Cos’è la luce polarizzata nel piano?
I tipi di luce che conosciamo sono essenzialmente due:
Luce piano polarizzata
Esistono in natura alcune sostanze cristalline – ne sono esempi comuni la calcite o la tormalina – che si comportano come “fenditure virtuali”.
Quando un raggio di luce ordinaria attraversa un tale sistema ottico, ha un solo piano di vibrazione e rappresenta perciò una luce (monocromatica) che si definisce polarizzata nel piano, o piano-polarizzata.
Quando un raggio di luce piano-polarizzata attraversa una soluzione o un liquido puro, il suo piano di propagazione è influenzato dal campo elettrico delle molecole che incontra sul proprio cammino.
Tale campo è generato intorno ad ogni molecola dalla distribuzione degli elettroni e dal loro continuo movimento. Come risultato si ha la rotazione di un certo angolo del piano di polarizzazione della luce; l’angolo di rotazione del piano della luce polarizzata è funzione del numero di molecole che il raggio incontra sul suo cammino e, quindi, della concentrazione della soluzione in esame (o della densità, nel caso di liquidi puri) e della lunghezza del recipiente che contiene la soluzione attraversata dal raggio. Quando la luce polarizzata attraversa una soluzione di un composto achirale interagisce con un grande numero di molecole orientate in maniera casuale e non è soggetta nel complesso ad una rotazione del piano di polarizzazione.
Luce piano polarizzata
Le molecole chirali hanno, invece, un’immagine speculare distinguibile e, di conseguenza, la soluzione di un composto chirale non può presentare molecole con orientazioni che risultino immagini speculari le une delle altre. In questo caso le rotazioni che il piano della luce polarizzata subisce per interazione con le singole molecole non si annullano ma si sommano e si ha una rotazione finale osservabile del piano di polarizzazione. I composti che fanno ruotare il piano della luce polarizzata sono detti otticamente attivi, che è di fatto sinonimo di “chirali”: se essi inducono una rotazione in senso antiorario, si definiscono levogiri ed il loro nome viene preceduto dal segno meno (–); se, al contrario, inducono una rotazione in senso orario, sono definiti destrogiri ed il loro nome viene preceduto dal segno più (+).
Che cos’è?
Lo strumento che si usa per misurare l’attività ottica dei composti chirali è il polarimetro.
Esso consente alla luce piano polarizzata di attraversare un tubo porta-campione contenente la sostanza da analizzare; la luce che esce da tale tubo, attraversa un secondo sistema polarizzatore, detto analizzatore, che è ruotato per determinarne la nuova direzione del piano della luce polarizzata.
Con molecole achirali, la luce esce non modificata. Tale molecola si dice otticamente inattiva.
Con molecole chirali, invece, il piano della luce ruota di un angolo a che viene misurato in gradi e si chiama rotazione osservata.
L’alfa…
Il segno e il valore dell’angolo di rotazione a di un composto vanno determinati sperimentalmente.
Due enantiomeri hanno lo stesso angolo di rotazione, ma segno opposto.
Il valore di α dipende:
L’alfa…
Per standardizzare i dati della rotazione ottica osservata è stata definita la rotazione specifica (o potere rotatorio specifico)
[α]
Che viene calcolata dal dato misurato (α) alla temperatura di T° C usando come sorgente di luce incidente la linea gialla (linea D) dello spettro visibile del sodio.
Il simbolo a rappresenta l’angolo di rotazione misurato, il simbolo l rappresenta la lunghezza del tubo polarimetrico espresso in decimetri (un tubo standard è lungo 1 dm), il simbolo c rappresenta la concentrazione del campione che viene espressa in g mL–1.
Usualmente, la concentrazione della soluzione ed il solvente usato sono riportati in parentesi accanto al valore del potere rotatorio specifico.
La rotazione specifica calcolata in questo modo è una proprietà fisica caratteristica di ogni composto otticamente attivo.
Racemo
Si definisce miscela racemica una miscela equimolecolare (cioè nella stessa quantità!) di enantiomeri.
Essa non presenta attività ottica, in quanto ogni contributo alla rotazione del piano di polarizzazione derivante dall’interazione della luce con le molecole di uno degli enantiomeri viene compensato da un contributo uguale e contrario indotto dalle molecole dell’altro enantiomero.
Una miscela racemica è contraddistinta dal simbolo (±) nel nome del composto.
Ad esempio: (±)-2-bromobutano.
Qualche calcolo…
Se uno dei due enantiomeri è presente in maggiore quantità, la miscela mostrerà una rotazione ottica proporzionale alla percentuale della specie in eccesso.
La percentuale dell’enantiomero in eccesso viene indicata come eccesso enantiomerico, detto anche purezza ottica, viene calcolata come:
% di un enantiomero – % dell’altro enantiomero
Ad esempio: se una miscela contiene il 75% di un enantiomero e 25% dell’altro, l’e.e. è 50%.
L’e.e. può anche essere anche calcolato mediante una formula che tiene conto della rotazione misurata per la miscela in esame e del potere rotatorio specifico degli enantiomeri puri, se ovviamente questi dati sono noti.
Attività ottica
Ancora centri chirali!
Andiamo a vedere cosa accade nel caso della sostituzione di ciascuno degli atomi di idrogeno, HA e HB, legati al carbonio 3 nei due enantiomeri R ed S del 2-clorobutano con un atomo di Br:
lo stereocentro originale (ex carbonio 2 che porta il Cl) resta inalterato qualunque sia l’idrogeno (HA o HB) dell’ex carbonio 3 sostituito dall’atomo di Br.
Come risultato finale si hanno 4 molecole stereoisomere con due centri chirali.
In generale, il numero “massimo” di stereoisomeri per un composto con n stereocentri è 2n (numero di van’t Hoff).
Quindi, un composto con 2 stereocentri può avere al massimo 22, cioè 4, stereoisomeri.
Attenzione!
Un esame attento dei quattro stereoisomeri rivela che essi costituiscono due coppie di enantiomeri.
Gli stereoisomeri che non sono enantiomeri, che cioè non sono l’uno l’immagine speculare non sovrapponibile dell’altro, sono definiti diastereoisomeri: pertanto, ciascuno dei quattro stereoisomeri è enantiomero di uno degli altri tre ed è diastereoisomero dei due rimanenti.
Gli enantiomeri hanno configurazione opposta a ciascuno degli stereocentri (immagini speculari) mentre i diastereoisomeri hanno la stessa configurazione di uno dei due stereocentri ed opposta dell’altro.
A differenza degli enantiomeri, i diastereoisomeri hanno differenti proprietà fisiche, cioè differenti punti di ebollizione, punti di fusione, etc., e pertanto possono essere separati con gli ordinari metodi fisici. Quindi, la miscela dei quattro stereoisomeri del 2-bromo-3-clorobutano potrà essere separata in due frazioni, ciascuna formata da una coppia di enantiomeri.
Composti Meso
Si definiscono forme meso (o mesoforme) Gli stereoisomeri che pur presentando stereocentri non sono chirali, a causa di una simmetria interna.
Questo è un caso tipico del fatto che la chiralità di una molecola dipenda dalla mancanza di simmetria e la presenza di stereocentri non sia condizione necessaria né sufficiente per la chiralità.
L’esempio del (2R,3S)-2,3-diclorobutano mostra come la presenza di un piano di simmetria faccia di questo stereoisomero, contenente ben 2 centri chirali, una composto achirale.
N.B. che sia meso lo si può attribuire in qualsiasi conformazione!
… di nuovo una piccola digressione!
Finora abbiamo rappresentato le molecole tridimensionali nel sistema bidimensionale mediante l’uso di formule prospettiche, che sfruttano il simbolismo dei legami a cuneo per fornire una visione spaziale delle molecole.
Una convenzione per rappresentare in modo semplice e coerente le molecole tridimensionali in un sistema a due dimensioni fu utilizzata ai primi del ‘900 dal chimico tedesco Emil Fischer che la applicò inizialmente alla rappresentazione di molecole complesse come quelle dei carboidrati.
Rappresentazione bidimensionale di molecole chirali
Consideriamo i due enantiomeri dell’acido lattico, rispettivamente l’enantiomero levogiro e l’enantiomero destrogiro, che sono rappresentati di seguito.
Le due molecole, come si vede con chiarezza dalle rappresentazioni a cunei, sono l’una l’immagine speculare non sovrapponibile dell’altra.
Come si ottiene una proiezione di Fischer?
Formule di Fischer o “a croce”
Se guardiamo una delle due formule prospettiche (ad esempio quella dell’enantiomero destrogiro, ottenuta per rotazione di 180° da quella della diapositiva precedente) e per comodità chiamiamo A il CO2H, B l’OH, C il CH3 e D l’H, possiamo riportare sul piano i quattro sostituenti del C come nella figura 1, dove i sostituenti C e B sono riportati sulle valenze che escono fuori dal piano, mentre i sostituenti A e D sono su quelle dietro il piano.
Attraverso questa proiezione possiamo a questo punto passare ad una ancora più schematica detta “a croce” (figura 2), formata da due segmenti a 90° tra loro, il cui punto di intersezione rappresenta lo stereocentro (carbonio asimmetrico) da cui partono le quattro valenze che portano i sostituenti.
1. Introduzione alla Chimica Organica – Parte prima
2. Introduzione alla Chimica Organica – Parte seconda
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10. Stereochimica – Parte terza
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12. Reazioni di sostituzione nucleofila e di eliminazione – Parte...
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24. Acidi carbossilici e loro derivati – Parte seconda
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29. La chimica delle ammine – Parte seconda