, possono essere legate le rappresentazioni di oggetti e l’immagine di sé può essere sentita integrata.

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