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Nicola Russo » 19.Da Atene a Vienna: l'anti-naturalismo della legge


Strumento e mezzo

Poniamo che il nome (ovvero il minimo linguistico) sia uno strumento didascalico e diacritico, cioè «atto ad insegnare qualcosa ed a distinguerne l’essenza» (388c), poniamo che sia un organo matematico che si muove tra posizione ed impiego. In questo senso, implica di certo una pragmatica, ma nella doppia eccezione di metodologia ed ontologia dell’ente pratico, di un’ortologia e di un’aletheiologia. La strumentalità dei minimi linguistici consiste semplicemente nella loro medietà: il nome è tra la voce e la cosa nominata.

Convenienza e differenza

La medietà non è se non una figura della differenza; ed in questo caso, come poi nel Parmenide, la relazione della differenza è espressa nella mimesi. Facendo leva, sul realismo ingenuo-naturalistico di Cratilo, Socrate domanda se il nome non è forse μίμημα τοῦ πράγματος (430b), atto imitativo della cosa. L’imitazione è però solo l’espressione di una relazione proporzionale, metrica, di un’analogia. Siffatta analogia viene declinata secondo due versanti: quello dell’ὀμὸιον, del simile appunto, e quello del προσῆκον, del conveniente. Al primo corrisponde la catena εἶδος-εἷκών-ὄνομα, al secondo quella εἶδος-νόμος-ὄνομα (431d). Nel primo e nel secondo caso il μίμημα τοῦ πράγματος si converte in δήλωμα τοῦ πράγματος (433b), l’imitazione in ostensione della cosa, ovvero di ciò che resta del loro essere.

Legge e pittura

Come la legge presenta ciò che è? Se un’immagine pittorica mostra il suo contenuto estetico come somigliante al suo soggetto concreto e si compone di elementi la cui precedenza alla creazione artistica è di per sé evidente, come stanno le cose col nome-legge? Se l’impositore di leggi aveva convinto Ermogene per il gradiente di arbitrarietà (o di variabilità) che presenta, se gli aveva fatto aggio la violenza connessa alla statuizione normativa (si veda il realismo politico dell’aristocratico autore della Costituzione degli Ateniesi); la figura del legislatore convince Cratilo per la sua figura arcaica, per la sua tradizione mitica. Imporre le leggi significava, per quest’ultimo, fondare la città, tracciarne i confini, costruirne le mura – e questo era chiaro all’insegnamento eracliteo, come emerge dal frammento 44 in cui si invoca la difesa della legge come delle mura della città.

Cesare Ripa, Iconologia, La Storia (1764-67). Fonte: Iconologia.archivi.info

Cesare Ripa, Iconologia, La Storia (1764-67). Fonte: Iconologia.archivi.info


Legislatore e geometra

A Cratilo, pertanto, Socrate somministra un paragone ardito: quello tra legislatore e geometra (346 c-e). Come infatti in una dimostrazione geometrica, se si erra al principio del ragionamento, gli errori successivi conseguono pur risultando coerenti e concordanti, così colui che per primo pose i nomi (o le leggi), avrebbe potuto dapprincipio sbagliare, pur avendo poi costretto gli altri uomini a concordare con le sue premesse e con le sue conclusioni.
È quindi proprio mediante l’analogia con la legge che alla teoria del nome (o dei nomi primi) si impone di superare l’insoddisfacenza dell’alternativa tra convenzionalismo e naturalismo. La soluzione non può soddisfarsi più della semplice somiglianza. Si passa così a τό προσῆκον, alla convenienza. La legge non potrebbe essere passibile di alcun giudizio di somiglianza o di dissomiglianza con il fatto, né con quella che i giureconsulti chiamavano natura rerum, o i giuristi contemporanei Natur der Sache. Il metro della legge misura la convenienza (e si misura, o si giudica per la sua convenienza). Cosa però si intende con τό προσῆκον? Τό προσῆκον è ciò che con-viene, che si ad-dice, che einander-zukommt. Τό προσῆκον lega il suo destino, come quello delle sue traduzioni moderne, al πρὸς, all’ad-, al zu-, ovvero ad un deittico, ad una preposizione che indica una direzione, un verso.

Metrica

Ad Ermogene, Socrate aveva detto che è legislatore «solo colui che volge lo sguardo verso [τόν ἀποβλήπωντα εἴς] il nome che per natura ha ciascun oggetto e che ha la capacità l’idea di quello nelle lettere e nelle sillabe» (390e). Lo εἴς del definiendum corrisponde al πρὸς della definizione. Quindi il nesso tra nome e cosa illustrato nel modo della legge si risolve nella corrispondenza metrica tra εἴς-πρὸς.
Dovremmo da ciò provare a comporre una domanda sullo statuto metrico del nome (enunciato)-legge, nel contesto di due posizioni, che abbiamo già definito come altrettante varianti dell’anti-naturalismo.

I “sostituti” di Ermogene: Schlick e Kelsen

Dallo scorcio della Vienna dell’inizio del secolo XX, non solo la domanda sul nome-legge, ma anche la disputa sullo statuto delle Geisteswissenschaften/Naturwissenschaften assumono il profilo netto di una dottrina dell’enunciato e del concetto e di una teoria della conoscenza. La questione diventa quindi sia nel caso delle scienze fisiche che di quelle giuridiche come si costituiscano gli enunciati, la loro gerarchia, la loro struttura logica, da un lato, e come questi si riferiscano all’esperienza (ed a quale esperienza). Ciò implica in ambedue i casi l’esclusione di ciò che Schlick definisce pseudo-problemi e Kelsen concetti irrazionali: ovvero nel primo caso la questione circa l’essere degli enti fisici, nel secondo quella circa il dover-essere della giustizia (di qui la riflessione su riferimento-a-valore o finalizzazione e semplice validità; o ancora la negazione della differenza tra legittimità e legalità o infine la cancellazione del concetto di sovranità). È una tale perimetrazione – così netta, per quanto difficile da mantenere, come si dovrà vedere – che consente quell’intempestiva convocazione dei viennesi nel dialogo platonico nella veste di anti-naturalisti, quindi nella veste polemica di sostituti di Ermogene.

Le differenze tra gli anti-naturalisti viennesi ed Ermogene

A differenza di quest’ultimo, infatti, né Schlick né Kelsen sostengono un semplice convenzionalismo epistemologico o giuridico, nonostante il primo mantenga l’interpretazione poincareana della formazione (si legga posizione, thesis, in termini platonici) delle leggi scientifiche. Ambedue cercano infatti di definire una legalità funzionale per i rispettivi sistemi scientifici, evitando però il ricorso a giudizi che eccedono le capacità di giustificazione dello specifico linguaggio adottato. Questo, tuttavia, non corrisponde alla completezza della teoria, alla sua fondabilità iuxta principia propria: anzi le lacune che si aprono (da un lato, l’esperienza non sperimentale, dall’altro la vuotezza dei principi primi) rappresentano altrettante questioni di metodo.

Le scienze del nuovo positivismo: Schlick

Con atteggiamenti differenti derivanti dalle diverse letture della filosofia trascendentale, Schlick e Kelsen definiscono nelle loro riflessioni metodologiche o epistemologiche un peculiare rapporto tra la forma e l’effettività. Nel primo caso, in nome di un ribaltamento del kantismo, ovvero del trascendentalismo inteso secondo una lectio facilis come una voce dell’innatismo, si rappresenta una dualità tra conoscenza scientifica e conoscenza empirica, il cui unico punto di contatto sembra essere quello delle proposizioni osservative, ossia degli enunciati sperimentali, che verificano o falsificano le teorie scientifiche. Più nello specifico, per contestare il convenzionalismo e l’essenzialismo scientifico, sostiene la possibilità di definire la sensata esperienza che consente galileianamente le certe dimostrazioni nei termini di un’osservazione sperimentale corretta, la quale somministrerebbe alle scienze il loro contenuto oggettivo. Seppure qui si parli di contenuto e non di fondamento, Schlick è comunque costretto a postulare una sorta di realismo ingenuo, in virtù del quale l’oggetto sperimentale sia creduto esistente ed esistente così in realtà. Questo rende gli enunciati osservativi passibili di una duplice critica, sia dal lato del loro difetto di pregnanza reale sia di quello di completa formalizzazione (la strada del neopositivismo sarà la seconda, in seguito all’introduzione da parte di Neurath delle proposizioni protocollari assunte come minimo livello scientifico). Allo stesso modo, la possibilità di convalidare una teoria mediante l’esperimento lascia appunto scoperta l’epistemologia schlickiana ad una deriva, cui cerca di porre rimedio mediante l’ausilio di Poincarè.

Le scienze del nuovo positivismo: Kelsen

Nel secondo caso, proprio in virtù del proposito di proseguire il disegno trascendentale nella scienza giuridica Kelsen stabilisce l’assoluta estraneità tra il livello deontico delle norme e quello ontico della fattualità, garantendo al primo il rango di dimensione assiomatico-formale né convalidato né invalidato dalla datità effettiva dei casi (o delle anomalie). E questo non solo subisce una forte battuta d’arresto in seguito ad alcuni accadimenti storici – il destino della repubblica weimariana e la discussione sull’istituto della dittatura e sullo stato di emergenza – ma tralascia quella che lo stesso Kelsen definirà in seguito nomo-dinamica, ovvero l’analisi dei meccanismi di statuizione delle norme, attraverso la fattualità empirica. Considerando, invece, il margine superiore, Schlick definisce legge – utilizzando un’espressione wittgensteiniana – istruzione per la formazione di enunciati (p. 53), quindi categoria regolativa o schema, come Kelsen considera il sistema della scienza giuridica come retto da un principio di chiusura, la Grundnorm, la norma fondamentale come metanorma, norma che ancora una volta detta le regole di istituzione per tutte le altre.

I materiali di supporto della lezione

Dispensa - Parte prima

Dispensa - Parte seconda

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