L’analisi del caso di Paestum, muove i suoi passi a partire dalla riscoperta settecentesca dei templi pestani, occasione per un’attenta rilettura dell’architettura classica. Nell’ambito del grande fermento artistico e filosofico proprio del Settecento e di gran parte dell’Ottocento tale riconsiderazione innesca una poderosa manìa rappresentativa che, spesso noncurante dell’esigenza di fornire elementi oggettivi afferenti alle caratteristiche dimensionali dei manufatti, ha preferito la dimensione vedutistica, paesaggistica, sentimentale e classificatoria, e che, pur sulla falsariga illuminista nel promuovere l’essenzialismo e la primitività naturale del dorico, esalta l’antico come emozione sentimentale romantica e l’ordine come indicazione pragmatica.
Le vedute di Antonio Joli si contraddistinguono per l’impostazione verista e razionalistica riscontrabile, essendo frutto, tra l’altro, di un vero e proprio rilevamento diretto, condotto con l’intento di asserire la straordinarietà del ritrovamento conseguito.
Al contrario, Thomas Major esegue le rappresentazioni del The Ruins of Paestum senza aver mai visitato effettivamente le rovine pestane, organizzandole, tra l’altro, secondo lo schema della Storia di Winckelmann. Ciò nonostante il confronto critico delle fonti e la formulazione di ipotesi ricostruttive ne fanno un’opera particolarmente significativa.
L’esaltazione della “nobile semplicità ” e della “quieta grandezza” perpetrata dal Winckelmann nella celebrazione del dorico di Paestum si può rileggere anche nel maturo riavvicinamento alla Grecia da parte di Giambattista Piranesi.
Nell’ultima fase della sua attività di architetto “visionario”, con l’opera Différentes vues de quelques restes de trois grands édifices…..1777, Piranesi conduce un’efficace indagine critica attraverso ventuno vedute dei templi pestani, tese a dimostare il ruolo determinante dell’estro in architettura, sin dalle sue origini. Tali rappresentazioni sono illustrative di una puntuale e lucida analisi degli edifici pestani, non inficiata dai toni emozionali, se non preromantici, delle raffigurazioni.
Il secondo viaggio che John Robert Cozens compì in Italia fu probabilmente l’occasione per la realizzazione dei suoi disegni dei templi pestani, raggruppati in sette sketch books di riferimento per rielaborazioni dipinte o acquerellate.
Alcuni di essi, nella stesura finale, rappresentano i tre templi completamente immersi in un cielo minaccioso, che lascia in balìa degli effetti chiaroscurali la definizione delle masse plumbee al pari di quelle architettoniche: i toni romantici anticipati da Piranesi qui irrompono senza esitazioni, ed anticipano nei valori chiaroscurali e negli scenari minacciosi la drammaticità rappresentativa di William Turner.
Proprio nell’opera di Turner, nelle sue vedute ormai pienamente romantiche, infatti, il pathos di simili contrasti si accentua sino a divenire mera contrapposizione tra blocchi di luce ed ombra.
Nell’opera di Costantin Hansen, se pure rimane un accento residuale romantico nell’interno del Tempio di Nettuno, in cui la figua del pastorello denuncia lo stato di incuria e il solitario abbandono in cui sono lasciati i templi, nel poderoso interno del Tempio di Cerere “L’estrema precisione… La chiara luce meridionale ci riporta ai valori luministici del grande paesismo danese del primo Ottocento…“.
Anna Ottani Cavina
Il viaggio compiuto da Eugène Viollet-le-Duc in Italia è spunto per la verifica di determinate posizioni culturali personali, quale il convincimento dell’importanza dell’indagine e dell’operazione di ricostruzione del manufatto per restituirne l’intrinseca realtà ed unità.
Nel suo acquerello dell’Interno del Tempio di Nettuno “il suo occhio architettonico esalta… la maestosa evidenza delle strutture, liberando l’interno del tempio… dalle scorie di un repertorio aneddotico e pittoresco“.
Joselita Raspi Serra
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