Tra XV e XVI secolo si assiste alla progressiva definizione delle sperimentazioni inerenti la pratica prospettica, sulla scia di studi teorico-filosofici in cui si procederà alla sostituzione delle leggi medievali dello spazio psico-fisiologico con quelle rinascimentali dello spazio matematico dominato dall’uomo e dal proprio punto di vista: la codificazione delle leggi prospettiche consente un nuovo controllo della percezione della realtà.
In particolare, sulla scorta delle intuizioni di Giotto emblematiche nella sua Maestà, ci si cimenterà in sperimentazioni improntate alla dimostrazione scientifica del metodo usato; il nuovo approccio al metodo esprime il controllo che l’architetto esercita nel fissare l’ordine in cui il fruitore percepisce le varie parti della costruzione.
La perspectiva medievale che indicava la scienza ottica, l’optikè greca o al-manazir araba, fornisce i suoi principi, quale quello della riduzione delle grandezze in funzione della distanza, alla prospettiva così come intesa dal Rinascimento in poi.
A Firenze Brunelleschi conduce due diversi esperimenti di verifica e definizione del metodo, mettendo a frutto le conoscenze di Ottica dell’architetto e dimostrando la possibilità di sostituzione tra immagine percepita e immagine tracciata col criterio prospettico.
Realizza perciò due tavolette; la prima rappresentava il Battistero di S. Giovanni riproducendone l’immagine speculare di quella percepibile da un uomo posto sulla soglia di Santa Maria del Fiore, in asse con una faccia dell’edificio; un foro a sezione tronco conica praticato sulla tavoletta consentiva, dal retro, di leggere, su di uno specchio posto tra la tavoletta e il Battistero, l’immagine riflessa di quella dipinta; la giusta distanza dello specchio dal dipinto, consentiva la perfetta sovrapponibilità dell’immagine rappresentata e di quella reale percepibile attraverso il foro suddetto; dato cioè il punto di vista, la variabile, e incognita, è la distanza del quadro.
Una seconda tavoletta rappresentava il Palazzo della Signoria; la differenza tra i due esperimenti prospettici del Brunelleschi è che mentre nella prima tavoletta è dato il punto di vista e bisogna trovare la distanza del quadro (posizione dello specchio), nella seconda è data la posizione del quadro e si deve trovare la posizione del punto di vista.
Una trattazione scritta sulla costruzione legittima appare per la prima volta nel De Prospectiva Pingendi di Piero della Francesca, ma è a Leon Battista Alberti che è attribuito il merito di aver avvicinato il metodo meramente matematico elaborato dal Brunelleschi alle esigenze pratiche dei pittori, pur procedendo entrambi dal comune principio dell’intersecazione della piramide visiva.
Il metodo albertiano, infatti, perfeziona ed abbrevia il criterio elaborato da Brunelleschi, attribuendo la capacità di cogliere le mutazioni delle superfici a “razzi quasi ministri al vedere, chiamati per questo visivi…fili sottilissimi…legati dentro all’occhio ove siede il senso che vede“, razzi distinguibili in estrinseci, di perimetrazione della superficie, mediani, la moltitudine tra quelli estrinseci, e quello centrico, unico, di riferimento.
Leon Battista Alberti
Il metodo perfezionato da Leon Battista Alberti, basato, come già precisato, sull’intersezione della piramide visiva, è così enunciato:
“Scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una finestra aperta e per donde io miri quello che quivi sarà dipinto”, si fissa l’altezza di un uomo che è pari a tre braccia e con la stessa unità di misura si divide la base del quadrangolo in un certo numero di parti uguali, “poi dentro a questo quadrangolo… fermo uno punto il quale occupi quello luogo dove il razzo centrico ferisce et per questo il chiamo punto centrico” e lo si collega con i punti in cui la linea di base è rimasta divisa.
Descrive poi il suo modo optimo di individuazione della riduzione della distanza delle trasversali, ottenuto con una costruzione parallela; “… poi constituisco quanto io voglia distantia dall’ochio alla pictura et ivi segnio, quanto dicono i mathematici, una perpendiculare linea tagliando qualunque truovi linea…“. Traccia infine l’orizzontale passante per il punto centrico e dimostra che “li huomini dipinti posti nell’ultimo braccio quadro della dipintura sono minori che gli altri; qual cosa così essere la natura medesima ad noi dimostra”.
Leon Battista Alberti
Il metodo descritto dall’Alberti sarà fondante per i dispositivi noti come macchine prospettiche, messi a punto da diversi trattatisti rinascimentali; particolarmente interessanti sono, in questo senso, gli studi e le sperimentazioni di Albrecht Dürer.
E’ appunto quest’ultimo ad inserire nella propria trattazione una prima definizione grafica del velo albertiano, e ad introdurre l’elemento ulteriore del piccolo obelisco che fissa la posizione dell’osservatore. Il suo sportello, inoltre, rappresenta la trasposizione fisica dell’intersezione della piramide visiva con il quadro e dei razzi proiettanti, consentendo una esatta dimostrazione e visualizzazione della corrispondenza tra oggetto e relativa proiezione sul piano d’intersezione.
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